Michele Zanni. Vertigine del Divino

Michele Zanni. Vertigine del Divino, Centro Culturale Sebinia, Sarnico (BG)

 

Dal 13 Dicembre 2014 al 14 Dicembre 2014

Sarnico | Bergamo

Luogo: Centro Culturale Sebinia

Indirizzo: via Vittorio Veneto 42

Orari: sabato 18-21,30; domenica 10-12,30 / 14-21,30

Enti promotori:

  • Associazione culturale Sebinia
  • Comune di Sarnico

Telefono per informazioni: +39 035 4261334

E-Mail info: info@prolocosarnico.it

Sito ufficiale: http://www.prolocosarnico.it


L’inevitabile considerazione. C’è una riflessione artistica e filosofica che attraversa, indisturbata, le epoche e, oserei dire, i millenni. Una riflessione indifferente alle mode e alle temperie sociali, ai cambiamenti e alle reazioni, ignorante la più aggiornata trattatistica socio-politica ed educativa, nonché la sistemica economica e produttivistica. Forse questa riflessione non è nemmeno tale o non si configura, propriamente, come una riflessione stricto sensu. Possiede, forse, più esattamente, le caratteristiche della lirica: alcune questioni possono essere unicamente sollevate, ma non possono trovare né risposte né giustificazioni (almeno nell’orizzonte del secolo raziocinante). I termini del dibattito (se così ci è concesso dire), la vexata quaestio, sono quelli propri della morte. Non è, quindi, in questo caso, nemmeno la tanatologia ad essere chiamata in causa. Nel tempo delle procedure, degli “ismi” e delle “logie”, gli aspetti civilistici e penali della morte (piuttosto che medici) esulano dall’opera di Michele Zanni e si innestano, meglio, nella scia multiforme della tentazione speculativa intorno all’idea della morte o meglio al tema della vita come ontologia della morte. Difficile, quasi impossibile, mettere ordine a secoli di dispute e di controversie intorno a questo capitolo universale. Vi è, tuttavia, la possibilità di riannodare brevemente alcuni elementi notevoli di questo tormentato dibattimento. […] Il piú terribile dunque dei mali, la morte, non è nulla per noi, perché quando ci siamo noi non c’è la morte, quando c’è la morte noi non siamo piú. Non è nulla dunque, né per i vivi né per i morti, perché per i vivi non c’è, e i morti non sono piú […] (Epicuro, Epistola a Meneceo, 124-127). Nell’antichità classica la vita e la morte sono strette nell’indissolubile e filosofica necessità. Non vi è scandalo o interrogativo dinanzi alla morte (diverso è il problema del modus moriendi) e lo stesso dolore della morte sublima in una funzione educativa di sprone per le generazioni a venire, come del resto ebbe a cantare lo stesso Foscolo nel carme de I Sepolcri: “A egregie cose il forte animo accendono l'urne de' forti”. Con l’avvento del cristianesimo e il rafforzarsi, in Occidente, del ruolo e del valore del soggetto, la morte solleva la doppia questione del dolore inconsolabile da una parte e della prospettiva consolatoria del Paradiso dall’altra. Ma la morte incombe nella vita dell’uomo che guarda, così, alla stessa con paura, con rispetto e con continui richiami, soprattutto in ambito artistico e letterario, al tempo che scorre inesorabile. Prolificano, nell’età medievale e nei secoli della modernità, i temi figurativi del memento mori e, variabilmente, della vanitas. Il disfacimento della carne assurge a monito per una condotta di vita assecondante la Grazia di Dio. Ma l’opera di Michele Zanni va ben oltre i termini di una classica e colta riflessione. L’artista bresciano torna, innanzitutto, alle origini del significato e dell’essenza dell’arte. C’è un problema. Il problema per antonomasia è la morte. L’arte solleva la questione e provoca l’individuo socialmente connesso. Ma anche questo non basta. Michele Zanni indossa l’abito penitenziale del profeta potente che parla con Dio e osa perfino provocarlo con una delle frasi più ricorrenti dell’Antico Testamento: “fino a quando, Signore?”. In questo Michele Zanni c’azzecca fors’anche per via del suo portamento michelangiolesco. Lui ha il physique du rôle. Serve coraggio e forza per parlare al popolo e, soprattutto a Dio. Ma che c’entra? C’entra perché il corpo è il limite dell’umano, ma anche la promessa della gloria e della consolazione dell’Ultimo Giorno. Passaggio pretestuoso, si dirà. Forse. L’importante è comprendere che tutto ciò che facciamo lo facciamo attraverso il corpo. Pensiamo con la materia grigia e quando siamo commossi ci fa male il petto. Nell’epoca dei bits senza peso che comandano macchine pesantissime e immense avanza la tentazione di una religione che, paradossalmente, sembra escludere il corpo e anche lo spirito. Così la morte viene esorcizzata con nuovi riti sociali di freddo isolamento del morente entro gelidi androni mortuari di piastrelle sterilizzate mentre fuori la vita alimenta situazioni di volgare disumanizzazione e procede, così, a nuovi accatastamenti di corpi senza dignità. Fino a quando, Signore? Fino a quando ti scorderai di me? Fino a quando volgerai lo sguardo altrove? Forse anche Dio ha paura. Ma questo lo può pensare e sussurrare solo il profeta. A lui solo, tra la razza di chi rimane a terra è concesso di sfidare Dio a faccia a faccia.
Massimo Rossi

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