Alina Ditot. Genesis - La tela ferita

Alina Ditot, Cielo inquinato, tecnica mista su tela strappata e legata, 200x200, 2017

 

Dal 06 Settembre 2017 al 01 Ottobre 2017

Lucca

Luogo: Lu.C.C.A. Museum

Indirizzo: via della Fratta 36

Orari: da martedì a domenica 10-19, chiuso lunedì

Curatori: Salvatore Russo

Enti promotori:

  • Regione Toscana
  • Provincia di Lucca
  • Città di Lucca

Costo del biglietto: ingresso gratuito

Telefono per informazioni: +39 0583 492180

E-Mail info: info@luccamuseum.com

Sito ufficiale: http://www.luccamuseum.com



L’eterna lotta tra luce e tenebra, tra colore e oscurità, tra bene e male, tra essere e avere.
Questi i temi affrontati nelle sue tele-installazioni da Alina Ditot, l’artista romena che esporrà con una sua mostra personale dal titolo “Genesis.
La tela ferita”, a cura di Salvatore Russo, negli spazi del Lu.C.C.A. Lounge & Underground.
L’esposizione sarà visitabile dal 6 settembre all’1 ottobre 2017 con ingresso libero.
Da non perdere l’inaugurazione alla presenza dell’artista che si terrà sabato 9 settembre 2017 alle ore 17,30.

Quella che Alina Ditot ricerca attraverso le sue opere è la luce primordiale, la luce guida del nostro cammino su questa Terra che oggigiorno è diventato sempre più tortuoso e doloroso.

“Una luce – spiega il curatore Salvatore Russo – che oggi, appare sempre più ‘tormentata’ dai malesseri della psiche; una psiche che prova ad alienarsi dalla società, ma senza riuscirci. Una psiche che allora decide di rendere omaggio all’uomo e ne testimonia i suoi tormenti: i tormenti delle tenebre”.
“Genesis. La Tela Ferita” diventa quindi il personale percorso di ricerca di questa giovane artista che con la sua arte si ribella mettendo in discussione l’arte classica.

“L’arte – prosegue Russo – viene vissuta da Ditot come rifiuto: rifiuto al mondo della bellezza sublime. Questo rifiuto viene testimoniato dalle bruciature, legature e ferite su tela. Ditot, impugna la spada e uccide la tela. Si assiste così alla rinascita di un’arte informale che in Italia è sepolta nei cimiteri fantasma”.
La riflessione della Ditot si concentra sull’uomo peccatore che ha smarrito la propria identità e il senso della propria esistenza.

“La via Crucis ditottiana – sottolinea Russo – celebra le reali sofferenze dell’uomo metropolitano; quell’uomo vestito con giacca e cravatta, ma che in realtà, vive il tormento della sua anima. Genesis è la congiunzione che lega il buio alla luce. Una luce che nasce dal fuoco. Un fuoco che crea, un fuoco che forgia le armi dei guerrieri, un fuoco che brucia la tela e la umanizza. Quelle inflitte da Alina Ditot sulla tela sono ferite mortali. Ferite che solo l’artista può ricucire con lo spago”.
Quella di Ditot è un’arte della ribellione e del contrasto che trasforma l’abisso in colore.
È così che prendono forma le sue Colate laviche, i Cieli inquinati, i Paesaggi proibiti e gli Universi infernali.

“Un’arte informale – conclude Russo – che urla e impone le sue nuove tavole della legge. Ditot riporta in vita, quelli che sono i nuovi ‘10 comandamenti’ contemporanei. Non regole da seguire, ma eventi da ricordare. L’artista parte dal buio per trovare la luce. Una luce che è il vero simbolo della rinascita. Nel principio, Dio creò i cieli e la terra. Poi creò Ditot e le sue pitture nere”.

Alina Ditot nasce a Iasi (Romania) nel 1980. Il suo cammino artistico la porta a calcare, nel giro di pochi anni, i più importanti palcoscenici dell’arte mondiale. Città come Parigi, New York, La Valletta, Bruxelles, Barcellona, Edimburgo, Roma, Palermo, Firenze, Verona, Napoli sono solo alcune delle mete espositive dell’artista. Gli importanti riconoscimenti arrivano soprattutto dall’estero. È stata invitata a partecipare al più prestigioso evento espositivo del 2014, “La Grande Exposition Universelle”, che si è tenuto a Parigi, all’interno della Torre Eiffel. A differenza di tutti gli artisti, lei non nasce con il pennello in mano, bensì con le forbici. Nell’idea ditottiana l’arte deve essere concepita come soluzione al malessere. Per questo motivo, attraverso l’uso delle forbici, l’artista strappa con forza la tela. Uno strappo che ne indica il malessere. Un malessere, rivolto verso i burocrati del segno e gli architetti della forma. Questo malessere, l’artista decide di curarlo attraverso l’uso dello spago. Le ferite vanno ricucite dunque. E lo si deve fare nel più breve tempo possibile. L’arte di Ditot è l’arte del nostro secolo. Un secolo in cui l’essere umano uccide se stesso. L’evoluzione del pensiero ditottiano è facilmente leggibile. Basti guardare le opere iniziali dell’artista e confrontarle con quelle degli ultimi anni. Nella sua indagine troviamo una profonda radice culturale, frutto dei suoi studi filosofici. Un’arte che si avvale di ricerche sociologiche, di temi baudelairiani, di analisi dell’inconscio, di leggi bibliche. Un’analisi che arriva ad esplorare segnicamente i più importanti disastri degli ultimi anni. Un’analisi che si confronta con temi danteschi, problematiche sociali e eresie contemporanee. Tale analisi porta la sua ricerca a trattare tematiche di interesse comune, come quelle che riguardano la prigione di Alcatraz o il campo di concentramento di Auschwitz. Di notevole interesse critico è la maniera in cui l’artista realizza le sue opere. Una maniera, che per il momento, non ci è permesso conoscere.

SCARICA IL COMUNICATO IN PDF
COMMENTI