GIACINTO CERONE. Coroplastica dell’inquietudine

Giacinto Cerone, Rosa mistica
Dal 3 November 2011 al 3 December 2011
Roma
Luogo: Galleria d'Arte Marchetti
Indirizzo: Via Margutta, 18a
Curatori: Silvia Pegoraro
Telefono per informazioni: +39 063204863
E-Mail info: info@artemarchetti.it
Sito ufficiale: http://www.artemarchetti.it/it/mostre/mostra-in-corso.html
Giovedì 3 novembre 2011 alle ore 18.30 la Galleria d’Arte Marchetti di Roma inaugura la nuova stagione espositiva con la mostra Giacinto Cerone. Coroplastica dell’inquietudine (a cura di Silvia Pegoraro), a pochi giorni dalla chiusura della retrospettiva dedicata al grande scultore di origine lucana dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. In esposizione un gruppo di sculture in ceramica e alcune opere su carta inedite di grandi dimensioni.
Immaginazione visionaria e violenza espressiva della realtà s’intrecciano nell’universo poetico di Giacinto Cerone (Melfi,1957- Roma, 2004), per il quale la scultura è il risultato di un’aspra contrapposizione di forze interiori. Una poetica, la sua, febbrilmente tesa a evocare le eterne energie, le tensioni irriducibili, il “sovraccarico” di emozioni e pulsioni che animano l’esistenza, perché “Dobbiamo essere vittime del sovraccarico - scriveva - Non possiamo far altro”. Tutto ciò, anche attraverso la sperimentazione, nella fisicità della scultura, dei materiali più diversi: legno, plexiglas, moplen, silicone, gesso, vetroresina, ceramica… Proprio alcune sculture in ceramica del 1996 - insieme a un gruppo di splendide carte coeve - sono protagoniste di questa mostra, che pur nelle sue ridotte dimensioni ci svela l’anima potente dell’artista lucano. Un artista che amava sperimentare, dunque, ma sempre in una prospettiva evoluzionistica della propria opera, senza dimenticare il passato e senza smettere di meditare sulle precedenti esperienze. Un oppositore dell'"Accademia", certo, ma anche un sapientissimo Maestro della materia e del gesto, in dialogo con la tradizione e con la storia, che sapeva trarre le vibrazioni più intense da qualsiasi materiale, convincendoci che la scultura stessa non è forma, ma “è spazio”. Dal vivido ricordo del grande teorico e artista dello spazialismo, Lucio Fontana, che ancora si respirava ad Albisola, Cerone restò affascinato quando si recò nella cittadina ligure, celebre per la lavorazione della ceramica, nel 1991, per realizzare le sue prime sculture in ceramica. Proprio come certe ceramiche fontaniane, le sculture di Cerone possono apparire, a un primo sguardo, addirittura gioiosamente “decorative”, per il loro splendore cromatico , ma ci svelano poi la loro grande tensione emotiva e drammatica, che carica la luce stessa di una viva risonanza interiore. E’ come se il colore timbrico, antinaturalistico e dissociato di un Van Gogh avesse preso corpo in queste sculture, imbevendole del suo espressionismo visionario e bruciante, privo di ogni monumentalità oratoria.
I lavori di Cerone sono testimonianza di una personalissima ricerca, dove le voci degli artisti con cui ha dialogato (Michelangelo, Medardo Rosso, Leoncillo, Lucio Fontana…) si fondono nella sua inconfondibile voce: esplorazione di una realtà immediata ma carica di suggestioni “narrative” e “visionarie”, scolpita in un linguaggio duro e aggressivo, o ironico e pungente, o ancora onirico e fiabesco, comunque profondamente “romantico”. In questo senso sono illuminanti anche i bellissimi disegni di grandi dimensioni che vediamo qui esposti: morfologie di paesaggi emotivi, feedback scultorei di evanescente concretezza, colmi del fascino di una gestualità libera e veloce.
Immaginazione visionaria e violenza espressiva della realtà s’intrecciano nell’universo poetico di Giacinto Cerone (Melfi,1957- Roma, 2004), per il quale la scultura è il risultato di un’aspra contrapposizione di forze interiori. Una poetica, la sua, febbrilmente tesa a evocare le eterne energie, le tensioni irriducibili, il “sovraccarico” di emozioni e pulsioni che animano l’esistenza, perché “Dobbiamo essere vittime del sovraccarico - scriveva - Non possiamo far altro”. Tutto ciò, anche attraverso la sperimentazione, nella fisicità della scultura, dei materiali più diversi: legno, plexiglas, moplen, silicone, gesso, vetroresina, ceramica… Proprio alcune sculture in ceramica del 1996 - insieme a un gruppo di splendide carte coeve - sono protagoniste di questa mostra, che pur nelle sue ridotte dimensioni ci svela l’anima potente dell’artista lucano. Un artista che amava sperimentare, dunque, ma sempre in una prospettiva evoluzionistica della propria opera, senza dimenticare il passato e senza smettere di meditare sulle precedenti esperienze. Un oppositore dell'"Accademia", certo, ma anche un sapientissimo Maestro della materia e del gesto, in dialogo con la tradizione e con la storia, che sapeva trarre le vibrazioni più intense da qualsiasi materiale, convincendoci che la scultura stessa non è forma, ma “è spazio”. Dal vivido ricordo del grande teorico e artista dello spazialismo, Lucio Fontana, che ancora si respirava ad Albisola, Cerone restò affascinato quando si recò nella cittadina ligure, celebre per la lavorazione della ceramica, nel 1991, per realizzare le sue prime sculture in ceramica. Proprio come certe ceramiche fontaniane, le sculture di Cerone possono apparire, a un primo sguardo, addirittura gioiosamente “decorative”, per il loro splendore cromatico , ma ci svelano poi la loro grande tensione emotiva e drammatica, che carica la luce stessa di una viva risonanza interiore. E’ come se il colore timbrico, antinaturalistico e dissociato di un Van Gogh avesse preso corpo in queste sculture, imbevendole del suo espressionismo visionario e bruciante, privo di ogni monumentalità oratoria.
I lavori di Cerone sono testimonianza di una personalissima ricerca, dove le voci degli artisti con cui ha dialogato (Michelangelo, Medardo Rosso, Leoncillo, Lucio Fontana…) si fondono nella sua inconfondibile voce: esplorazione di una realtà immediata ma carica di suggestioni “narrative” e “visionarie”, scolpita in un linguaggio duro e aggressivo, o ironico e pungente, o ancora onirico e fiabesco, comunque profondamente “romantico”. In questo senso sono illuminanti anche i bellissimi disegni di grandi dimensioni che vediamo qui esposti: morfologie di paesaggi emotivi, feedback scultorei di evanescente concretezza, colmi del fascino di una gestualità libera e veloce.
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