Tell Me a Story: Locality and Narrative

Tell Me a Story: Locality and Narrative

 

Dal 07 Giugno 2018 al 14 Ottobre 2018

Torino

Luogo: Fondazione Sandretto Re Rebaudengo

Indirizzo: via Modane 16

Orari: Giovedì 20-23; Venerdì-Sabato-Domenica 12-19

Curatori: Amy Cheng, Hsieh Feng-Rong

Enti promotori:

  • Fondazione Sandretto Re Rebaudengo with the support of the Rockbund Art Museum in Shanghai

Costo del biglietto: intero € 5, ridotto € 3 studenti e maggiori di 65 anni, gruppi € 4 (minimo 6 persone). Gratuito minori di 12 anni, Insieme per l’Arte, Abbonamento Torino Musei, giornalisti, Membri ICOM e convenzioni. Giovedì ingresso gratuito

Telefono per informazioni: +39 011 3797600

E-Mail info: info@fsrr.org

Sito ufficiale: http://fsrr.org



La Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, dal 7 giugno al 14 ottobre, presenta “Tell Me a Story: Locality and Narrative”, mostra a cura di Amy Cheng e Hsieh Feng-Rong che espone artisti da tutta l’Asia portandoli a condividere 12 storie legate ad altrettante culture regionali, e a tracciarne l’evoluzione fino all’era moderna.

“Tell me a story” è la seconda mostra che nasce dalla collaborazione tra la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo e il Rockbund Art Museum di Shanghai dopo “Walking on the fade out lines, opere dalla Collezione Sandretto Re Rebaudengo” presentata al RAM dal 24 marzo al 27 maggio 2018.

Attraverso l’esplorazione dei legami personali fra artista e ambiente, ogni opera dipinge molteplici sfaccettature della vita locale, rivelando allo stesso tempo un lato dell’Asia che spesso resta invisibile e impercettibile. Benché provenienti da diversi luoghi e culture, queste storie creano fra loro un rapporto che è tanto armonico quanto è contrastante. Ognuna propone infatti una diversa saga locale, e tuttavia manifesta una storia più profonda e condivisa, mettendo in luce tutta la complessità dell’esistenza “sul terreno” nelle società asiatiche contemporanee.

Vita ai margini
La mostra si apre con la videoinstallazione Fireworks (Archive) di Apichatpong, Fireworks (Archive), che conduce lo spettatore attraverso un surreale viaggio notturno in un tempio sul confine della Tailandia settentrionale. Le uniche fonti di illuminazione sono quelle introdotte dallo stesso Apichatpong. Torce elettriche e fuochi d’artificio illuminano il tempio, e le subitanee vampate incandescenti ricordano le fiamme della guerra, che devastavano la regione quando fu cancellata dalla colonizzazione di Bangkok, e bombardata dall’esercito USA durante gli anni Settanta. L’artista descrive la sua opera come una “macchina dei ricordi allucinogena.” Il confine fra fantasia e realtà dei fatti è oscuro come i recessi bui della storia stessa.

In forte contrasto, il fotografo giapponese Tomoko Yoneda visita l’isola disabitata di Sakhalin, utilizzando una fotografia più concettuale e sofisticata per catturare la storia sinistra della vita passata in questo luogo. Un tempo abitata dagli operai di alcune fabbriche e dalle loro famiglie, l’isola fu occupata dall’esercito sovietico dopo la Seconda guerra mondiale. Le famiglie furono trasferite, ma le fabbriche rimasero, a sfidare gli elementi in totale solitudine. Otto fotografie colgono in pieno l’equilibrio fra il ruolo attuale dell’isola e quello precedente: il luogo è idilliaco, calmo, eppure privo di ogni vita umana.

Ma la marginalità non esiste solo in periferia: a volte la troviamo anche nel cuore pulsante di una metropoli frenetica. Let the Water Flow, di Field Recordings, mappa l’esistenza precaria dei lavoratori migranti ancorati sulle sponde del torrente Suzhou e del fiume Huangpu, a Shanghai. Il confine fra terra e acqua rispecchia la barriera politica ed economica che si para di fronte a questi lavoratori, mentre contemplano il panorama fisso dei grattacieli dal ponte delle loro barche, dondolando sulle onde dei due corsi d’acqua. Una parte dell’opera presenta una rassegna di studi accademici sui rapporti fra uomo e ambiente, vita e acqua. Un’altra parte segue i lavoratori in una panoramica di ricerche sul campo, svelando il loro fragile legame con un’economia che va globalizzandosi.
Narrare al di là dello spazio e del tempo: rivisitazione, immaginazione e ricostruzione
Benché il destino delle persone sia inscritto nei confini geografici e nazionali, è anche vero che una terra e i suoi contorni sono definiti dalla sua popolazione. Mentre alcuni dei lavori in mostra si muovono intorno a storie e strutture collocate nello spazio e nel tempo, altri rivelano il legame molto concreto esistente fra popolazione e territorio attraverso proiezioni immaginarie, nel passato e nel futuro. Queste opere svelano il non meno importante ruolo dell’immaginazione nel dar forma a un luogo, insieme al rapporto di duplicità fra terreno e cultura, e al modo in cui si influenzano a vicenda. La forza dell’immaginazione e il potenziale del futuro non sono meno importanti dei fatti storici, o dei limiti fisici, nel trasformare paesaggi più o meno grandi o piccoli.

Un modo per portare alla luce questo rapporto è ridisegnare le sue stesse linee fisiche. Hong Kong is Land di MAP Office è un’installazione composta da schermi pieghevoli e da video, che ci presentano la mappa di una Hong Kong “futura” — che comprende diverse nuove isole, e dà indicazioni dettagliate su edifici e fabbriche, case e giardini botanici. Hong Kong is Land è una profezia rivolta a Hong Kong, che elabora il suo futuro rispetto a ecologia, territorio, sistema economico, e alle condizioni della sua vita collettiva.

Se Hong Kong is Land guarda al futuro, Grand Voyage: A study on Name si volge al passato. Ispirati dall’idea del viaggio per mare, Guo Xi e Zhang Jianling si imbarcano su una nave alla scoperta delle origini del nome Blue Hydrangea (ortensia blu). Gli artisti navigano realmente intorno a Europa, Giappone e continente asiatico, e tuttavia Grand Voyage: A Study on Name condivide con Hong Kong is Land l’uso della fantasia. Video e oggetti di recupero si intrecciano per narrare una storia che non è basata su alcun luogo geografico o periodo concreto. Entrambe le opere si collocano fra fantasia e realtà. Ricostruendo gli ambienti per il tramite dell’immaginazione, esplorano luoghi e storie in modo radicale e profondo.

Nuove possibilità del narrare
Per la mostra che si terrà il prossimo giugno presso la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, i curatori invitano tre nuovi artisti a partecipare al processo di narrazione, indagando diverse possibilità del narrare attraverso l’arte. Utilizzando teche animate, un letto in teak e una pellicola sperimentale animata a mano, Lucy Davis ci porta dentro un’installazione teatrale, che rispecchia il suo attuale interesse politico-economico per i cambiamenti macro-ecologici nelle isole del Sudest asiatico a partire dal XIX secolo, in particolare l’impoverimento dell’ambiente forestale e costiero dell’arcipelago. Il murales di piastrelle di Chen Po-I rivela una storia nascosta attraverso i murales di piastrelle presenti in un popolare luogo turistico, il Largo da Sé, a Macao. Di solito i turisti si fotografano di fronte ai murales, ignorando però le storie che celano, e considerandoli come meri elementi decorativi. I murales furono realizzati dal governo locale dopo il ritorno di Macao alla Cina, ma il loro contenuto ci parla di una storia coloniale legata al Portogallo, che stimola l’artista a indagare meglio questa dislocazione ideologica nel corso della storia.
L’artista fa uso di uno speciale smalto per raffigurare alcuni eventi storici significativi sulle piastrelle, che però diventano visibili solo se innaffiati con acqua fredda, per poi svanire poco dopo. Queste immagini fuggevoli sono simili alla storia nascosta, che esiste ma non sempre è visibile. La videoinstallazione Spirit-Writing di Hsu Chia-Wei presenta un insolito dialogo fra l’artista e il dio-rana Marshal Tie Jia che, secondo la leggenda, nasce in un piccolo stagno più di 1400 anni fa a Jiangxi, in Cina. Gli abitanti del villaggio locale comunicano con il dio-rana attraverso un inedito rituale di divinazione che coinvolge una sedia, durante il quale la seduta divinatoria viene scossa violentemente dai comandi del dio, andando a sbattere contro l’altare e tracciando le parole che corrispondono agli ordini del potere divino. Hsu applica la tecnica della cattura del movimento in studio per documentare i movimenti della sedia divinatoria, che viene post-prodotta in animazione 3D.

I lavori descritti sono solo alcune delle 12 affascinanti opere visibili nella mostra “Tell Me a Story: Locality and Narrative.”Considerate nel loro insieme, le opere manifestano una notevole eterogeneità, e tuttavia condividono una narrazione comune. Un esame attento e personale del senso di sradicamento e di appartenenza, geografia e cultura, accumulazione storica e sogni del futuro: questi i tratti caratterizzanti il tono emotivo e i metodi degli artisti. Dal collegamento fra le loro opere emerge un panorama più ampio – tanto suggestivo, e forse incerto, quanto i temi che trattano, ma non per questo meno profondo. La mostra offre un valido contesto per misurarsi con la difficile questione di come conservare, ma anche scoprire, l’identità locale in interazione con le più ampie forze della società. In questo senso, lascerà senz’altro un’impronta negli spettatori che con coraggio vorranno raccogliere la sua sfida.

Artisti in mostra: Au Sow-Yee, Chen Po-I, Lucy Davis, Guo Xi and Zhang Jianling, Hae Jun Jo and Kyeong Soo Lee, Hsu Chia-Wei, MAP Office, Field Recordings, Su Yu-Hsien, Koki Tanaka, Apichatpong Weerasethakul, Watan Wuma, Tomoko Yoneda.

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