I Tommasi Ferroni. Stravaganze e bizzarrie della pittura virtuosa

Dal 27 September 2025 al 30 November 2025
Ariccia | Roma
Luogo: Palazzo Chigi in Ariccia
Indirizzo: Piazza di Corte 14
Orari: ore 10,00-13,00 / ore 15,00-18,00 (1° ottobre – 30 marzo) ore 10,00-13,00 / ore 15,30-18,30 (1° aprile – 30 settembre
Curatori: Mariaimma Gozzi e Francesco Petrucci
Enti promotori:
- Città Metropolitana di Roma Capitale
Costo del biglietto: intero € 10, ridotto € 7
Telefono per informazioni: +39 06 9330053
E-Mail info: info@palazzochigiariccia.it
Sito ufficiale: http://www.palazzochigiariccia.it
La mostra accoglie le opere degli artisti Riccardo, Elena e Giovanni Tommasi Ferroni, nell’esclusività dei raffinati linguaggi pittorici e nella peculiarità dell’allestimento ad hoc nelle sale del prestigioso palazzo, che raccoglie circa sessanta opere -tra dipinti e disegni- e denota, di per sé, una forte connotazione identitaria nell’autenticità dei differenti stilemi e momenti storici.
Fiamma unificante e affiorante dei quadri dei Tommasi Ferroni è l’imprescindibile pratica del disegno accademico, quello colto, esigente, manierista. Un incipit di Riccardo, che si riverbera sui figli Elena e Giovanni, ma declinato e interpretato da questi seguendo la propria visionaria creatività e inventiva, leitmotiv dell’intera mostra.
Riccardo Tommasi Ferroni (Pietrasanta 1934 – Pieve di Camaiore 2000), esponente di punta di una famiglia di artisti, è considerato dalla critica l’antesignano del ritorno alla grande pittura, il paladino del recupero della tecnica sostanziata dal rigore del disegno costruttivo, sulla scia di Pietro Annigoni.
La discontinuità che le avanguardie avevano creato ai primi del secolo scorso rispetto alla tradizione plurimillenaria dell’apprendimento presso le botteghe e poi nelle accademie, lo ha portato, in una ricerca ossessiva della forma, a sviluppare un linguaggio assolutamente individuale, immediatamente riconoscibile, che non ha precedenti o paralleli.
La sua forma espressiva, fatta di complessità compositiva, estenuata eleganza, esaltazione della bellezza - soprattutto femminile -, ha come tema principe il Tempo, un Kronos filosofico magno-greco, in una visione diacronica, ove passato, presente e futuro convivono in simultanea.
In molti suoi dipinti emerge il senso del tempo che trascorre, la metamorfosi delle cose e delle persone, la giovinezza e la vecchiaia, il vigore e la decadenza, con un sottofondo tragico di ineluttabilità del destino che affonda le sue radici nel pensiero greco, in quella classicità che attraverso la sua pittura vorrebbe far rivere.
L’armonia viene perseguita attraverso una materia levigata, una superfice fuligginosa con effetti serici che uniforma e amalgama il colore e le forme, attenuando le tonalità più brillanti, con i rossi che virano al rosato, gli azzurri al grigio, i gialli e i verdi sbiaditi, le tonalità aranciate scolorite, in una tensione al monocromo.
Vestimenti contemporanei convivono con quelli di un passato fuori dal tempo, assieme a scomodi letti, materassi ritorti e sofà che assomigliano a gonfiabili, rivelando un talento di designer. Maniacale l’attenzione agli oggetti inanimati,nature morte sapientemente distribuite negli interni, che hanno lo
spazio di grandi atelier di pittura e scultura, ove qualcuno dipinge o si lascia ritrarre, altri assistono senza interferire.
Le espressioni dei personaggi inseriti nelle sue composizioni, tra ritratti, ritratti idealizzati o pure invenzioni, data una certa uniformità dei lineamenti, sono enigmatiche, stralunate, apparentemente interlocutorie, ma ognuna isolata in un suo mondo interiore, inaccessibile. Non comunicano tra loro e nemmeno con il riguardante. In fondo la sua, come tutte le vere espressioni artistiche, è arte concettuale, onirica e visionaria, vicina sotto certi aspetti al cinema felliniano.
La mostra di Ariccia vuole essere quindi un omaggio a un grande maestro del contemporaneo, un artista colto e sofisticato, la cui lezione rivive e ha una continuità con quella del padre Leone e del fratello Marcello, talentuosi scultori di Pietrasanta, dei figli Elena e Giovanni, anch’essi qui celebrati in pittura, come una bottega cosmatesca nell’età del declino ideologico, del disorientamento e della globalizzazione.
La pittura iconica di Elena Tommasi Ferroni è capace di trovare un suo personalissimo stile con autentica verve innovativa e immaginifica in cui affiora la musicalità e la leggerezza sfaccendata dei suoi personaggi intenti ad irretire con la loro empatica teatralità.
Sono scenari di suggestivi ambienti barocchi in cui si respira l’eleganza di certe atmosfere di vita quotidiana di nobildonne, aristocratiche e cortigiane, sorprese nell’intimità di un gesto o di una movenza, in cui viene enfatizzata la femminilità come un vezzo insinuante e provocatorio. Ad aumentarne l’effetto impattante compete l’accostamento di oggetti e dettagli simbolici dei personaggi impegnati in qualche strana piroetta o arrampicata circense, dipinti in abiti d’epoca e coloratissimi, di quelle cromie accese, vivide e ostentate, come un’anomalia o come un’attitudine.
La pittura di Giovanni Tommasi Ferroni, instancabile studioso della pratica del disegno, capace di accostare antico, moderno e contemporaneo con seduttiva persuasione. Nei suoi dipinti s’alternano o si concentrano monumentali architetture classiche, rinascimentali, barocche e contemporanee; prese di scorcio o di fuga, ma sempre così potenti da far passare la realtà per surreale e viceversa.
Del resto, la particolarità dell’artista è anche quella di insinuare il dubbio tra l’autentico e il fittizio, creato come sintomo di una fantasia attraente e spiccatamente provocatoria. Roma stessa sembra un quadro visionario in cui tutto questo convive scevro di estremismi.
Se un riferimento per il padre poteva essere la cinematografia felliniana, per Giovanni forse lo è il Cinema Fantasy, sempre in una visione colta e sofisticata, che cita l’architettura barocca e Bernini, perfettamente integrata in una sede come Palazzo Chigi in Ariccia.
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