Intervista al professor Giulio Bora

Storia di un capolavoro ritrovato: la Madonna del Latte della Pinacoteca Ambrosiana

Marco d'Oggiono, Madonna del latte. Olio su tavola. Milano, Pinacoteca Ambrosiana
 

Francesca Grego

01/10/2021

Milano - A volte ritornano. Parliamo delle opere d'arte trafugate che, dopo anni o addirittura decenni di avventure e oscurità, di trasferimenti più o meno rocamboleschi e soste in luoghi inadatti alla loro conservazione, guadagnano inaspettatamente la strada di casa, per la gioia del pubblico e del museo di turno. Della Madonna del latte di Marco d'Oggiono, rubata dalla Pinacoteca Ambrosiana negli anni Cinquanta del Novecento, in pochi avevano sentito parlare prima del fortunoso ritrovamento annunciato lo scorso 15 settembre. In quell'occasione ci siamo accorti che, dopo circa 70 anni di silenzio, era piuttosto difficile reperire notizie sulla tavola dell'allievo di Leonardo. 

Mentre nel museo milanese fervono i preparativi per il restauro e la presentazione al pubblico del dipinto - prevista non prima del 2022 - abbiamo chiesto allo storico dell'arte Giulio Bora, Professore associato emerito di Storia dell'Arte Moderna all'Università Statale di Milano e capo curatore onorario delle collezioni grafiche della Veneranda Biblioteca Ambrosiana, di illuminarci sul passato dell’opera e sul suo valore artistico.   
“Il recente recupero di questa tavola rappresenta un avvenimento di rilevante importanza per la storia della collezione della Pinacoteca Ambrosiana”, spiega il professor Bora: “Il dipinto faceva parte della raccolta di quadri che il cardinale Federico Borromeo aveva via via acquisito negli  anni e che avrebbe poi donato nel 1618 alla Pinacoteca Ambrosiana a favore dell’erigenda Accademia”.
“Nell’atto di donazione all’Ambrosiana del 28 aprile - prosegue Bora - veniva registrato già sotto il nome di Marco d'Oggiono nell’elenco degli 'originali dei pittori men celebri', e via via segnalato dalle guide come una delle opere significative della galleria. L’opera è stata da allora sempre esposta in Pinacoteca, dove ancora viene registrata nel 1951 nella guida della Pinacoteca redatta dal Prefetto Giovanni Galbiati. La sua sparizione deve essere avvenuta non molto tempo dopo”.


Marco d'Oggiono, Madonna del latte. Olio su tavola. Milano, Pinacoteca Ambrosiana I Courtesy Pinacoteca Ambrosiana

Trafugata probabilmente durante i lavori che interessarono l’Ambrosiana negli anni Cinquanta, la tavola della Madonna del Latte è stata rintracciata per caso, in seguito alla segnalazione ai Carabinieri del Nucleo per la Tutela del Patrimonio Culturale di Monza da parte di un gallerista milanese che desiderava accertarne la provenienza. Del tutto ignaro del valore e della paternità del quadro era il proprietario, che stava per metterlo in vendita dopo averlo ricevuto in eredità da una parente. Ai militari è bastato consultare la Banca dati dei beni culturali illecitamente sottratti, ovvero il più grande database di opere d’arte rubate al mondo, per rendersi conto che il dipinto proveniva dalle storiche collezioni della Pinacoteca Ambrosiana. 
Opera di uno dei discepoli più noti di Leonardo da Vinci, la Madonna del Latte tradisce una certa “aria di famiglia” e sembra saperla lunga su quanto accadeva nella bottega del genio del Rinascimento. 

Professor Bora, quali storie è in grado di
raccontarci oggi la tavola dell’Ambrosiana?
“Il dipinto documenta la fortuna e diffusione delle invenzioni da parte di Leonardo di ‘Madonne col Bambino’ nell’ambito della sua scuola che vede come protagonisti, fino dal 1490, due suoi allievi, Boltraffio e Marco d’Oggiono, con al seguito molti  altri artisti dello stesso ambito. Proprio Marco d’Oggiono è autore, nel corso degli anni, di una diversificata serie di esemplari dallo stesso soggetto che ha grande fortuna presso la committenza, tanto da indurlo, talvolta, a riproporre lo stesso modello apportando alcune variazioni. Si tratta proprio del caso del dipinto dell’Ambrosiana, che ricalca in parte la stessa invenzione che Marco d’Oggiono aveva realizzato in un esemplare ora conservato al Louvre in dimensioni del tutto analoghe, ma che viene risolto con qualche modifica e secondo un’ambientazione del tutto diversa”.

Invenzione e ripetizione: oggi sembra un'ossimoro, ma ai tempi di Leonardo e di Marco d’Oggiono poteva rivelarsi un binomio fecondo. Quali innovazioni si nascondono nelle diverse versioni della Madonna del Latte
“Nell’esemplare del Louvre, il fondale totalmente scuro faceva risaltare l’acuta sottigliezza della definizione delle due figure che, nella Vergine, sottolineano l’estrema finezza e trasparenza della capigliatura insieme alla delicatezza dei tratti del volto, aspetti che ne confermerebbero una datazione agli anni Novanta. Alla base della sua costruzione stava infatti una sottilissima formulazione disegnativa introdotta in quegli anni da Leonardo e fondata sull’impiego della punta d’argento su carta preparata: uno strumento utilizzato da Marco d’Oggiono, come testimonia l’episodio della sua sottrazione dallo studio dell’artista da parte del giovane Salaino, documentato da Leonardo in uno scritto del 1490”.


Marco d'Oggiono, Madonna del latte, 1510-1520 circa. Parigi, Musée du Louvre I Public domain Wikimedia Commons

Uno degli indizi più evidenti che conducono l’opera alla scuola di Leonardo è il paesaggio dipinto alle spalle della Vergine…
“L’esemplare dell’Ambrosiana conferma esplicitamente la derivazione, in alcune parti addirittura letterale, dal modello del Louvre, un’opera che doveva aver avuto allora una certa fama ribadita dall’esistenza di varie copie. Tuttavia, sostanziali differenze di stesura e di invenzione, relative in particolare alla concezione compositiva, documentano in questo caso una sostanziale reinvenzione di quel modello, confermandone un’esecuzione decisamente più tarda, verosimilmente verso la metà del secondo decennio del Cinquecento. Come in altri casi di repliche di modelli di ambito leonardesco da parte di artisti della stessa cerchia, quello che qualifica l’originalità delle singole prove rispetto al prototipo è in genere fornito dalle varianti relative all’ambientazione paesaggistica, spesso ancora sulla base di una matrice leonardesca. Lo conferma, qui, la peculiare presenza del fondale montagnoso e lacustre, risolto secondo una tipologia più volte impiegata da Marco d’Oggiono nei suoi dipinti, in particolare, da vicino, in quello da lui realizzato negli stessi anni quale sfondo della copia della Vergine delle rocce, ora conservato nei Musei Civici del Castello. Rispetto al modello del Louvre, la stesura pittorica appare atmosfericamente più densa e chiaroscurata e suggerisce una nuova fusione dell’insieme”.

Sembra un gioco del genere “trova le differenze”, ma a volte la storia è questione di dettagli. Quali altri particolari distinguono la Madonna dell'Ambrosiana dalla sua “gemella” del Louvre?
“L’immagine del Bambino rivolto verso lo spettatore e sorretto dalle mani della Vergine risulta essere la fedele riproposizione di quella del Louvre, certamente condotta riutilizzando il medesimo modello o cartone impiegato allora dall’artista (le misure sono di fatto identiche). Sostanzialmente diversa è invece la soluzione del volto della Vergine, qui reso frontalmente e, come nel Bambino, anche in questo caso mostrato in un dialogo diretto con l'osservatore e rilevato in un’espressione assorta e sospesa. Decisamente nuova risulta anche la realizzazione del panneggio, ricco di pieghe nella veste della Vergine nell’esemplare del Louvre, riproposte nell’esemplare dell’Ambrosiana in modo estremamente articolato in quello che avvolge il Bambino”. 

La tavola sarà presto sottoposta a restauro. Quali sorprese potrebbero riservarci le indagini preliminari e l’intervento vero e proprio?
“Reintegrato finalmente nell’originario corpus della raccolta di Federico Borromeo, grazie al restauro il dipinto potrà di nuovo essere letto nella sua primitiva redazione”. 

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