GLI “INTERMEDI” DI BUONTALENTI

Teatro Firenze
 

18/06/2001

Gli intermezzi organizzati da Giovanni de’ Bardi per la rappresentazione della commedia “La Pellegrina” del 1589, furono oggetto di studio sul finire del XIX secolo per Aby Warburg. Lo studioso tedesco va riconosciuto a buon diritto come il progenitore di un nuovo modo di occuparsi di storia dell’arte, che ha avuto il merito di districare la materia dalle pastoie romantiche puntando alla ricostruzione dei contesti e all’interazione di più discipline al servizio di questo obiettivo. L’occasione degli Intermezzi è data dai festeggiamenti per il matrimonio del Granduca Ferdinando I de’ Medici, che, dopo aver deposto la porpora cardinalizia nel 1588, sposa l’anno dopo Cristina di Lorena, nipote di Caterina de’ Medici, regina di Francia. Varie le manifestazioni durate per tutto il mese di maggio del 1589: l’albero di maggio, il calcio a livrea, una caccia di leoni, orsi ed altri animali in Piazza S. Croce, la naumachia nel cortile di Palazzo Pitti, una mascherata dei fiumi, il corso al Saracino, ecc. Il 2 maggio nel Teatro mediceo degli Uffizi viene messa in scena “La Pellegrina” di Girolamo Bargagli con gli Intermezzi di Giovanni de’ Bardi. Fonti di grande rilievo utilizzate da Warburg sono i disegni di Bernardo Buontalenti, alcune incisioni di Agostino Carracci e di Epifanio d’Alfiano, il libro dei conti per i costumi teatrali di Emilio de’ Cavalieri. Lo studioso tedesco riporta l’intero staff che collabora alla realizzazione degli Intermezzi: Giovanni de’ Bardi è l’animatore, Emilio de’ Cavalieri l’intendente teatrale, Bernardo Buontalenti il disegnatore dei costumi e macchinista, Bastiano de’ Rossi, accademico della Crusca, ha l’incarico di rivolgere l’attenzione del pubblico colto sulle idee generali della rappresentazione, fine per il quale scrive anche la “Descrizione”, mentre Ottavio Rinuccini compone i testi dei madrigali. I sei Intermezzi si caratterizzano come pantomime di gusto antico, accompagnati da madrigali, incentrati sul potere della musica e modellati sulle indicazioni di scrittori antichi. Tre di queste rappresentazioni si configurano come allegorie platoniche sulla musica mondana (I-“L’Armonia delle sfere”, IV-“La Regione de’ Demoni”, VI-“La discesa di Apollo e Bacco insieme col Ritmo e l’Armonia”), mentre le restanti come allegorie della musica humana (II-“La gara fra Muse e Pieridi”, III-“Il combattimento pitico d’Apollo”, V-“Il canto d’Arione”). L’interesse va focalizzato sul diverso accento che de’ Bardi dà alle sue invenzioni: allo stesso Giovanni si deve, infatti, la riforma della musica in senso classico operata in quegli stessi anni. L’enigma che si tenta di risolvere nel saggio warburghiano è il perché di questo cambiamento di influenza dell’antichità. Nel primo Intermezzo viene riprodotta la musica armonica delle sfere che secondo Platone è data dalla consonanza di necessità e natura: ecco perché la Necessitas è al centro con ai piedi le tre Parche, sue figlie, con cui gira il fuso dell’universo, mentre si uniscono al loro canto le Sirene che muovono le altre sfere del cosmo. Un significato così complesso andava accompagnato da immagini più dirette che ne facilitassero la comprensione e, come afferma Warburg, bisognava che l’autore “parlasse più agli occhi che agli orecchi degli spettatori” caratterizzando i singoli personaggi con costumi simbolici e vistosi. Per questo i costumi delle Sirene, figure principali, avevano una sopravveste di penne e prevedevano, sul capo, l’emblema della relativa stella che personificavano. Delle Sirene, infatti, si dovevano cogliere di primo acchito almeno due fattori: che erano le cantatrici alate dell’antichità e le motrici delle sfere. Quanto detto sulle Sirene vale anche per gli altri personaggi degli Intermezzi. Sta di fatto, però, che il de’ Bardi va oltre le sue intenzioni e con un simbolismo sfarzoso e barocco non rende intellegibile la sua composizione (diari successivi non afferrano il soggetto). Di lì a poco la fine erudizione del primo Rinascimento lascerà il posto al sentimento bucolico che trova le sue massime espressioni in opere come “l’Aminta” di Torquato Tasso e “il Pastor Fido” di Battista Guarini. Come esempio di questo passaggio Warburg prende “la Dafne” composta ancora da Giovanni de’ Bardi nel 1594. Negli Intermezzi del 1589 il modello classico derivava dalla tradizione quattrocentesca erudita, pur concedendo qualcosa al barocco; nella Dafne del 1594, invece, unendo parola e suono, si tentò attraverso il melodramma di “interessare non soltanto la mente ma anche il cuore degli spettatori”. Sintomatico di questo processo la rappresentazione della battaglia pitica di Apollo, presente in entrambe le occasioni: nel terzo Intermezzo per “La Pellegrina” il dio del sole era presentato come simbolo cosmico, mentre nella “Dafne” veniva spogliato di ogni carattere aulico fino a divenire un semplice giovane che canta i suoi infelici amori con la ritrosa pastorella.

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