Presentato l’intervento a cura dell’Opificio delle Pietre Dure

Nuova vita alla Cappella Bardi di Giotto. Nei prossimi tre anni il restauro a vista

Giotto di Bondone, Le esequie di San Francesco, Cappella Bardi, Basilica di Santa Croce, Firenze. Giotto di Bondone [Public domain]
 

Francesca Grego

13/05/2019

Firenze - Preziosa ed espressiva, la Cappella Bardi in Santa Croce è considerata il testamento artistico di Giotto, ma la delicatezza delle sue pitture murali ha rischiato più volte di giocarle brutti scherzi.
A 58 anni dall’ultimo restauro, l’Opera di Santa Croce annuncia un nuovo, importante intervento che nel corso del prossimo triennio restituirà brillantezza e solidità al ciclo fiorentino delle Storie di San Francesco.
I lavori, che prevedono un impegno complessivo di circa un milione di euro, saranno realizzati dall’Opificio delle Pietre Dure con il sostegno di ARPAI (Associazione per il Restauro del Patrimonio Artistico Italiano), della Fondazione CR Firenze e del Ministero per i Beni e le Attività Culturali.
 
Un’occasione irripetibile, spiegano gli esperti dell’Opera di Santa Croce, per indagare il metodo di lavoro del maestro trecentesco, dai segreti del mestiere alle scelte riguardanti le tecniche di pittura murale.
Non a caso, all’origine della fragilità dell’opera c’è proprio la preferenza qui accordata da Giotto alla pittura a secco: probabilmente perché impegnatissimo – ormai maturo, celebre e richiesto in tutta la penisola – per la Cappella Bardi il pittore si affidò a un metodo in grado di contenere i tempi di esecuzione.
Una decisione destinata ad avere ricadute nel corso dei secoli. Danneggiato da alluvioni e infiltrazioni, interessato da restauri periodici più o meno invasivi, il Ciclo di San Francesco ha rischiato anche di essere cancellato per sempre. È accaduto nel 1730, quando venne coperto di vernice a calce con la tecnica della scialbatura. Oltre al precario stato di conservazione, giocarono a suo sfavore lo stile definito spregiativamente “primitivo”, il disegno e i colori vivaci ormai fuori moda.
Sarebbero serviti 120 anni per riscoprire la magnificenza semplice e la forza comunicativa di Giotto e del suo San Francesco fiorentino. Il ritrovamento e il recupero delle pitture a metà Ottocento segnarono poi una pagina memorabile della storia del restauro in Italia.
 
Nel terzo decennio del Trecento i Bardi, tra le famiglie di banchieri e mercanti più potenti d’Europa, affidarono al maestro di Bondone la decorazione della propria cappella all’interno della Basilica di Santa Croce. Ne venne fuori un’opera di potente eloquenza, anche se più sobria delle Storie di San Francesco dipinte ad Assisi o della Cappella degli Scrovegni di Padova. Qui Giotto si concentra sulla figura umana evidenziandone le emozioni con sorprendente realismo, come nel caso dei frati piangenti intorno alla salma del santo. I panneggi larghi e gonfi sottolineano i volumi dei corpi, mentre la scena della Prova del Fuoco preannuncia già le Sacre Conversazioni del Quattrocento fiorentino.
 
Dopo i restauri del 1937 e del 1958-61, recenti indagini dell’Opera di Santa Croce hanno segnalato una nuova emergenza: sia la pellicola pittorica che gli strati più profondi dell’intonaco risultano pesantemente danneggiati.
L’intervento dell’Opificio delle Pietre Dure sarà portato avanti in due tempi: una campagna diagnostica che sarà avviata immediatamente e il restauro conservativo vero e proprio, articolato in più fasi. Le più avanzate strumentazioni opto-elettroniche permetteranno poi di ricavare quante più informazioni possibile dallo studio dei dipinti, attraverso analisi programmate in diversi momenti dell’intervento.
 
“Il progetto di restauro della Cappella Bardi di Giotto rappresenta per l’Opera di Santa Croce un evento unico”, ha spiegato al presidente dell’Opera Irene Senesi durante la presentazione: “L’Opificio delle Pietre Dure si appresta ad avviare un cantiere che si prospetta complesso e non breve. Proprio per questo con l’Opificio, perché i visitatori possano continuare a godere degli affreschi, stiamo programmando i lavori perché siano accessibili dal vivo nel corso del restauro”.

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