Il docufilm di Ali Ray al cinema dal 22 al 24 novembre

Frida Kahlo - La nostra recensione

Frida Kahlo, The Two Fridas, 1939 | © EXHIBITION ON SCREEN
 

Francesca Grego

22/11/2021

“Chi era Frida Kahlo? Impossibile trovare una risposta esatta. Tanto era contraddittoria e molteplice la personalità di questa donna da poter affermare che siano esistite molte Frida diverse. E forse nessuna di loro fu come lei avrebbe voluto essere”. La riflessione è di Alejandro Gòmez Arja, il primo fidanzato dell’artista, che continuò a seguirla per tutto il corso della sua vita. A indagare la figura della pittrice messicana arriva ora il docufilm Frida Kahlo di Ali Ray, al cinema solo il 22, il 23 e il 24 novembre: un invito a guardare oltre il volto che tutti abbiamo impresso in mente e a conoscere Frida al di là dei luoghi comuni, grazie alle testimonianze di chi ha avuto la fortuna di incontrarla, frequentarla e amarla, ma anche di storici dell’arte, critici ed esperti impegnati a studiarne l’opera. è la stessa artista a disseminare la strada di indizi: i soggetti della pittura, dice in una lettera, “sono i miei stati d’animo e i segni che la vita ha lasciato su di me”. 

Prodotto da Phil Grabsky con Seventh Art Production e distribuito in Italia da Adler Entertainment, Frida Kahlo è un documentario scorrevole e chiaro, ma ricchissimo di informazioni e di forte impatto. In un’ora e mezza consente di ripercorrere l’intera esistenza di Frida seguendo una varietà di fili conduttori, viaggiando in un mosaico di immagini dipinte, interviste, ricordi, fotografie, pagine di diario. Cuore del racconto sono i quadri dell’artista, in grandissima parte autoritratti, inviti espliciti a entrare nella sua intimità. Proprio perché arte e vita si avviluppano in un unico, avvolgente abbraccio, scavare nella sfera personale è tutt’altro che un’esercizio ozioso: ogni quadro è un capitolo di una potente autobiografia per immagini, ogni dettaglio trova corrispondenza in un evento o in un sentimento ben documentato, e decodificarne la trama simbolica è una sfida intrigante. 


FRIDA KAHLO, Gran Bretagna, 2020, 90', Seventh Art Productions, Exhibition on Screen, Produttori esecutivi Tim Dawson, Phil Grabsky, Amanda Wilkie, Regia di Ali Ray, Distribuito in Italia da Adler Entertainment, Media partner ARTE.it, ComingSoon

Con i colori, le tradizioni e le passioni del Messico sempre sullo sfondo, seguiamo Frida dall’infanzia nella mitica Casa Azul all’incidente che ne sconvolse la vita, dalla burrascosa relazione con il pittore Diego Rivera alla consacrazione nel mondo dell’arte. La guardiamo posare per il padre fotografo e ritoccarne gli scatti con la stessa precisione che ne contraddistingue i dipinti, trovare nell’arte il mezzo per esprimere se stessa quando è a letto dopo l’incidente, prendersi cura degli animali esotici che ospita in giardino, bere ed esplodere in scenate di gelosia, affrontare cure e interventi dolorosissimi, cercare disperatamente un figlio che non arriverà, ma anche appassionarsi alla politica, brillare nelle occasioni mondane, viaggiare tra New York e Parigi per le mostre che la consacrarono, galvanizzare l’attenzione delle celebrità con la sua personalità magnetica e il suo look anticonformista. 

Scopriamo opere rare come l’unica litografia della carriera, in cui la Kahlo, dopo un aborto drammatico, rappresenta la propria nascita come artista, e foto rivelatrici come quella del matrimonio, dove lei indossa un abito della sua domestica e posa fumando in sfida alle convenzioni. Frida racconta perché ha sempre conservato intatte le sopracciglia folte, unite sulla fronte, e lascia trapelare l’origine dei suoi coloratissimi outfit messicani, presi in prestito dalle donne Tehuantepec, una cultura indigena di tipo matriarcale che non si è mai piegata all’egemonia ispanica.  


Frida Kahlo, Autoritratto con bonito, 1941, Olio su tela, 55 x 43,4 cm, Collezione privata, USA, Riproduzione formato Modlight | © Banco de México Diego Rivera & Frida Kahlo Museums Trust, México D.F.

Mentre lei oscilla tra la solitudine profonda e la frequentazione dei numerosi artisti e intellettuali europei che convergono in un Messico sempre più cosmopolita, il rivoluzionario Lev Trotsky non resiste al suo fascino di donna e André Breton resta stregato dal realismo magico dei dipinti, nei quali identifica con decisione l’impronta del Surrealismo. “I suoi quadri sono come una bomba infiocchettata”, scrive il poeta francese. Lei risponderà tempo dopo: “Pensavano fossi surrealista, ma non lo ero. Non ho mai dipinto sogni, ho dipinto la mia realtà”. Se all’inizio della carriera le gallerie messicane rifiutano i suoi quadri perché “troppo strampalati”, più tardi ad apprezzarli saranno giganti del calibro di Kandinsky, Mirò, Picasso, Tanguy. 

“Non mi aspetto dalla mia opera se non la soddisfazione che traggo dall’esprimere ciò che altrimenti non potrei dire a parole”, spiega semplicemente l’artista. Nelle sue opere possiamo rintracciare temi al centro dell’agenda contemporanea, dal femminile alla disabilità, fino alla fluidità di genere. Ma il valore del film di Ali Ray sta soprattutto nell’andare oltre le narrazioni date per scontate, oltre il fascino di immagini forti ma ormai viste e riviste,  per mostrarci i motivi dell’originalità e della novità radicale di Frida: la sua resistenza a stili, mode e correnti, la capacità di elaborare un linguaggio unico mescolando mondi distanti anni luce in immaginifici “film dipinti”, la totale osmosi tra arte e vita, la volontà di mettersi a nudo disintegrando i tabù più scabrosi, di trasformare la pittura in terapia e quest’ultima in capolavoro. 


FRIDA KAHLO, Gran Bretagna, 2020, 90', Seventh Art Productions, Exhibition on Screen, Produttori esecutivi Tim Dawson, Phil Grabsky, Amanda Wilkie, Regia di Ali Ray, Distribuito in Italia da Adler Entertainment, Media partner ARTE.it, ComingSoon

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