A Roma dal 22 maggio al 28 luglio

Dalle ceramiche ai tagli nel segno dell'oro e dello spazio: Lucio Fontana alla Galleria Borghese

Una veduta della mostra Lucio Fontana. Terra e Oro. Galleria Borghese, 2019. Foto: © Niccolò Ara © Fondazione Lucio Fontana by SIAE 2019
 

Samantha De Martin

20/05/2019

Roma - Un arlecchino in cemento e mosaico policromo sembra slanciarsi verso la volta di Mariano Rossi, sotto lo sguardo del leggendario Marco Curzio scolpito da Pietro Bernini mentre fende l’aria con le mani in un gesto di straordinaria leggerezza.
Al piano terra della Galleria Borghese, alle spalle del corpo marmoreo, quasi evanescente di Proserpina, i buchi e i graffiti su rame di un Concetto spaziale del 1964, mettono a dialogo Lucio Fontana e Gian Lorenzo Bernini con una delicatezza, che, al di là dell’apparente azzardo, trasmette una bellezza armonica in un dialogo tra antico e nuovo che convince.
Ad accogliere il visitatore, nel salone d’ingresso tra nicchie, busti e cammei, il parossismo barocco di un Lucio Fontana scultore nell’insolita veste di ceramista, in una prospettiva visuale che sfodera brillanti crocifissi e Deposizioni dalla Croce in ceramica smaltata policroma, sui fondali del salone, a dialogo con i mosaici e i marmi antico-romani e barocchi. Realizzati interamente a mano dall’artista, queste delicate ceramiche in prestito da diverse collezioni private sembrano raggiungere lo spettatore con il loro moto vibrante, sprigionando verso chi osserva l’anima di chi le ha costruite, impregnata di un’energia vitale. C’è poi il Fiocinatore, in gesso dipinto, oltre allo straordinario Arlecchino con il suo avventuroso slancio verso la volta.

“Il Novecento - spiega la direttrice della Galleria Borghese, Anna Coliva - è l’unico secolo assente dalle collezioni della Galleria Borghese. Questa, come le mostre realizzate in questo contesto, vuole costituire un originale approfondimento sui temi della galleria. Per una serie di misteriosi motivi, Lucio Fontana non ha mai goduto della giusta considerazione a Roma. Risale al 1998 l’ultima mostra relativa a Fontana scultore. Vi chiederete forse perché abbiamo scelto proprio la Galleria Borghese, un luogo non moderno e forse poco adatto ad accogliere un artista del Novecento. Probabilmente per la straordinaria varietà di stili, passioni, per quella spiccata individualità che il nostro museo offre ai visitatori. Nel luogo deputato a rappresentare lo spazio in modo simbolico, illusorio, sempre in relazione con l’oro, come nel corso della storia dell’arte è stato fatto, Fontana, colui che il problema dello spazio lo ha affrontato e risolto attraverso i buchi e poi con i tagli, si colloca a pieno titolo tra le sale della Galleria Borghese”.

Al piano superiore, una trentina di opere approfondiscono la produzione specifica di Fontana, quella dei dipinti, sulla quale si concentra la seconda parte della la mostra. Tagli e buchi, sculture ed ovali si incontrano in un’ambientazione a sfondo oro. Primo artista italiano del Novecento a essere esposto all’interno del Museo, dopo le rassegne dedicate Bacon, Giacometti, Picasso, il pittore di Rosario viene invitato a una relazione con la Galleria come soggetto in sé, in quanto propria e specifica figura artistica, all’interno di un progetto di ricerca su concetti cardine della collezione e del luogo.
Il massimo innovatore dello spazio nell’arte moderna, che non rappresenta lo spazio ma piuttosto lo crea, ammicca ad opere di varie epoche lungo il percorso della storia dell’arte superando radicalmente le rappresentazioni dello spazio, a lungo concepito come pura finzione. I dipinti moderni si fanno cercare, scovare, carpire e - al fine di rendere evidente la grande diversità tra la trattazione dello spazio nell’arte antica e la portata esplosiva della dimensione altra conquistata da Fontana con tagli e buchi - sono volutamente mescolati e ben si amalgamano ai capolavori della collezione permanente nella galleria delle pitture. E così i Concetti spaziali ad olio, acrilico, pietre colorate, oro e ancora squarci e lustrini si affiancano alla Madonna col Bambino di Giovanni Bellini, alla Sibilla Cumana di Domenichino, incontrando ora Gige e Candaule di Dosso Dossi, ora Mosè con le tavole della legge di Guido Reni. Ed ecco il busto della Regina delle Rose in smalto e vetro su ceramica policroma, e ancora buchi accanto alla Pala Baglioni di Raffaello. Dalla teca in vetro che ne preserva la bellezza, estremamente fragile, il Concetto Spaziale Venezia era tutta d’oro, in prestito dal Museo Nazionale Thyssen-Bornemisza di Madrid è una delle opere più belle (e delicate) presenti in mostra.

“La formula è questa: io buco, passa l’infinito di lì, passa la luce, non c’è bisogno di dipingere. Tutti hanno creduto che io volessi distruggere ma non è vero, io invece ho costruito. Da qui nascono i Concetti, le tele sulle quali il fatto mentale nuovo, l’intuizione diventa appunto concetto” spiegava il maestro. E così il visitatore intuisce che “il famigerato buco non è un buco sulla tela, ma la prima dimensione nel vuoto, la libertà concessa agli artisti, agli uomini di creare l’arte con qualunque mezzo”. Una fessura dunque che filtra l’infinito.

Grande assente in questa mostra, che, come spiega Anna Coliva è stata “prodotta interamente all’interno del museo, con forze molto ridotte", La fine di Dio, esemplare in oro conservato dall'ambasciata italiana a Tokyo.
“Avremmo voluto esporla nella Sala di Raffaello - spiega Coliva con rammarico - ma l'ambasciatore, che la conserva nella sua residenza, ha ritenuto di non doverla prestare per l'unica mostra istituzionale che veniva dedicata a Fontana da un grande museo. Ci dispiace che quell'opera, comprata dallo Stato italiano, e in Giappone dagli anni Sessanta, sia sottratta alla vista del pubblico, perché appartiene a tutti".

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