Davide Dormino, Apollo Resisti!

Davide Dormino, Apollo Resisti!, FourteenArTellaro, Tellaro di Lerici (SP)

 

Dal 21 Luglio 2018 al 03 Agosto 2018

Lerici | La Spezia

Luogo: FourteenArTellaro

Indirizzo: piazza Figoli 14, Tellaro di Lerici

Curatori: Gino D'Ugo



Il quinto appuntamento della rassegna di Fourteen ArTellaro La superficie accidentata, a cura di Gino D’Ugo, ospita l’artista Romano Davide Dormino.
 
Quello di Davide Dormino è un’invocazione. Nei confronti dell’arte stessa? Forse, ma non solo.

E’ una preghiera che dall’arte si rivolge al mondo. Un mondo in cui lo sguardo dell’uomo è sempre meno rivolto all’orizzonte e sempre piùspostato verso la terra su cui poggiano i nostri piedi. Un cambio di prospettiva che rende la superficie del globo ancora una volta piatta e circondata da mostri, terreno fertile per una forma di pensiero atterrita, violenta e omologata. Lo sguardo della società contemporanea ha un’unica dimensione, come quello di Polifemo, dei Titani, o delle divinità che popolavano la terra prima della creazione. Perché in ogni cosmogonia la creazione non parte dal vuoto ma dalla materia primordiale, spazio abitato in cui è presente ogni elemento che andràsuccessivamente a comporre il creato. Per la tradizione ebraico-cristiana è lo spirito di Dio ad aleggiare sull’abisso informe e oscuro, prima di separare la luce dalle tenebre, il cielo dalle acque e infine le acque dalla terra. Nell’Enuma Elis, la genesi babilonese, tutto invece inizia dal vapore, da cui nacquero l’acqua dolce, Apsu, e quella salata, Tiamat. L’impercettibile mescolanza dei due elementi crea i primi dei e dalle generazioni successive nascerà Marduk, figlio del Sole e portatore della misura, che ucciderà Tiamat, l’abisso incommensurabile, squarciandone il corpo a metà e poi ricomponendolo: la parte superiore a fissare la volta celeste, le gambe divaricate inchiodate alla terra per imbrigliare le acque. Nel mezzo, la linea dell’orizzonte, fondamentale affinché la Terra, come la conosciamo noi, possa essere pensata, punto d’incontro fra quel che c’è e quello che deve ancora venire, fra il reale e il possibile.

Non c’è da stupirsi se i greci mutuarono da Marduk la figura di Apollo, dio del Sole e delle arti, colui che ricompose il corpo squarciato dai Titani del fratello Dioniso, divinità che rappresentava il globo terrestre, ponendolo su un piano e rendendolo finalmente misurabile. Divinitàprotettrice di Rodi, i cui abitanti decisero di festeggiare la fine di un lungo assedio dedicandogli una statua in bronzo alta 32 metri, considerata una delle meraviglie del mondo antico. Come a voler rendere omaggio alle gesta del suo antenato babilonese, Apollo venne raffigurato con le gambe divaricate, su due lembi di terra in mezzo ai quali scorrevano le acque dell’Egeo e con il braccio alzato verso il cielo. La parte inferiore del corpo fungeva da vera e propria porta della città, due colonne a sorreggerne le fondamenta e a mostrarne la grandezza, poste a imbrigliare il grande mare e a trasformarlo da terribile abisso a porto sicuro. La parte superiore vedeva brillare un braciere nella mano del dio, un faro per i marinai che, scrutando l’orizzonte, potevano finalmente dare a quel bagliore la forma della terraferma. 

Forse fu la vendetta di Tiamat a causare il terremoto che fece crollare, nel 226 a.C., la statua, che si adagiò sul fondo del mare, spezzandosi in più pezzi e tornando nell’acqua salata, senza una forma.

Nell’antico Egitto, sinonimo di scultore era “colui che mantiene in vita”: l’opera di Dormino riporta al suo stato originale la parte inferiore del Colosso, due gambe a formare un triangolo, simbolo della terra e della divinità, ma allo stesso tempo tese, quasi a voler sopperire con la potenza delle intenzioni alla mancanza di verticalità dovuta alla perdita del busto. Ma non si limita a questo, gli conferisce una nuova funzione, quella di ergersi come due colonne che simboleggiano l’Arte stessa, impegnate in una prova di forza nei confronti del mondo. Come si diceva all’inizio, “Apollo Resisti!” è un’invocazione lanciata verso chi ha accettato di guardare solo il lembo di terra su cui poggia i piedi: quest’opera, come il Colosso originale, diventa porta d’accesso verso tutto ciò che l’orizzonte dietro di essa porta con sé.

Che poi, semplicemente, è il mondo stesso.

Testo di Andrea Luporini

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