Il Vice Ministro Pistelli descrive il nostro impegno a protezione della Cittadella UNESCO

L'Italia in prima fila per Erbil contro la minaccia ISIS

Erbil. Istituto della Enciclopedia Italiana
 

Ludovica Sanfelice

19/12/2014

Roma - Erbil, capitale del Kurdistan iracheno, la cui Cittadella dalla lunghissima storia e dalle mura ciclopiche è stata inserita nella lista dei siti Patrimonio dell’Umanità, di recente ha drammaticamente conquistato spazio nelle cronache dei conflitti che agitano la regione nord dell’Iraq, divenendo il simbolo della resistenza contro l’avanzata delle truppe del Califfato Islamico.
Attorno a questo insedimento millenario si svolge un'intensa attività di Cooperazione per la salvaguardia del patrimonio culturale dell'intera area in cui l’Italia esercita un ruolo molto attivo.
Per conoscere e comprendere meglio la portata dell'aggressione, la risposta della comunità internazionale, e la natura dell'impegno del nostro Paese, ARTE.it ha intervistato il Vice Ministro degli Esteri e della Cooperazione Internazionale, Lapo Pistelli.

In che modo si esplica il programma di sostegno dell’Italia alla conservazione e valorizzazione del patrimonio artistico di Erbil?
La cooperazione nel settore archeologico ed etnologico è considerato dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI) uno strumento fondamentale di politica estera culturale. Questo Ministero infatti, nel 2014, sostiene complessivamente 197 missioni italiane, che svolgono le proprie attività di ricerca, scavo e restauro in circa 30 Paesi.
Tra queste, hanno assunto un ruolo particolarmente importante quelle rivolte all’Iraq, che da molti anni sono attive in diverse aree del Paese. Si tratta di sette missioni italiane che studiano e valorizzano il patrimonio culturale di un Paese che vanta una storia e tradizioni antichissime.

Due missioni nel Kurdistan, cofinanziate insieme al MIBACT, sono, sotto il profilo scientifico, enormemente importanti e gestite da enti di ricerca qualificati. Una è la missione archeologica dell'Università IULM di Milano che svolge le sue attività nella piana a sud-ovest di Erbil, effettuando sondaggi di scavo nel sito di Tell Halawa. L’altra è quella dell’Università “La Sapienza”, che invece, concentra le sue indagini storico-archeologiche sulla Cittadella di Erbil attraverso saggi di scavo, e contestualmente opera ricerche sul contesto storico, culturale e sociale relativo al sito di Paikuli. L’impegno e la presenza italiana in questo settore sono testimoniati dall’interessante mostra fotografica sulla Cittadella di Erbil, organizzata appunto dalla “Sapienza”, e recentemente presentata presso l’Istituto della Enciclopedia Italiana in Roma.
L’attività della Sapienza a favore della Cittadella è tra l’altro sostenuta anche dalla nostra cooperazione allo sviluppo, assieme ad un progetto di cooperazione realizzato dal Comune di Firenze, anch’esso a favore della riqualificazione della Cittadella di Erbil, che ha contribuito al suo recente inserimento nella lista dei siti patrimonio dell’umanità dell’UNESCO e i cui risultati sono stati presentati proprio questa settimana a Palazzo Vecchio.

Anche la Cooperazione italiana dispiega infatti un forte impegno a tutela del patrimonio culturale iracheno, con l’intento di salvaguardarne l’inestimabile valore, come fattore di sviluppo e quale fattore identitario e unificante di diverse etnie e religioni, chiamate a riconoscersi nei valori di convivenza pacifica che esso esprime. Solo nel Kurdistan iracheno, la cooperazione italiana ha progetti in corso per 2.4 milioni di Euro. Di questi, oltre ai progetti su Erbil, ricordo l’intervento affidato all’Università di Udine, per il restauro di reperti archeologici del Museo di Dohuk e l’elaborazione del progetto del Parco Archeologico Ambientale del complesso idraulico di Sennacherib, finalizzata, tra altro alla presentazione della proposta di inserimento del Complesso nella World Heritage List dell’UNESCO.

Dal 2003 ad oggi, il Governo italiano si è impegnato in numerose iniziative per la salvaguardia e tutela del patrimonio culturale a beneficio delle Istituzioni irachene, per un valore complessivo di oltre 13 milioni di euro, di cui più di 5 milioni di euro destinati alla Regione Autonoma del Kurdistan iracheno.

Gli archeologi che conducono campagne in quest'area particolarmente ricca di storia hanno lanciato un allarme denunciando la furia distruttiva dei miliziani dell'ISIS su tutte le testimonianze sacre che non corrispondono alla loro confessione. Come si pone la comunità internazionale, e l'Italia in particolare, di fronte a una simile minaccia. Esistono misure concrete per tutelare il patrimonio?
Il sito di Erbil, la storia e il valore che l'accompagnano rappresentano un patrimonio non solo dell'Iraq, ma di tutta la comunità internazionale. Uno degli obiettivi prioritari degli attori internazionali impegnati nella regione attualmente vittima dell’ISIS, tra cui l’Italia, è dunque quello di tutelare e salvaguardare la ricchezza e la diversità del patrimonio culturale dei popoli che vi abitano.

Sotto il profilo del diritto internazionale, la comunità internazionale, per garantire la conservazione del patrimonio storico e artistico, ha adottato una serie di convenzioni che possono essere richiamate anche nel caso di Erbil. Tra queste la più importante è sicuramente la Convenzione dell'Aja del 1954 sulla protezione dei beni culturali durante i conflitti armati internazionali che in seguito alla crisi del Kosovo nel 1999 è stata estesa anche ai conflitti interni che ormai rappresentano la minaccia più concreta al patrimonio culturale.

In particolare l’UNESCO, dopo il caso della distruzione dei Buddha di Bamyan da parte dei talebani nel 2001, constatando l'efficacia limitata degli strumenti convenzionali, ha adottato nel 2003 una Dichiarazione Generale di condanna che invita gli Stati ad adottare misure normative di carattere sanzionatorio direttamente nei confronti degli autori dei furti piuttosto che sui loro stati di appartenenza. Questo secondo tipo di misure ad hoc rappresenta una possibilità di intervento con maggiori prospettive di efficacia. La sua legittimità è sancita infatti dallo Statuto di Roma del 1998, istitutivo di una Corte Penale Internazionale, che ha previsto, tra i crimini di guerra, anche gli atti compiuti dagli individui contro i beni culturali.

Per quanto riguarda la specifica azione italiana, occorre sottolineare innanzitutto che l’Italia è provvista di una legislazione molto attenta e avanzata per combattere il traffico illecito di opere d’arte ed il nostro Paese è impegnato in prima linea nella difesa del patrimonio artistico iracheno attraverso attività di cooperazione, promosse congiuntamente da questo Ministero e dal MIBACT. Esse consistono nell’organizzazione di corsi di formazione per il personale iracheno, la messa in sicurezza dei musei locali, oltre al restauro e alla ricostruzione di importanti monumenti. Questo impegno trova una significativa testimonianza nel “Memorandum of Understanding” firmato a Roma nel 2013 con il governo iracheno, volto a tutelare la ricerca archeologica in questo Paese.

Secondo recenti informazioni, il traffico di reperti e opere d'arte sul mercato nero è diventato, dopo il petrolio, la seconda fonte di sussistenza del califfato. L'Italia vanta un nucleo speciale molto attivo nel recupero e la tutela del patrimonio culturale: come ci si è attivati rispetto a questa emergenza? Sono previste pene più severe per chi acquista opere sul mercato nero finanziando de facto organizzazioni terroriste?
Anche nel caso del traffico di reperti e opere d’arte, la comunità internazionale, grazie soprattutto all'azione svolta anche in questo ambito dall'UNESCO ha adottato due fondamentali strumenti normativi: la Convenzione UNESCO del 1970 sul divieto di esportazione illecita di beni culturali mobili e la Convenzione UNIDROIT di Roma del 1995 sul recupero dei beni culturali rubati.

Accanto a questi strumenti generali, l’emergenza del caso iracheno è stata affrontata in un incontro di alto livello svoltosi a Parigi il 3 dicembre scorso nella sede UNESCO. Gli Stati membri dell'Organizzazione hanno sollecitato la comunità internazionale ad una adeguata risposta politica e umanitaria contro la distruzione del patrimonio culturale siriano e iracheno vittima sempre più spesso dell’ISIS, sottolineando come gli atti di tale natura vadano qualificati come vere e proprie minacce alla pace e alla sicurezza internazionali. In maniera ancora più incisiva, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha già imposto un divieto di vendita dei beni archeologici dell'Iraq fin dal 2003 con la collaborazione dell'INTERPOL.

Infine, sempre in ambito UNESCO, è stato recentemente istituito un '"Emergency response action plan for the safeguarding of Iraq's cultural heritage", volto a monitorare lo stato di conservazione del patrimonio culturale iracheno unitamente a forme di assistenza tecnica. Accanto ad esso, è allo studio un importnate progetto per la ristrutturazione del Museo Nazionale di Baghdad. Anche la nostra cooperazione allo sviluppo ha dato all’UNESCO la propria disponibilità a collaborare, attraverso i progetti in corso, alle azioni per la protezione e conservazione del patrimonio culturale minacciato.

Dal punto di vista italiano, nel traffico di reperti e opere d’arte, un ruolo preminente va riconosciuto al Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, impegnato da un lato, nella recensione in loco dei siti considerati in pericolo, e dall’altro lato nella lotta contro il traffico di oggetti d’arte rubati.

Esiste una mappa dei traffici illegali di opere d’arte? In quali direzioni si muovono più sovente?
E’ innegabile l’esistenza di una consolidata rete del traffico illecito di reperti archeologici e opere d’arte. In questo ambito è possibile parlare sia di paesi-mercato o di transito, ovvero i paesi in cui le opere vengono “ripulite” e immesse nel mercato legale, che di paesi lesi, in cui le opere vengono trafugate. Tuttavia, gli sforzi di coordinamento e la decisa azione di alcuni Stati impegnati in prima linea accanto al nostro, hanno permesso all’Italia di segnalare all’INTERPOL e all’UNESCO documentazione relativa a circa 3000 reperti di provenienza irachena.


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