Viaggio intorno al mondo attraverso 1600 salvadanai

Tutta la creatività nell’arte del risparmio

Dalla collezione di salvadanai del Museo del Risparimio di Torino: Libro con orologio, Anni ’40-’50, Metallo, Italia | Foto: © Maurizio Tosto
 

Eleonora Zamparutti

22/02/2019

Torino - Nel cuore di Torino, in una delle vie più antiche della città, nell’isolato  dove la Compagnia di San Paolo fonda il Monte di Pietà nel 1579, al confine con la contrada che fino al 1720 era detta dello Studio perché qui aveva sede l’Università, è custodita una collezione atipica e preziosa, per certi versi molto kitsch, di manufatti di scarso valore in termini assoluti, che sono espressione di una certa creatività e di una grande virtù, ma soprattutto testimoniano un’arte antica “a basso consumo”, quella del risparmio: i salvadanai. Siamo all’interno del Museo del Risparmio, “un luogo dove l’educazione finanziaria diverte e non annoia”, come suggerisce il claim.


Sala Risparmiare presso il Museo del Risparmio di Torino
 
Si tratta di una collezione unica e originale nel panorama museale italiano. In altri paesi ci sono, è vero, i musei dei salvadanai, ma per lo più fanno capo alle Casse di Risparmio che espongono la raccolta di vari esemplari realizzati per i loro clienti nell’arco dell’attività.
 
“La collezione di salvadanai recentemente entrata a far parte del patrimonio del Museo del Risparmio di Torino spazia da manufatti del passato a oggetti più recenti” afferma la curatrice. “È costituita da oltre 1600 pezzi ed è stata messa insieme da un collezionista romano nell’arco di 60 anni circa, a partire da quando a 18 anni ricevette in regalo dal padre un salvadanaio. Da quel momento è cominciata una passione che ha alimentato nel corso dei decenni la ricerca, dando vita alla raccolta esposta qui a Torino. Si tratta di una collezione molto eclettica che riunisce, in forma non sistematica, esemplari provenienti da tutto il mondo. Particolarmente ricca e originale è la sezione dei salvadanai americani meccanici di fine Ottocento, realizzati da veri e propri ingegneri”. Tra i tanti, il salvadanaio con il dentista che strappa il dente al povero disgraziato sotto i ferri dopo che è stata inserita la monetina.


Dentista, Fine ‘800, Meccanico, ghisa, USA | Foto: © Maurizio Tosto
 
Parlare di salvadanaio, e dunque di risparmio, al giorno d’oggi suona in netta controtendenza rispetto alla contrazione media dei portafogli e alla propensione compulsiva alla spesa, rotta sulla quale ormai viaggiamo lanciati a massima velocità. Tradotto: chi nulla ha, c’ha poco da risparmiare. Eppure vi era un tempo – e non troppo lontano, ce lo ricorda l’aneddoto del regalo per i 18 anni – in cui il risparmio rappresentava un valore morale ed economico a livello individuale e sociale, legato alle aspirazioni più profonde dell’uomo: pace, prosperità e progresso. Parole da dopoguerra. Però il salvadanaio, nella sua essenza di luogo di custodia, con i suoi vari motivi plastici e pittoreschi, nella sua forma, sostanza e colore, con le sue finalità icastiche, fornisce un’idea simbolica di chi lo usa.
 
La prima testimonianza, nell’area del Mediterraneo, è stata rinvenuta durante gli scavi archeologici in Egitto. Si tratta di un salvadanaio di età imperiale con la forma di un battello fluviale del Nilo costruito di canne di papiro con Eros alati, realizzato in terracotta e risalente al I sec. d. C.
L'uso delle monete era stato introdotto in Egitto da Alessandro il Grande già dal IV sec. a. C. L'Egitto disponeva quindi di un proprio sistema di conio. I sacerdoti in particolare, oltre a custodire nei loro templi il denaro frutto di tasse religiose e beni preziosi per conto dei privati, avevano istituito una cassetta per le offerte nella quale si gettavano le monete per propiziarsi la benevolenza degli dei. Più tardi, all’epoca dell'Impero Romano, quando il paese era divenuto una provincia di Roma, esisteva ad Alessandria, importante centro commerciale del Mediterraneo, la zecca più ricca di tutto l'Impero. Si può pertanto supporre che a quell’epoca i salvadanai non fossero delle rarità.
 
“Esemplari di epoca romana rinvenuti a Pompei e in generale nei luoghi che fecero parte dell’Impero Romano testimoniano che a quel tempo la forma più diffusa dei salvadanai replicava quella degli orci, i grandi vasi di terracotta impiegati per la conservazione degli alimenti, ovviamente in scala ridotta. E questo attesta in modo evidente come il risparmio inizialmente fosse legato a un concetto di origine alimentare, per l’accantonamento delle scorte, per superare le crisi di approvvigionamento. La parte superiore di questi salvadanai era solitamente decorata con una punta che ricalcava la forma del pileo, il copricapo portafortuna, simbolo di libertà, che veniva regalato agli schiavi liberi: come a dire “se risparmi e impari a gestire correttamente il denaro, sei un uomo libero”. Nei pressi di accampamenti militari sono stati rinvenuti esemplari di epoca romana a forma di pera e altri a forma di orcio schiacciato, probabilmente per consentire più facilmente il trasporto.” Nelle vetrine della collezione torinese alcuni esemplari (copie dei modelli antichi) ricordano le forme di epoca romana.


Orci salvadanaio | Foto: © Maurizio Tosto
 
Ma si sa che per loro stessa funzione, i salvadanai non sono destinati a durare in eterno: una volta riempiti fino all’orlo, vengono solitamente rotti. Questa è la ragione per cui in generale sono realizzati con materiali poco nobili.
 
Curiosa e molto ricca è la sezione dei salvadanai a forma di maiale che in qualche modo è riconducibile a due tradizioni: quella contadina (il maiale, come si sa, è un animale che dà alimento in ogni sua parte) e una riconducibile a origini britanniche, risalenti al XVII secolo. A quel tempo in Gran Bretagna le stoviglie erano prodotte con una terracotta del colore del suino, chiamata pygg, termine dialettale per maiale. Di qui il nome piggy bank  per indicare il salvadanaio.
Tra i salvadanai di origini italiane, ve n’è uno nella collezione torinese realizzato in tempi recenti da un abile artigiano, Filippo La Sorella di Rutigliano, in provincia di Bari. Si tratta di uno degli ultimi fìguli, maestro di un’arte che ormai va scomparendo. Il salvadanaio in questione è in realtà un fischietto a forma di maialino, di colore arancione con macchie nere, la cui coda è bucata proprio per poterci soffiare dentro. È stato realizzato nel 1997.
 
Tra le curiosità in esposizione un esemplare a forma di stufa che riporta la dicitura Fobrux, note fonderie di Bruxelles. Si tratta di un salvadanaio che veniva regalato al momento dell’acquisto di una stufa prodotta dalle fonderie.
Un’intera vetrina raccoglie numerosi salvadanai variopinti ispirati alla Cow Parade statunitense e provenienti da varie città: New York, Stamford, Kansas City. La versione originale di uno di questi, dalla foggia di una mucca alata denominata Angelicow, è stata acquistata dal celebre Ringo Star. La Moo Maid che campeggia nella teca invece è opera dell’artista statunitense Ralph Almeida.


Angelicow di Liz Lomax, 2000, Porcellana, USA | Foto: © Maurizio Tosto

Non mancano i salvadanai commemorativi: un bel furgone realizzato nel 1936 per celebrare i 50 anni della Coca-Cola e uno che riproduce la navicella Apollo 8 intorno alla Luna. È  stata la prima missione con equipaggio umano (i mitici Borman, Anders e Lovell, quest’ultimo passato alla storia per la celebre frase: “Houston, abbiamo un problema” durante la missione dell’Apollo 13) a raggiungere nel 1968 la Luna e a orbitare per 10 volte intorno al satellite, vedendone anche il lato oscuro. Divertente il libretto di risparmio con orologio incorporato, realizzato dall’Unione Adriatica di Sicurtà. Se inserisci la moneta, si carica automaticamente l’orologio (forse a ricordare che il tempo è denaro?). E poi ancora il mappamondo salvadanaio prodotto dalla World Bank che riporta la scritta “As you save as you prosper”. Goliardico il salvadanaio gabinetto con tanto di carta igienica.
Ce n’è davvero per tutti i gusti: il proiettile della Prima guerra mondiale e un carro armato della liberazione con tanto di luogo e data incisi: Francia, 1944. Numerose le elemosiniere per raccogliere fondi a sostegno delle vedove dei minatori del Belgio, per la costruzione di un ospedale massonico a Fulham Road a Londra per i feriti di guerra e familiari a carico, le cassette posizionate nelle chiese: tutte forme di raccolta di denaro che ricordano il moderno crowdfunding.


Furgoncino Coca-Cola, Anni ’30, ghisa, USA | Foto: © Maurizio Tosto
 
E finalmente un salvadanaio in plastica trasparente a forma di cicala (un bel paradosso!) in ricordo della celebre Martins Bank che la tradizione vuole essere stata fondata da Thomas Gresham nel 1563 e che aveva come simbolo appunto la cicala. La banca, che nei secoli aveva continuato la propria attività, era poi stata acquisita dalla Bank of Liverpool per confluire nel 1969 nella Barclays Bank. La cicala nel frattempo era sopravvissuta e il logo continuava ad apparire sulla carta intestata e sugli assegni emessi dalla Martins Branch del colosso finanziario. La Martins si è sempre distinta per essere la prima: prima banca a introdurre nel 1967 una cassa automatica, la prima a creare delle filiali mobili usando dei furgoncini per raggiungere le aree remote della campagna inglese, la prima ad aprire una filiale accanto al centrale di Wimbledon. 
Fino al 1965 le regole della Martins erano molto coercitive: tutte le donne impiegate per contratto erano obbligate a lasciare il lavoro dopo il matrimonio, tutti gli uomini non potevano sposarsi fino a che non avessero raggiunto un certo livello di salario. Roba da altri tempi.
 
Pezzo top della collezione: il salvadanaio degli anni ’60 in gesso con il casco poggiato su un idrante che campeggiava nella sede dei vigili del fuoco di New York e che serviva per la raccolta di denaro per le cene sociali.


Cappello da pompiere, Anni ’60, gesso, USA | Foto: © Maurizio Tosto
 
Insomma un viaggio nel risparmio attraverso i secoli e tanti luoghi che dischiude numerose storie e tradizioni. Un piccolo e prezioso nucleo di salvadanai custodito nell’ultima sala del Museo del Risparmio, progettato da Intesa Sanpaolo per l’alfabetizzazione finanziaria delle nuove generazioni, che si spera nel tempo possa arricchirsi di nuove acquisizioni.

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