Dal 20 febbraio al 23 giugno al Museo di Roma a Palazzo Braschi

Cortigiane, attori, paesaggi naturali. Il mondo fluttuante del Giappone incanta Roma

Kikugawa Eizan, Raccolta moderna di bambini come tesori, 1809, Silografia policroma 38.6 x 26.3 cm © Courtesy of Museo d’Arte Orientale E. Chiossone
 

Samantha De Martin

19/02/2024

Roma - Ci sono le donne di Kitagawa Utamaro, impegnate a raccogliere i cachi o a stendere il bucato sul tetto, mentre le bambine di Toyokuni giocano con un’enorme palla di neve.
Altre vanno a caccia di lucciole, un’altra soffia le bolle. C’è una cortigiana con l'ombrello, sotto la neve. E poi una geisha immersa nella lettura al chiaro di luna.
Ma forse vorremmo essere parte di quel gruppo di donne intente a contemplare la fioritura dei ciliegi, mentre la tavola dei colori diventa vibrante, quasi ipnotica per chi la osserva.
Due bambini si divertono a scrutare le immagini di vedute attraverso il visore ottico. La scena ricorda Mondo Novo, l’opera nella quale Giandomenico Tiepolo aveva rappresentato la folla veneziana radunata, curiosa, attorno a un cosmorama.
La diffusione dei visori ottici in forma di teatrino, curiosi marchingegni derivati dalla scienza occidentale importata in Giappone nei primi decenni del Settecento, gli occhiali, i binocoli, l’uso della prospettiva lineare da parte di Okumura Masanobu, fino a quel momento assente nella pittura orientale, e quel blu di Prussia di cui Hokusai fece sfoggio nelle sue serie di paesaggi all’inizio degli anni trenta dell’Ottocento, sono solo alcuni segni di un Giappone che inizia ad aprirsi all’occidente.
Questo dialogo fatto di reciproci influssi, evidenti anche in opere di artisti occidentali, dagli Impressionisti a Toulouse-Lautrec, è forse l’elemento più interessante che emerge dalla bella mostra Il mondo fluttuante. Ukiyoe. Visioni dal Giappone, un viaggio delicato, inaspettato, a tratti divertente, nel colorato abbraccio di 150 capolavori in prestito dalle collezioni di artisti, primi viaggiatori e residenti in Giappone nella seconda metà dell’Ottocento.
Ad accoglierlo tra le sue sale sarà dal 20 febbraio al 23 giugno il Museo di Roma a Palazzo Braschi, grazie a una mostra curata da Rossella Menegazzo, promossa da Roma Capitale, assessorato alla Cultura, sovrintendenza capitolina ai Beni Culturali, coprodotta e organizzata dalla sovrintendenza capitolina e da MondoMostre, con il supporto di Zètema Progetto Cultura.


Kitagawa Utamaro, Giovani donne e inserviente raccolgono i cachi, 1803-1804, Silografia policroma, trittico 76.3 x 37.5 cm © Courtesy of Museo d’Arte Orientale E. Chiossone

La forte influenza esercitata dall’arte giapponese e dall’ukiyoe sulla cultura occidentale di fine Ottocento e inizio Novecento è restituita nel percorso attraverso il racconto dell’esperienza di due artisti italiani, lo scultore Vincenzo Ragusa e l’incisore Edoardo Chiossone, dalle cui collezioni provengono i pezzi esposti. Invitati dal governo giapponese Meiji di fine Ottocento come formatori e specialisti nei primi istituti di grafica e arte, conobbero profondamente il Giappone nei lunghi anni di permanenza, al punto da diventare anche collezionisti, dando vita a due tra i più importanti nuclei di arte orientale in Italia, oggi conservati presso il Museo d’Arte Orientale Edoardo Chiossone di Genova e al Museo delle Civiltà di Roma.

Se Ragusa si concentrò sul collezionismo relativo alle arti applicate - dai grandi contenitori in legno laccato per il gioco delle conchiglie alle scatole da gioco, dai ventagli ai portatabacco - Chiossone fa suoi volti e sguardi. Abbracciando centocinquanta opere dell’arte giapponese di epoca Edo, tra il Seicento e l’Ottocento, il percorso si focalizza su quello che è stato il filone artistico più innovativo del tempo, l'ukiyoe. La traduzione letterale allude alle “immagini del mondo fluttuante”, in riferimento a un genere pittorico nato in epoca Edo (1603-1868) che include rotoli da appendere e da srotolare tra le mani, paraventi di grande formato, dipinti a pennello su seta o carta, oltre a stampe realizzate in policromia con matrice in legno su carta.


 Il mondo fluttuante. Ukiyoe. Visioni dal Giappone | Allestimento 

Lasciandoci trasportare da un allestimento ben costruito, ci immergiamo nei quasi duecentocinquant’anni che trascorsero sotto il governo militare dei Tokugawa, un lungo periodo di pace segnato da grandi cambiamenti sociali, economici ed artistici, terminato con la riapertura forzata del paese agli scambi con le potenze occidentali a partire dalla metà dell’Ottocento e la Restaurazione Meiji che riportò al centro del potere l’Imperatore.

Incontriamo oltre 30 artisti, i più importanti maestri dell’ukiyoe, dalle prime scuole seicentesche come la Torii fino ai più noti di Kitagawa Utamaro, Katsushika Hokusai, Tōshusai Sharaku, Keisai Eisen e alla grande scuola Utagawa con Toyokuni, Toyoharu, Hiroshige, Kuniyoshi, Kunisada che rappresentò l’apice e forse anche il dissolvimento del genere quando i tempi stavano ormai cambiando.
Importata dalla Cina, la tecnica dell’ukiyoe implementò la diffusione di immagini e libri permettendo una produzione in serie grazie anche al talento degli artisti ingaggiati.
Se fino ad allora ukiyoe alludeva all’illusorio mondo terreno da cui rifuggire, secondo l’insegnamento buddhista, ora prendeva un senso opposto di godimento dell’attimo fugace e di tutto ciò che era alla moda. L’ukiyoe (ed è questo un altro punto di forza della mostra) restituisce una testimonianza diretta della società giapponese del tempo, espressione degli usi e dei costumi, delle mode da indossare, dei luoghi naturali e delle vedute urbane più ricercate. Ritroviamo le immagini del teatro kabuki con i volti degli attori più affermati e ci addentriamo nei quartieri di piacere ravvivati dalla bellezza di cortigiane, lasciandoci trasportare dagli spettacoli di musica e danza e dagli intrattenimenti con ogni forma d’arte.


Utagawa Hiroshige II, Veduta dal piano superiore [della casa da tè Gankirō] nel quartiere di piacere di Miyozaki a Yokohama, 1860, Silografia policroma, trittico 35.6 x 74.7 cm © Courtesy of Museo d’Arte Orientale E. Chiossone

Dietro al racconto di nuove mode e stili di vita, l’ukiyoe lascia trasparire anche una raffinatezza culturale testimoniata dalla diffusione delle arti concepite come discipline formative dell’individuo colto, talvolta utilizzate come espediente per aggirare la censura del governo che vietava soggetti legati a cortigiane e attori, nascosti da artisti ed editori sotto velati insegnamenti morali e moralistici.

“L’ukiyoe - spiega la curatrice Rossella Menegazzo - oggi conosciuto in tutto il mondo come il filone artistico giapponese preminente per la forte influenza che ha avuto sull’arte europea dell’Otto e del Novecento, in realtà rappresentò per l’epoca anche un nuovo mezzo di divulgazione, attraverso le immagini e i libri illustrati, di valori culturali nuovi che si andavano imponendo. Dietro a rappresentazioni di un mondo di piaceri e intrattenimenti terreni spesso si celavano insegnamenti, concetti morali e messaggi che venivano passati abilmente, scavalcando la forte censura governativa che voleva colpire il lusso e le classi emergenti. Le opere in mostra ci raccontano quanto quella di Edo fosse una società alfabetizzata e come si usassero le arti come disciplina formativa dell’individuo. Ma ci raccontano anche l’apertura del Giappone all’Occidente e i rapporti speciali che il paese ebbe con il Regno d’Italia, poiché tutti i pezzi esposti provengono dalle collezioni di artisti o diplomatici italiani, i primi viaggiatori e residenti in Giappone nella seconda metà dell’Ottocento”.


Tōshūsai Sharaku, L'attore Tanimura Torazo nel ruolo di Washizuka Happeiji, Dal dramma Koinyōbō somewake tazuna, 179 Silografia policroma, 50.9 × 35.9 cm | © Courtesy Museo d’Arte Orientale E. Chiossone

Se il tema della musica è approfondito attraverso una selezione di strumenti musicali del tempo, gli interni delle case da tè cedono allo struscio lungo la via centrale del quartiere di Yoshiwara a Edo, ma anche alla quotidianità della vita di queste donne dei sogni. Bellissimo il soprakimono (uchikake) color indaco e ricamato in fili d’oro e colorati dalla collezione del Conte di Bardi; raffinati i ventagli e lo specchio da toletta provenienti dalle collezioni del Museo delle Civiltà di Roma.

Dopo essersi anche lui dilettato in giochi e passatempi, intrattenimento con danze, giocattoli, acrobati, sorridendo di fronte ai ritratti arcimboldeschi di Utagawa Kuniyoshi, agli attori nascosti dietro le sembianze di pesci, alle cortigiane travestite da passeri, il visitatore trova pace nella contemplazione delle vedute naturali e architettoniche di tutte le province del Giappone, da Edo a Kyoto.


Katsushika Hokusai, Veduta del tramonto presso il ponte Ryōgoku dalla
sponda del pontile di Onmaya, Dalla serie Trentasei vedute del Monte Fuji, 1830-1832, Silografia policroma | © Courtesy Museo d’Arte Orientale E. Chiossone

Viaggiamo attraverso le montagne lungo il Kisokaidō e attraverso il mare sul Tōkaidō, tra scenari naturali e vedute del Fuji da diverse angolazioni del territorio giapponese. La Grande Onda di Kanagawa parte delle Trentasei vedute del Monte Fuji di Katsushika Hokusai osserva i tre trittici di Utagawa Hiroshige dedicati ai “Tre Bianchi”, quello della neve, quello della luna e quello dei fiori di ciliegio qui sostituito dalla schiuma delle onde. E lo sguardo, ancora una volta, si perde tra i gorghi di Naruto ad Awa.

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