A Palazzo Barberini dal 23 novembre al 23 febbraio
Per la prima volta in mostra il Ritratto di Maffeo Barberini di Caravaggio
Caravaggio. Il ritratto ritrovato, Palazzo Barberini I Courtesy Gallerie Nazionali d'Arte Antica
Francesca Grego
22/11/2024
Roma - Se ne conosce l’esistenza da sempre, ma non è mai stato esposto al pubblico, nemmeno dopo il ritrovamento nel 1963. Il momento è finalmente arrivato: da domani, sabato 23 novembre, il Ritratto di monsignor Maffeo Barberini di Caravaggio sarà per la prima volta in mostra. L’appuntamento è nella Sala Paesaggi della Galleria Nazionale di Arte Antica di Palazzo Barberini, dove il quadro, eccezionalmente concesso in prestito dalla collezione privata che lo conserva da decenni, resterà fino al prossimo 23 febbraio per il progetto Caravaggio. Il ritratto svelato, a cura di Thomas Clement Salomon e Paola Nicita.
Si tratta di un’opera davvero rara: nella sua vita - e in particolare durante gli anni trascorsi a Roma - Caravaggio dipinse numerosi ritratti, quasi tutti andati distrutti o perduti. La tela colma perciò una lacuna considerevole nella nostra conoscenza dell’artista, svelando un volto poco noto della sua produzione. “È il Caravaggio che tutti volevano vedere, ma sembrava impossibile. Siamo felici e orgogliosi che le Gallerie Nazionali di Arte Antica siano riuscite in questa impresa e che per la prima volta in assoluto questo capolavoro possa essere ammirato da tutti a Palazzo Barberini” commenta Thomas Clement Salomon, direttore delle Gallerie Nazionali di Arte Antica.
Caravaggio, Ritratto di monsignor Maffeo Barberini (dettaglio). Olio su tela. Collezione privata I Courtesy Gallerie Nazionali di Arte Antica, Roma
Sebbene non vi siano prove certe sull’identità del soggetto, il dipinto è tradizionalmente ritenuto il ritratto intorno ai trent’anni di monsignor Maffeo Barberini (1568-1644), futuro papa Urbano VIII e grande promotore delle arti, che sin da giovane fu letterato, poeta e collezionista. La tela raffigura Maffeo di tre quarti, seduto in poltrona e illuminato da un fascio di luce proveniente dal basso, mentre emerge potentemente da uno spazio nudo ed essenziale. Il monsignore sta per partire per un’importante missione come nunzio pontificio presso la corte del re di Francia Enrico IV, un viaggio che risulterà decisivo per la sua carriera. Indossa una berretta e un abito talare nei toni del verde, sopra una veste bianca plissettata. Nella mano sinistra stringe una lettera, mentre in primo piano, evidenziato dalla luce, emerge un rotolo di documenti. Lo sguardo impaziente, la bocca socchiusa e il gesto quasi improvviso della mano destra, che sembra bucare lo spazio, ci parlano di una personalità dinamica e lasciano intuire un ordine impartito a qualcuno fuori dalla scena. Con pochi tratti Caravaggio dà vita a un ritratto in movimento, rivelando lo stato d’animo e il carattere del protagonista, un intellettuale della più alta sfera sociale, monumentale nella sua presenza, ma privo di retorica.
Caravaggio, Ritratto di monsignor Maffeo Barberini (dettaglio). Olio su tela. Collezione privata I Courtesy Gallerie Nazionali di Arte Antica, Roma
La tecnica di Caravaggio
Se le matrici culturali dell’opera sono state individuate nella ritrattistica rinascimentale di area veneto-lombarda, da Giorgione a Moroni, Maffeo Barberini è rappresentato con un’evidenza naturalistica e un’immediatezza del tutto inedite, frutto del caratteristico trattamento della luce caravaggesco. È questo il momento in cui Caravaggio comincia “ad ingagliardire gli oscuri”, secondo un’efficace espressione coniata dal biografo Giovan Pietro Bellori per indicare l’emergere dei potenti contrasti che definiranno la cifra stilistica del maestro. La luce illumina l’epidermide levigata e abbagliante di Maffeo, specie sulla fronte dove si rintraccia un impasto denso che imposta l’area della massima incidenza sull’occhio destro. Gli occhi chiari sono segnati da un leggero strabismo che accentua la vivezza dell’espressione. Tipica di Caravaggio è la tecnica di costruzione degli occhi, dove a separare la sclera dall’iride il pittore lascia in vista un sottile profilo della preparazione e sull’iride applica una pennellata di biacca che fissa il riflesso della luce e dà intensità allo sguardo.
La gamma cromatica è limitata a pochi colori: bianco di piombo e terre per l’incarnato, verde di rame per l’abito e lo schienale della poltrona, cinabro per i profili rossi, giallorino per le borchie dello schienale, terre brune per la preparazione che traspaiono dagli strati più sottili delle maniche. Le sfumature sono giocate su una sinfonia di verdi, che la luce accende in riflessi e accordi originalissimi.
Caravaggio, Ritratto di monsignor Maffeo Barberini (dettaglio). Olio su tela. Collezione privata I Courtesy Gallerie Nazionali di Arte Antica, Roma
Storia di una scoperta
Fu il grande storico dell’arte Roberto Longhi a parlare per la prima volta del dipinto nell’articolo Il vero “Maffeo Barberini” del Caravaggio, pubblicato sulla rivista Paragone nel 1963. Secondo la sua ipotesi il quadro doveva essere rimasto alla famiglia Barberini per secoli, approdando sul mercato antiquario nel momento della dispersione della collezione, intorno al 1935. L’opera in realtà era stata scoperta poco prima da un suo illustre collega, Giuliano Briganti, che trasferì a Longhi il diritto della pubblicazione. Tra 1962 e il 1963, il dipinto fu sottoposto a un significativo intervento di restauro. Anche Federico Zeri accolse l’attribuzione a Caravaggio. Nella fototeca dello studioso, conservata presso l’Università di Bologna, una fotografia del dipinto reca sul retro la scritta autografa di Zeri con l’indicazione della provenienza dal mercante e conoscitore d’arte romano Sestieri, già curatore della Galleria Barberini.
Dopo l'articolo di Longhi, sebbene non sia mai stato esposto al pubblico, il dipinto è stato accettato unanimemente dalla critica come autografo del Merisi. La raffinata sperimentazione cromatica, l’impostazione diagonale della figura, i contrasti di chiaro e scuro, le mani arrotondate, la luminosità dell’epidermide e la tecnica di costruzione degli occhi sono gli elementi che fin dal '63 hanno convinto gli esperti dell'attribuzione del quadro a Caravaggio.
Caravaggio, Ritratto di monsignor Maffeo Barberini. Olio su tela. Collezione privata I Courtesy Gallerie Nazionali di Arte Antica, Roma
Si tratta di un’opera davvero rara: nella sua vita - e in particolare durante gli anni trascorsi a Roma - Caravaggio dipinse numerosi ritratti, quasi tutti andati distrutti o perduti. La tela colma perciò una lacuna considerevole nella nostra conoscenza dell’artista, svelando un volto poco noto della sua produzione. “È il Caravaggio che tutti volevano vedere, ma sembrava impossibile. Siamo felici e orgogliosi che le Gallerie Nazionali di Arte Antica siano riuscite in questa impresa e che per la prima volta in assoluto questo capolavoro possa essere ammirato da tutti a Palazzo Barberini” commenta Thomas Clement Salomon, direttore delle Gallerie Nazionali di Arte Antica.
Caravaggio, Ritratto di monsignor Maffeo Barberini (dettaglio). Olio su tela. Collezione privata I Courtesy Gallerie Nazionali di Arte Antica, Roma
Sebbene non vi siano prove certe sull’identità del soggetto, il dipinto è tradizionalmente ritenuto il ritratto intorno ai trent’anni di monsignor Maffeo Barberini (1568-1644), futuro papa Urbano VIII e grande promotore delle arti, che sin da giovane fu letterato, poeta e collezionista. La tela raffigura Maffeo di tre quarti, seduto in poltrona e illuminato da un fascio di luce proveniente dal basso, mentre emerge potentemente da uno spazio nudo ed essenziale. Il monsignore sta per partire per un’importante missione come nunzio pontificio presso la corte del re di Francia Enrico IV, un viaggio che risulterà decisivo per la sua carriera. Indossa una berretta e un abito talare nei toni del verde, sopra una veste bianca plissettata. Nella mano sinistra stringe una lettera, mentre in primo piano, evidenziato dalla luce, emerge un rotolo di documenti. Lo sguardo impaziente, la bocca socchiusa e il gesto quasi improvviso della mano destra, che sembra bucare lo spazio, ci parlano di una personalità dinamica e lasciano intuire un ordine impartito a qualcuno fuori dalla scena. Con pochi tratti Caravaggio dà vita a un ritratto in movimento, rivelando lo stato d’animo e il carattere del protagonista, un intellettuale della più alta sfera sociale, monumentale nella sua presenza, ma privo di retorica.
Caravaggio, Ritratto di monsignor Maffeo Barberini (dettaglio). Olio su tela. Collezione privata I Courtesy Gallerie Nazionali di Arte Antica, Roma
La tecnica di Caravaggio
Se le matrici culturali dell’opera sono state individuate nella ritrattistica rinascimentale di area veneto-lombarda, da Giorgione a Moroni, Maffeo Barberini è rappresentato con un’evidenza naturalistica e un’immediatezza del tutto inedite, frutto del caratteristico trattamento della luce caravaggesco. È questo il momento in cui Caravaggio comincia “ad ingagliardire gli oscuri”, secondo un’efficace espressione coniata dal biografo Giovan Pietro Bellori per indicare l’emergere dei potenti contrasti che definiranno la cifra stilistica del maestro. La luce illumina l’epidermide levigata e abbagliante di Maffeo, specie sulla fronte dove si rintraccia un impasto denso che imposta l’area della massima incidenza sull’occhio destro. Gli occhi chiari sono segnati da un leggero strabismo che accentua la vivezza dell’espressione. Tipica di Caravaggio è la tecnica di costruzione degli occhi, dove a separare la sclera dall’iride il pittore lascia in vista un sottile profilo della preparazione e sull’iride applica una pennellata di biacca che fissa il riflesso della luce e dà intensità allo sguardo.
La gamma cromatica è limitata a pochi colori: bianco di piombo e terre per l’incarnato, verde di rame per l’abito e lo schienale della poltrona, cinabro per i profili rossi, giallorino per le borchie dello schienale, terre brune per la preparazione che traspaiono dagli strati più sottili delle maniche. Le sfumature sono giocate su una sinfonia di verdi, che la luce accende in riflessi e accordi originalissimi.
Caravaggio, Ritratto di monsignor Maffeo Barberini (dettaglio). Olio su tela. Collezione privata I Courtesy Gallerie Nazionali di Arte Antica, Roma
Storia di una scoperta
Fu il grande storico dell’arte Roberto Longhi a parlare per la prima volta del dipinto nell’articolo Il vero “Maffeo Barberini” del Caravaggio, pubblicato sulla rivista Paragone nel 1963. Secondo la sua ipotesi il quadro doveva essere rimasto alla famiglia Barberini per secoli, approdando sul mercato antiquario nel momento della dispersione della collezione, intorno al 1935. L’opera in realtà era stata scoperta poco prima da un suo illustre collega, Giuliano Briganti, che trasferì a Longhi il diritto della pubblicazione. Tra 1962 e il 1963, il dipinto fu sottoposto a un significativo intervento di restauro. Anche Federico Zeri accolse l’attribuzione a Caravaggio. Nella fototeca dello studioso, conservata presso l’Università di Bologna, una fotografia del dipinto reca sul retro la scritta autografa di Zeri con l’indicazione della provenienza dal mercante e conoscitore d’arte romano Sestieri, già curatore della Galleria Barberini.
Dopo l'articolo di Longhi, sebbene non sia mai stato esposto al pubblico, il dipinto è stato accettato unanimemente dalla critica come autografo del Merisi. La raffinata sperimentazione cromatica, l’impostazione diagonale della figura, i contrasti di chiaro e scuro, le mani arrotondate, la luminosità dell’epidermide e la tecnica di costruzione degli occhi sono gli elementi che fin dal '63 hanno convinto gli esperti dell'attribuzione del quadro a Caravaggio.
Caravaggio, Ritratto di monsignor Maffeo Barberini. Olio su tela. Collezione privata I Courtesy Gallerie Nazionali di Arte Antica, Roma
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