Kendell Geers. OrnAmenTumEtKriMen

Kendell Geers, HangingPiece, 1993, brick, rope and metal hooks, dimensions variable, installation view at Haus der Kunst, Munich

 

Dal 21 Settembre 2020 al 02 Aprile 2021

Milano

Luogo: M77 Gallery

Indirizzo: Via Mecenate 77

Orari: Mar - Sab 11 - 19

Curatori: Danilo Eccher

Prolungata: fino al 2 aprile 2021

Costo del biglietto: Ingresso libero

Telefono per informazioni: +39 02 8722 5502

E-Mail info: info@m77gallery.com

Sito ufficiale: http://m77gallery.com



M77 presenta OrnAmenTumEtKriMen, personale dell'artista e attivista sudafricano Kendell Geers (Johannesburg, 1968) a cura di Danilo Eccher, aperta al pubblico da lunedì 21 settembre.
 
Europeo di origine, africano di nascita, Kendell Geers si definisce animista e mistico, sciamano e alchimista, punk e poeta. Impegnato nella lotta contro l'apartheid sin dall’adolescenza, Geers ha usato la sua esperienza di rivoluzionario per sviluppare un approccio psico-socio-politico in cui etica ed estetica sono viste come due facce della stessa medaglia che ruota sul grande tavolo della storia. Nelle sue mani la vasta narrativa dell'arte e i linguaggi del potere vengono messi in discussione, i codici ideologici interrotti, le aspettative deluse e i sistemi di convinzione e fede trasformati in canoni estetici.
 
Le contraddizioni intrinseche all'identità dell'artista sono incarnate nel suo lavoro. Le sue opere coniugano storia personale e politica, poesia e miseria, violenza e tensione erotica. Geers lavora con vari media e tecniche che vanno da oggetti di uso comune e installazioni di larga scala all'uso di neon sconfinando nella performance e nel video.
 
Il titolo della mostra OrnAmenTumEtKrimMen si basa sul saggio del 1908 "Ornamento e Crimine" dell'architetto austriaco Adolf Loos, pioniere dell'architettura moderna che condannò le decorazioni sulle facciate degli edifici come un eccesso inutile, persino pericoloso, guidando il corso dell'architettura verso il concetto di funzionalità. Per M77, Geers abbraccia l'eredità culturale di Loos interrogando i linguaggi del minimalismo e il modello della galleria “white cube”, gettando l'estetica contro un muro di mattoni e frammenti di etica infranta.
 
Attraverso una selezione di opere storiche, la più recente produzione e installazioni site-specific progettate per interagire con gli interni della galleria, l'artista crea un itinerario in cui la giustapposizione di materiali diversi e il forte impatto creato dal suo sapiente uso di colori e motivi danno origine a una serie di riferimenti incrociati e contrasti intesi a minare le credenze care all'osservatore, consapevolmente o inconsciamente immerso in un ambiente che è sì attraente ma che si dimostra in realtà inospitale e potenzialmente pericoloso.

La mostra si apre con un'imponente installazione site-specific, Hanging Piece del 1993, in cui pesanti mattoni di argilla pendono dal soffitto sospesi da cappi realizzati con delle corde rosse. Il mattone, icona del movimento minimalista, si trasforma in umoristico patibolo per un archetipico imbroglione. Il visitatore è invitato a farsi strada attraverso la pioggia di mattoni, in uno spazio scandito da tre profetiche insegne al neon del 2003, che illuminano ad intermittenza le parole DANGER TERROR BORDER (PERICOLO TERRORE CONFINE). La prima lettera di ogni neon si accende e si spegne e le parole si trasformano in ANGER ERROR ORDER (RABBIA ERRORE ORDINE). L'effetto già estremamente straniante dell'installazione complessiva è amplificato da un pavimento specchiante che raddoppia l'esperienza sospendendola in uno stato surreale quasi onirico dove ciò che “è sopra” cambia per diventare ciò che “è sotto”.
 
La personale dell'artista sudafricano procede quindi con la sua ultima produzione: stampe lenticolari, fotografie di fiori e piante, dipinti di nature morte e sculture. Qui la sensazione di alienazione si rinnova attraverso una carta da parati site-specific e la sensazione di pericolo viene rafforzata dall'uso di frammenti di vetri rotti, minacciosi ma esteticamente affascinanti, che rimandano al suo iconico "Autoritratto" del 1995, una bottiglia rotta di birra Heineken.
 
Geers capovolge completamente il linguaggio tipico delle nature morte dell'arte tradizionale olandese con una svolta espressionista/concettuale: i fiori recisi vengono incorniciati sullo sfondo del cambiamento climatico e della proliferazione delle frontiere e dei confini sociali.
«OrnAmenTumEtKriMen è una risurrezione dello spirito attraverso l'invocazione della natura, un'invocazione potente sul tema dell'amore attraverso la mediazione della natura morta. I fiori recisi della tradizione pittorica classica potrebbero infatti essere il simbolo più preciso dei nostri tempi. I fiori sono stati tagliati dalle loro radici e sono sostenuti, solo per un breve momento, dall'acqua nel loro vaso. La loro bellezza risiede nella loro fragilità, ancora viva ma allo stesso tempo morente.» dichiara l’artista.

Descrivendosi come un AniMistAktivista, l'artista intreccia tradizione animistica e sciamanica col misticismo alchemico in un attivismo senza limiti. In segno di protesta contro il materialismo della nostra epoca dominata dal pregiudizio economico e dall'opportunismo politico, propone un'arte di trasformazione spirituale. Geers crede che l'arte detenga la chiave per le difficili domande sulla guarigione e che sia una pratica esoterica dove l'opera non è altro che un talismano. Il suo studio è la sua eterotopia, uno spazio separato dalla realtà nel quale è in grado di incanalare lo spirito nella forma, dove il verbo si fa carne, un sogno si manifesta ed all'inquietante silenzio senza forma viene data una voce per cantare. Per lui creare una grande opera d'arte è più di un processo fisico poiché quando guardiamo una grande opera d'arte, quell'opera d'arte ci guarda a sua volta, è viva - ha uno spirito.
 
OrnAmenTumEtKriMen è una chiamata alle armi. Ma, al posto dei proiettili, l’amore che come l'arte è un'arma di trasformazione:
«L'arte cambia il mondo - una percezione alla volta".»
 
La mostra è accompagnata da un catalogo in cui il curatore Danilo Eccher dialoga con l’artista.

Nato a Johannesburg all’apice dell’apartheid in una famiglia di Boeri della classe operaia, Kendell Geers è cresciuto nella consapevolezza che la sua educazione morale, spirituale e culturale si basava su bugie razziste. Scappato di casa a quindici anni, ha compiuto su sé stesso un’operazione artistica decidendo di spostare la sua data di nascita al maggio 1968. Geers partecipa ai movimenti contro l’apartheid e fugge dal regime militare che lo aveva condannato a sei anni di detenzione, raggiungendo Londra nel 1988 come rifugiato politico. Nel 1989 si trasferisce a New York, dove trova impiego come assistente a tempo pieno di Richard Prince. Dopo il rilascio di Nelson Mandela, Geers torna in Sudafrica nel 1990 per aiutare a costruire la nuova democrazia. Come artista, curatore, musicista, designer e scrittore, Geers lavora senza accettare compromessi. Nella convinzione che l’arte sia tanto politica quanto spirituale, la sua multiforme pratica è irriducibile a mode o cliché. L’energia grezza di un atteggiamento punk si fonde con la filosofia viscerale visionaria di poeti come Rimbaud, Blake e Burroughs in un misterioso cocktail di contrasti inaspettati. Dai primi anni Novanta, Geers ha preso parte a diverse esposizioni, tra cui: The Street. Where the world is made e Road to Justice, al MAXXI (Roma, 2018 e 2017); Documenta (2017 e 2002); La Biennale di Venezia (2017 e 2007); Shanghai Biennale (2016); Punk. Its Traces in Contemporary Art al MACBA (Barcellona, 2016); Contemporary Art from the Centre Pompidou  a Haus der Kunst (Monaco, 2016);  INSERT 2014  all’ Indira Gandhi National Centre for the Arts (Delhi, 2014); The Luminous Interval al Guggenheim Museum (Bilbao, 2011); e la Bienal de São Paulo (2010).

SCARICA IL COMUNICATO IN PDF
COMMENTI