A Roma dal 4 luglio al 21 settembre

La voce del corpo secondo Carole Feuerman. Il superrealismo va in scena a Palazzo Bonaparte

Carole A. Feuerman. La voce del corpo, Allestimento della mostra a Palazzo Bonaparte | Courtesy Arthemisia
 

Samantha De Martin

03/07/2025

Roma - Una donna sfinita affida la propria salvezza a una camera d’aria.
Il suo corpo, teatro di una tensione esistenziale, diventa un campo in cui si disputa la partita tra la vita e la morte. La camera d’aria si trasforma in un salvagente sempre più colorato e lucido, mentre l’espressione del volto, le cuffie, la postura di altre donne che vi si appoggiano lasciano trapelare stati d’animo diversi.
L’acqua diventa metafora delle difficoltà da attraversare, ma anche simbolo di rinascita attraverso il corpo. Ai corpi atletici delle bagnanti si affiancano quelli frantumati dove le singole parti sembrano emergere dalla parete come in un’allucinazione, espressione della propria transitorietà nonostante l’armonia delle forme.
Per Carole A. Feuerman, il corpo ha una voce, porta impressi i segni delle nostre storie, di traumi, trionfi, sconfitte, cambiamenti. Un accessorio, come una scarpetta a punta o una cuffia da nuotatrice, svela sempre qualcosa di chi lo indossa. Ed eccoli i corpi di bagnanti, nuotatori, atleti, ballerini aggirarsi dal 4 luglio al 21 settembre a Palazzo Bonaparte dove la mostra Carole A. Feuerman. La voce del corpo porta a Roma la prima grande mostra antologica in Italia di una delle protagoniste più sorprendenti del superrealismo pop contemporaneo.


Carole A. Feuerman. La voce del corpo, Allestimento della mostra a Palazzo Bonaparte | Courtesy Arthemisia

Oltre cinque decenni di carriera dell’artista americana si raccontano attraverso oltre 50 opere, tra sculture, disegni, fotografie e un’installazione site specific. Ci sono i disegni mai esposti al pubblico e ci sono e gli ultimissimi lavori, i primi altorilievi carichi di eros, quindi le sculture a grandezza naturale. Se le opere degli anni Settanta accolgono frammenti di corpo prevalentemente femminile, in più casi carichi di implicazioni erotiche, connessi alle dinamiche del postmodernismo e alle rivendicazioni femministe, le creazioni dei decenni successivi, attraverso piccoli dettagli – dalla pelle bagnata alle manifestazioni più intime – trasformano la scultura in un racconto che va oltre l’immagine statica.
Ogni opera, nella quale l’artista combina materiali come bronzo, resina, acciaio, silicone, vernice, è un piccolo universo che parla di bellezza, memoria, trasformazione.

"Per Feuerman il corpo - sottolinea il curatore Demetrio Paparoni - ha una voce: esprime stati interiori, racconta storie, veicola le sue battaglie, commenta la società e riflette la condizione umana. Comunica temi universali di forza, sopravvivenza, bellezza e transitorietà. Ma è anche un corpo che sente, che fa esperienza del mondo attraverso l’immediatezza dei sensi riuscendo a cogliere aspetti della realtà che sfuggono all’analisi razionale."

Prodotta e organizzata da Arthemisia in collaborazione con la Feuerman Sculture Foundation, la mostra porta nella capitale il linguaggio di colei che ha sovvertito le rappresentazioni tradizionali delle donne nell’arte.


Carole A. Feuerman. La voce del corpo, Allestimento della mostra a Palazzo Bonaparte | Courtesy Arthemisia

“Nel 1981 - scrive l’artista nel testo in catalogo - creai un’opera intitolata EN 2-1278. Mi ispirai alle mie esperienze a Key West, dove assistetti a una scena straziante: immigrati cubani alla deriva su zattere di fortuna e camere d’aria rischiavano la vita in cerca di libertà. Questa scultura presenta una camera d’aria, macchiata e circondata da acque torbide, simbolo della lunga lotta e della disperazione di chi galleggia per giorni in condizioni di pericolo. Una mano maschile stringe il braccio di una donna, evocando domande complesse: sta annegando? Sta cercando di salvarla? Sono uniti nella loro sofferenza o si tratta di un momento di disperazione? Il titolo, intrigante ed enigmatico, è un numero di telefono. Invita alla riflessione: lei gli sta dando il suo numero? O è lui a fornirle il proprio? Questa ambiguità aggiunge profondità al loro legame, suggerendo allo stesso tempo speranza e incertezza. È significativo che la scultura sia priva dei tratti del viso, incarnando l’anonimato. Questa scelta è stata fatta per rappresentare tutti gli immigrati, mettendo in luce la loro lotta collettiva e il desiderio universale di una vita migliore”.