Dal 1° marzo al 5 maggio a Roma

Romamor: a Villa Medici 50 anni di Anne e Patrick Poirier

Anne et Patrick Poirier / Galleria Fumagalli, Milano | Anne et Patrick Poirier, Finis Terrae, 2019 néon et matériaux divers, installation / neon e materiali misti, installazione, 350x700 cm.
 

Francesca Grego

01/03/2019

Roma - Sono passati 50 anni da quando Anne e Patrick Poirier entrarono per la prima volta a Villa Medici su invito dell’allora direttore Balthus. Tra le suggestioni dell’antico, un nuovo senso di libertà e la Roma in fermento degli anni Sessanta due giovani artisti in viaggio divennero la coppia inossidabile che conosciamo. A unirli, l’esperienza della “memoria vivente” di una città vecchia più di 20 secoli, che avrebbe segnato per sempre il loro modo di fare arte.
Oggi il celebre duo torna sul luogo del misfatto con una mostra, ROMAMOR, che ne attraversa l’intera carriera, lasciando affiorare fascinazioni e turbamenti. Temi come il trascorrere del tempo, le tracce e le cicatrici del suo passaggio, la potenza delle rovine e la fragilità di ogni costruzione umana danno vita a una sorta di “archeologia parallela” permeata di gioco e malinconia.
 
“Quello che più mi ha colpito a Roma – spiega Anne – è la giustapposizione e stratificazione piuttosto anarchica della Storia e del Tempo: una mescolanza dei tempi e della Storia che in tal modo diventava viva. E mi sono buttata a capofitto nelle sue strade e nei suoi vicoli, i suoi palazzi, le sue chiese, i suoi giardini e le sue vestigia, i suoi sotterranei. Ho maturato una passione per questa città, che mi è apparsa come una metafora della Memoria”. Ma lo shock più grande è l’incontro con Ostia Antica, ispiratrice della prima grande opera comune: un plastico in terracotta per pensare alla vita e le peregrinazioni di cui fu teatro il porto di Roma.
 
Come nella topografia dell’Urbe, produzioni vecchie e nuove si mescolano nel percorso espositivo curato da Chiara Parisi. Ci sono lavori chiave come L’incendie de la grande bibliothèque (1976), immagine architettonica del funzionamento della mente umana, o le stele di carta costruite a partire dai calchi delle Erme di Villa Medici (1971) e accompagnate da libri-erbari e medaglioni di porcellana, da ammirare nello storico Atelier Balthus.
Ma ancor più interessante è scoprire l’evoluzione di una poetica in cui gli stimoli della Domus Aurea o dell’Isola Sacra si fondono con quelli di Angkor Vat, visitata da Patrick alla vigilia della guerra in Cambogia, o della siriana Palmira, protagonista di un arazzo del 2018.
Giani bifronte, maquette, scritte al neon e giradischi posati su vecchie valigie scandiscono un viaggio tutto contemporaneo, eppure sospeso tra storia e ricordo, catastrofe e utopia. Per poi uscire fuori, nel “giardino paradisiaco” dove tutto è iniziato, e perdersi nel Labyrinthe du Cerveau (2019), “manifesto autobiografico bicefalo” in marmo di Carrara: un paesaggio da percorrere che insieme al lavoro simbiotico di due menti evoca ancora una volta la potenza e la fragilità della memoria, unica in grado di salvare un mondo con “i giorni contati” su un pianeta che “può fare a meno della specie umana”.
 
Visitabile dal 1° marzo al 5 maggio, ROMAMOR chiude il programma espositivo della direttrice dell’Accademia di Francia Muriel Mayette-Holtz (2015-2018), che ha visto alternarsi sulla scena di Villa Medici Annette Messager, Yoko Ono, Claire Tabouret, Elizabeth Peyton, Camille Claudel, Tatiana Trouvé, Katharina Grosse, oltre alla collettiva internazionale Ouvert la Nuit e a due grandi mostre all’incrocio tra ricerca e produzione.

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