Il docu-film prodotto da Sky Arte al cinema il 25, 26, 27 febbraio
Tintoretto. Un ribelle a Venezia - La nostra recensione
Una veduta di Venezia, Dal film Tintoretto. Un Ribelle a Venezia | © Sky Italia s.r.l. | Courtesy of Sky Arts Production Hub 2019
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Samantha De Martin
20/02/2019
Roma - Sul grande telero che illumina il grande schermo, i capolavori del pittore visionario, capace di commuovere e meravigliare con le sue figure energiche e l’uso rivoluzionario del colore, si lasciano scrutare nel dettaglio, svelando al pubblico particolari solitamente inaccessibili agli occhi.
Autoritratti, tele maestose, documenti, abbandonano musei, archivi, basiliche e sestieri per portare al cinema lo spirito ribelle di questo Stanley Kubrich del pennello, capace di sconvolgere e meravigliare con le sue opere terribili, ma anche di celebrare con moderna destrezza la grazia femminile, offrendo una riflessione sul destino delle donne come mai nessuno prima di lui ha saputo fare.
E così la vita di Jacopo Robusti, figlio di un tintore da cui ha preso il nome d’arte, “irruento con il pennello, con la lingua, con le azioni” prende forma nel laboratorio del padre, tra le vasche e i fuochi accesi dove sobbollivano le matasse, in un tripudio di colori, verdi, gialli, rossi, azzurri giunti a Venezia da tutto il mondo.
Il grande merito di Tintoretto. Un ribelle a Venezia, il docu-film prodotto da Sky Arte e distribuito da Nexo Digital in 370 sale cinematografiche solo il 25, 26, 27 febbraio, è forse quello di fornire al pubblico una sorta di lente di ingrandimento, frutto di un’accurata ricerca scientifica, sulla straordinaria rivoluzione compiuta dal pittore di Venezia, su quello stile non finito, sulla velocità e la furia di colui che, sfidando i suoi rivali, Tiziano e Veronese, a colpi di pennello, con circa 400 opere lasciate tra gli edifici della città, ha saputo aggiudicarsi un posto d’onore in una Venezia sconvolta dalla peste. Una tragedia immane che Tintoretto ha voluto esorcizzare servendosi dell’arte, come emerge dal Serpente di bronzo, nella Sala Capitolare della Scuola Grande di San Rocco.
Il film ci accompagna nella Venezia del 1500, epoca in cui la Serenissima conferma il proprio dominio marittimo diventando uno dei porti mercantili più potenti d’Europa e affronta la drammatica peste del 1575-77 che distende sulla Laguna il suo tetro drappo di morte.
Guidato dall’autrice del film, Melania Mazzucco, da Peter Greenaway, dalla voce di Stefano Accorsi, lo spettatore si immerge nella vicenda artistica e personale di Jacopo Robusti, tra i luoghi che ancora oggi ne custodiscono la memoria e i capolavori senza tempo, ascoltando il contributo di esperti, restauratrici, storici dell’arte.
L’Archivio di Stato, la Chiesa del Redentore e quella di San Marcuola, il Chiostro della madonna dell’Orto, il Lazzaretto nuovo, Piazza San Marco, il Palazzo del Cammello grandeggiano silenziosi in quesa dettagliata biografia per immagini che tesse indole e carriera del rivoluzionario regista col pennello.
Dalla sua “Cappella Sistina” - il ciclo di dipinti della Scuola Grande di San Rocco, una serie di teleri che ricoprono i soffitti e le pareti dell’edificio della confraternita - al Miracolo dello schiavo, dalla Fabbricazione del Vitello d’oro alla sublime Presentazione di Maria al Tempio o agli interventi a Palazzo Ducale, l’artista “pirata” “brucia” tutti con la sua rapidità di esecuzione che gli permette di aggiudicarsi i committenti assicurando una maggiore quantità di opere a prezzi bassi.
Un altro merito del docu-film è quello di cucire un dialogo tra le opere di Tintoretto e quelle dei suoi concorrenti, attivi nella Venezia del tempo. E così la sontuosità delle Nozze di Cana del pittore di Verona incontra l’omonima e innovativa tela conservata nella Chiesa della Salute, la Crocifissione di Veronese si confronta con quelle travolgenti del Robusti, in un dialogo dal quale l’attività dionisiaca dell’improvvisazione, coltivata da Tintoretto, emerge in tutta la sua forza perturbante.
Precursore della profondità, del CinemaScope, del fermoimmagine, del punto di vista, Tintoretto ha il merito di avere introdotto diverse tecniche del cinema moderno, catturando l’istante. Ed è forse per questo che, pur non essendo fisicamente presente sulla scena, la sua figura da mattatore grandeggia sul grande schermo grazie alle sue tele.
Tra gli esclusivi contributi presenti nel documentario figura anche il dietro le quinte di un fondamentale intervento di recupero e conservazione delle due Marie, capolavori che, grazie al sostegno di Sky Arte, verranno esposti in tutta la loro raffinata bellezza al termine delle delicate fasi di restauro, all'interno della grande mostra in programma nel 2019 alla National Gallery of Art di Washington. La Maria in meditazione e Maria in lettura sfilano così in tutto il loro splendore, presentate dalle restauratrici Sabina Vedovello e Irene Zuliani, impegnate nel delicato intervento iniziato a maggio del 2018 e condotto proprio nella Scuola Grande di San Rocco. L’artista che era solito approntare piccoli "teatrini" per studiare la composizione delle opere e l'effetto delle luci, panneggiando le vesti su modellini di cera, che poi disponeva in "stanze" costruite con cartoni, illuminate da candele, si serviva di modelli maschili per dipingere i corpi di donna. Il pittore che nel Miracolo di San Marco pone al centro della scena il corpo di uno schiavo, il maestro che porta sulla tela turchi e turbanti, cortigiane e vecchi lascivi, personaggi popolari dagli abiti consunti, si pone come lo specchio di Venezia e, come la città, è destinato a sopravvivere in eterno. Perché nella grande, talvolta ingiusta, partita disputata a colpi di colore e di pennelli, con i suoi avversari, la vittoria del “più terribile cervello che la pittura abbia mai avuto”, come lo definì Vasari, risulta schiacciante. Dopo la sua morte, la sua bottega guidata dal figlio Domenico resisterà per oltre 60 anni, al contrario di quella di Tiziano, oscurata dalle beghe di famiglia.
E oggi che a distanza di 500 anni scrutiamo la luce, i palazzi sulla Laguna, le chiese ed i maggiori luoghi d’arte della città, sentiamo lo spirito di Tintoretto ancora vivo, vibrante e potente, assolto dalla storia e consegnato ai posteri dalla straordinaria modernità della sua arte rivoluzionaria, ma soprattutto da quella sua indole di “outsider” disposto a tutto pur di consegnare al mondo i suoi pennelli ribelli ed immortali.
Tintoretto. Un ribelle a Venezia, il docu-film prodotto da Sky Arte e distribuito da Nexo Digital, sarà al cinemail 25, 26, 27 Febbraio. La produzione si inserisce nel calendario della Grande Arte al Cinema. Per la stagione 2019 arriva nelle sale italiane in collaborazione con i media partner Radio Capital, Sky Arte e MYmovies.it e con ARTE.it come digital media partner.
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• Tintoretto, il ribelle di Venezia presto nelle sale
Autoritratti, tele maestose, documenti, abbandonano musei, archivi, basiliche e sestieri per portare al cinema lo spirito ribelle di questo Stanley Kubrich del pennello, capace di sconvolgere e meravigliare con le sue opere terribili, ma anche di celebrare con moderna destrezza la grazia femminile, offrendo una riflessione sul destino delle donne come mai nessuno prima di lui ha saputo fare.
E così la vita di Jacopo Robusti, figlio di un tintore da cui ha preso il nome d’arte, “irruento con il pennello, con la lingua, con le azioni” prende forma nel laboratorio del padre, tra le vasche e i fuochi accesi dove sobbollivano le matasse, in un tripudio di colori, verdi, gialli, rossi, azzurri giunti a Venezia da tutto il mondo.
Il grande merito di Tintoretto. Un ribelle a Venezia, il docu-film prodotto da Sky Arte e distribuito da Nexo Digital in 370 sale cinematografiche solo il 25, 26, 27 febbraio, è forse quello di fornire al pubblico una sorta di lente di ingrandimento, frutto di un’accurata ricerca scientifica, sulla straordinaria rivoluzione compiuta dal pittore di Venezia, su quello stile non finito, sulla velocità e la furia di colui che, sfidando i suoi rivali, Tiziano e Veronese, a colpi di pennello, con circa 400 opere lasciate tra gli edifici della città, ha saputo aggiudicarsi un posto d’onore in una Venezia sconvolta dalla peste. Una tragedia immane che Tintoretto ha voluto esorcizzare servendosi dell’arte, come emerge dal Serpente di bronzo, nella Sala Capitolare della Scuola Grande di San Rocco.
Il film ci accompagna nella Venezia del 1500, epoca in cui la Serenissima conferma il proprio dominio marittimo diventando uno dei porti mercantili più potenti d’Europa e affronta la drammatica peste del 1575-77 che distende sulla Laguna il suo tetro drappo di morte.
Guidato dall’autrice del film, Melania Mazzucco, da Peter Greenaway, dalla voce di Stefano Accorsi, lo spettatore si immerge nella vicenda artistica e personale di Jacopo Robusti, tra i luoghi che ancora oggi ne custodiscono la memoria e i capolavori senza tempo, ascoltando il contributo di esperti, restauratrici, storici dell’arte.
L’Archivio di Stato, la Chiesa del Redentore e quella di San Marcuola, il Chiostro della madonna dell’Orto, il Lazzaretto nuovo, Piazza San Marco, il Palazzo del Cammello grandeggiano silenziosi in quesa dettagliata biografia per immagini che tesse indole e carriera del rivoluzionario regista col pennello.
Dalla sua “Cappella Sistina” - il ciclo di dipinti della Scuola Grande di San Rocco, una serie di teleri che ricoprono i soffitti e le pareti dell’edificio della confraternita - al Miracolo dello schiavo, dalla Fabbricazione del Vitello d’oro alla sublime Presentazione di Maria al Tempio o agli interventi a Palazzo Ducale, l’artista “pirata” “brucia” tutti con la sua rapidità di esecuzione che gli permette di aggiudicarsi i committenti assicurando una maggiore quantità di opere a prezzi bassi.
Un altro merito del docu-film è quello di cucire un dialogo tra le opere di Tintoretto e quelle dei suoi concorrenti, attivi nella Venezia del tempo. E così la sontuosità delle Nozze di Cana del pittore di Verona incontra l’omonima e innovativa tela conservata nella Chiesa della Salute, la Crocifissione di Veronese si confronta con quelle travolgenti del Robusti, in un dialogo dal quale l’attività dionisiaca dell’improvvisazione, coltivata da Tintoretto, emerge in tutta la sua forza perturbante.
Precursore della profondità, del CinemaScope, del fermoimmagine, del punto di vista, Tintoretto ha il merito di avere introdotto diverse tecniche del cinema moderno, catturando l’istante. Ed è forse per questo che, pur non essendo fisicamente presente sulla scena, la sua figura da mattatore grandeggia sul grande schermo grazie alle sue tele.
Tra gli esclusivi contributi presenti nel documentario figura anche il dietro le quinte di un fondamentale intervento di recupero e conservazione delle due Marie, capolavori che, grazie al sostegno di Sky Arte, verranno esposti in tutta la loro raffinata bellezza al termine delle delicate fasi di restauro, all'interno della grande mostra in programma nel 2019 alla National Gallery of Art di Washington. La Maria in meditazione e Maria in lettura sfilano così in tutto il loro splendore, presentate dalle restauratrici Sabina Vedovello e Irene Zuliani, impegnate nel delicato intervento iniziato a maggio del 2018 e condotto proprio nella Scuola Grande di San Rocco. L’artista che era solito approntare piccoli "teatrini" per studiare la composizione delle opere e l'effetto delle luci, panneggiando le vesti su modellini di cera, che poi disponeva in "stanze" costruite con cartoni, illuminate da candele, si serviva di modelli maschili per dipingere i corpi di donna. Il pittore che nel Miracolo di San Marco pone al centro della scena il corpo di uno schiavo, il maestro che porta sulla tela turchi e turbanti, cortigiane e vecchi lascivi, personaggi popolari dagli abiti consunti, si pone come lo specchio di Venezia e, come la città, è destinato a sopravvivere in eterno. Perché nella grande, talvolta ingiusta, partita disputata a colpi di colore e di pennelli, con i suoi avversari, la vittoria del “più terribile cervello che la pittura abbia mai avuto”, come lo definì Vasari, risulta schiacciante. Dopo la sua morte, la sua bottega guidata dal figlio Domenico resisterà per oltre 60 anni, al contrario di quella di Tiziano, oscurata dalle beghe di famiglia.
E oggi che a distanza di 500 anni scrutiamo la luce, i palazzi sulla Laguna, le chiese ed i maggiori luoghi d’arte della città, sentiamo lo spirito di Tintoretto ancora vivo, vibrante e potente, assolto dalla storia e consegnato ai posteri dalla straordinaria modernità della sua arte rivoluzionaria, ma soprattutto da quella sua indole di “outsider” disposto a tutto pur di consegnare al mondo i suoi pennelli ribelli ed immortali.
Tintoretto. Un ribelle a Venezia, il docu-film prodotto da Sky Arte e distribuito da Nexo Digital, sarà al cinemail 25, 26, 27 Febbraio. La produzione si inserisce nel calendario della Grande Arte al Cinema. Per la stagione 2019 arriva nelle sale italiane in collaborazione con i media partner Radio Capital, Sky Arte e MYmovies.it e con ARTE.it come digital media partner.
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