Intervista al duo ospite dell’evento speciale al SalinaDocFest

Dall’arte visuale al cinema. Parla Nicolò Massazza di Masbedo: “Arsa una forza tra solitudine e rinascita”

Arsa © 2024 Eolo Film Productions S.r.l. and Alcion S.r.l.
 

Samantha De Martin

25/07/2025

Un binocolo per scrutare la spiaggia e i suoi turisti, per catturare il mondo oltre l’apparenza. Un canneto per tenersi a distanza, preservando quel granello di solitudine necessaria per confrontarsi con il lutto e con la perdita.
Dalla soglia della sua casupola fatiscente che guarda al mare, da qualche parte lungo il perimetro di un’isola, Arsa è un essere liminale, una figura che, abitando il margine, genera una nuova forma di presenza.
Vivendo agli antipodi della società, recupera gli scarti che il mare restituisce alla terra e, partendo dallo scarto, produce una nuova realtà, mentre la sua arte sublima la fatica e il dolore trasformandoli in qualcosa di nuovo e significativo.
Complice di questo gesto di resistenza, un espediente per indagare la vita nell’imperfetto e nel dimenticato, è l’isola di Stromboli, attrice selvaggia e presenza necessaria, che brandisce sua la natura estrema dove ogni ogni raffica di vento che piega l’onda è un invito a esplorare la potenza dell’immaginazione e della solitudine, a ricordarci che siamo tutti, nessuno escluso, isole nella corrente.
Appena rientrato dal SalinaDocFest, il Festival internazionale del documentario narrativo, svoltosi a sull’isola delle Eolie dal 15 al 20 luglio, giunto alla sua XIX edizione, dove Arsa è stato presentato come evento speciale, Nicolò Massazza, a nome del duo MASBEDO (fondato nel 1999 assieme a Iacopo Bedogni, il nome del duo è il risultato delle prime sillabe dei loro cognomi) parla del loro film di debutto sul grande schermo, distribuito in sala lo scorso aprile.
D’altronde le tematiche affrontate dal documentario prodotto dalla Eolo Film Production di Beatrice Bulgari per la regia di Masbedo e la sceneggiatura di Iacopo Bedogni, Nicolò Massazza, e Giorgio Vasta, ben si sposano con i contenuti del Festival nato da un’idea di Giovanna Taviani e presieduto da Giulia Giuffrè, che spaziano dalla salvaguardia dell’ambiente all’impegno sociale fino alla letteratura, tenendo come faro la rinascita del documentario narrativo.
Arsa vuole essere l’esempio di un cinema che unisce, si espande, fa del paesaggio un corpo comune, simile a un piccolo arcipelago narrativo in cui ogni isola, ogni tappa, è un incontro.
Premio Innovazione 2025 agli Arthouse Awards del Cinema Farnese di Roma, quest' opera visiva e poetica che esplora il desiderio, la solitudine e l’incontro tra l’umano e la natura, farà ritorno a Stromboli il 2 e il 3 agosto per fare tappa, nel cuore della laguna veneziana, al Cinema Galleggiante il 31 agosto, e approdare il 4 settembre a Capri, nell’ambito del Festival del Paesaggio.


Niccolò Massazza | Foto: © Davide Scimone

Nel vostro lavoro è presente una costante esplorazione e commistione di diversi linguaggi artistici: video, installazione, cinema, performance, teatro d'avanguardia e sound design. Recentemente avete individuato nel rapporto tra cinema e arte un ambito di indagine privilegiato, che affronta con uno sguardo attento sia agli aspetti socio-antropologici sia a quelli più intimi e poetici. Come nasce l’idea di trasferire la vostra arte sul grande schermo?
“È nata in modo naturale, quasi come un’estensione del nostro sguardo. Sentivamo il bisogno di uno spazio più ampio, più poroso, dove il tempo non fosse contratto, ma potesse dilatarsi, vibrare. Il cinema ci ha permesso di far respirare le immagini, di abitarle non più come icone fisse, ma come presenze vive, in movimento. Con Arsa non abbiamo abbandonato il nostro linguaggio visivo, lo abbiamo semplicemente lasciato evolvere, accogliendo la narrazione come nuova forma di scultura del tempo”.

Arsa incarna un po’ il ruolo dell’artista oggi?
“In un certo senso sì. Arsa è un essere liminale, una figura che abita lo scarto, il margine, e da lì genera una nuova forma di presenza. Il suo gesto artistico nasce dal rifiuto non solo in senso materiale, ma anche esistenziale. Lei sublima ciò che è stato abbandonato, sia fuori che dentro di sé. Non si impone, non parla, ma agisce: crea, trasforma, trasfigura. In questo, somiglia a un archetipo dell’artista contemporaneo, costretto a reinventare senso e bellezza in un mondo che sembra averli smarriti”.

Arsa è una ragazza forte, che apprende dal padre (Lino Musella) l’importanza dell’immaginazione. Ma lui è un artista bloccato da una realtà che lo costringe a scivolare verso una creatività più artigianale. Lascia in eredità alla figlia il suo sguardo sul mondo. Che tipo di mondo è quello dell’arte, evocato attraverso la figura del padre di Arsa?
“È un mondo contraddittorio, affascinante e doloroso. Il padre di Arsa è un artista incompiuto, un uomo che ha fatto dell’arte un’ossessione e una ferita. Attraverso di lui, il film interroga l’ambiguità del gesto creativo: da un lato come promessa di salvezza, dall’altro come rovina. L’arte, nel film, non è un mondo ideale: è un campo di tensioni, un luogo dove si consumano sogni, ma anche dove, a volte, si rigenerano”.


Arsa © 2024 Eolo Film Productions S.r.l. and Alcion S.r.l.

C’è una componente autobiografica nel film?
“Sì, ma non in senso lineare. Non c’è un racconto di eventi vissuti, quanto piuttosto una sedimentazione emotiva, un’autobiografia simbolica. Alcune immagini, alcuni gesti di Arsa, nascono da esperienze intime che abbiamo poi distillato, sublimato. È una forma di verità traslata, più vicina all’inconscio che al diario”.

Perché la scelta è ricaduta su Stromboli? Com’è stato girare sull’isola?
“Stromboli ci ha chiamati, l’isola da 26 anni è il nostro studio a cielo aperto. Non c’è un altro modo per dirlo. È un’isola che porta dentro di sé la memoria del mito, ma anche l’urgenza del presente. Girare lì è stato un atto di immersione totale. Il tempo si frantuma, la natura impone il suo ritmo, le condizioni sono estreme. Ma proprio da quella difficoltà nasce un ascolto più profondo”.

Il rapporto di Arsa con i detriti è una ricerca di rinascita?
“Assolutamente sì. Arsa non è un’ambientalista in senso ideologico. Il suo gesto è arcaico, rituale. Raccoglie i resti del mondo per rileggerli, per ridare loro un respiro. La plastica, il ferro, gli oggetti spezzati diventano nel suo laboratorio organismi vivi, totem interiori. La sua è una pratica sciamanica: non denuncia, ma trasmuta”.

Arsa vive in solitudine. La solitudine è necessaria per creare?
“Per Arsa sì, e forse anche per noi. La solitudine, nel film, non è isolamento, ma ascolto. È una condizione radicale, a volte dolorosa, ma necessaria per entrare in relazione con qualcosa di più profondo. Nella solitudine Arsa trova la sua voce, che non è fatta di parole, ma di visioni. È lì che avviene la metamorfosi”.


Arsa © 2024 Eolo Film Productions S.r.l. and Alcion S.r.l.

Andrea (Jacopo Olmo Antinori) in vacanza con sue amici (Giovanni Cannata e Luca Chikovani) che studiano cinema, è profondamente attratto da Arsa. Da cosa nasce la scelta di affiancare ad Arsa questa figura?
“Andrea è una presenza discreta, quasi un’ombra. Non entra nella vita di Arsa per salvarla, né per cambiarla. È un essere che osserva, che resta ai bordi. La sua funzione è quella di creare un contrappunto, un respiro narrativo, una possibilità relazionale non invasiva. È il mondo che bussa senza sfondare la porta”.

Le isole sono uno scenario ricorrente nel vostro lavoro. Cosa rappresentano?
“Le isole ci attraggono per la loro ambiguità. Sono luoghi chiusi, definiti dal mare, ma al tempo stesso universi aperti, densi di simboli, di memorie. Pantelleria nel 2022, Stromboli oggi. Ogni isola è un personaggio, un attivatore di visioni. Lontano dal continente, tutto diventa più essenziale, più nudo”.

Perché “Arsa”?
“Perché è un nome che contiene una condizione. Arsa è bruciata, ma ancora viva. È un corpo attraversato dal fuoco non distrutto, ma trasformato. È un nome asciutto, radicale, che risuona come una parola antica”.

Uscendo dalla sala avrei voluto avere la stessa forza di Arsa, la capacità di fare della solitudine una risorsa. Arsa potrebbe rappresentare un modello?
“Non ci interessa proporre modelli, ma figure che agiscano come detonatori interiori. Se lo spettatore, uscendo dalla sala, sente di essere stato toccato, scosso, allora Arsa ha compiuto il suo gesto. Volevamo “impollinare” il pubblico, e la tua reazione ci conferma che la semina è avvenuta. Forse Arsa è una forza più che un personaggio”.

Perché la scelta della protagonista è ricaduta su Gala Martinucci, al suo debutto sul grande schermo?
“Perché è un corpo non ancora codificato. Gala ha una purezza che non è innocenza, ma profondità. Sa abitare il silenzio, sa restare. Non recita: offre. Il suo volto, il suo sguardo, contengono un enigma che non abbiamo voluto spiegare, ma custodire”.

A cosa state lavorando?
“Stiamo scrivendo un nuovo film e progettando per il 2026 diverse mostre. Non abbiamo fretta”.