A Palazzo Mazzetti fino al 7 aprile

Alle origini della natura morta. I segreti della Canestra di Caravaggio si svelano ad Asti

Caravaggio, Canestra di frutta, 1599 circa, Olio su tela, 31 × 47 cm, Milano, Pinacoteca Ambrosiana
 

Francesca Grego

27/11/2023

Asti - È un’autentica rivoluzione dello sguardo quella che, tra la fine del Cinquecento e l'inizio del Seicento, dà origine al genere pittorico che in Italia chiamiamo “natura morta” e che nei paesi nordici prende il nome di “still life”. Frutta, fiori, pesci, selvaggina, libri, teschi, strumenti musicali e oggetti d'uso quotidiano si ritrovano al centro di opere d'arte che per la prima volta assegnano loro uno status autonomo, da veri protagonisti. Sono tanti i motivi che, dalle Fiandre al Belpaese, favoriscono la diffusione di quest'onda: l'interesse scientifico per la natura, l'ascesa della borghesia, il divieto nei paesi protestanti di dipingere la Madonna, Cristo e i santi o, in quelli cattolici, la propaganda della Controriforma. Il risultato è sempre un ossimoro: l'artista ritrae un fiore o un frutto destinato ad appassire in breve tempo, consegnandolo all'eternità. Non è forse il desiderio di ogni immagine?

In Italia la tradizione vuole che a inaugurare il nuovo genere sia stato nientemeno che Caravaggio con la celebre Canestra di frutta (1597-1600), oggi al centro di una mostra che ruota attorno alla natura morta. Fino al 7 aprile 2024, Palazzo Mazzetti ad Asti ospita il capolavoro di Caravaggio in prestito dalla Biblioteca Ambrosiana di Milano, che lo custodisce dal lontano 1607. Il prezioso olio su tela dialoga con una ventina di dipinti provenienti da musei pubblici – dalla Galleria Borghese alla Venaria Reale – e raccolte private, come la Collezione Pallavicini e la Collezione Cremonini.
A cura di Costantino D’Orazio, La Canestra di Caravaggio. Segreti ed enigmi della Natura Morta mira a documentare la nascita e l’evoluzione dello still life, in particolare in ambito italiano, rintracciandone i prodromi ed evidenziando l’influenza dell’esempio del Merisi sugli artisti successivi.


La Canestra di Caravaggio. Segreti ed enigmi della Natura Morta, Palazzo Mazzetti, Asti I Courtesy Arthemisia 

Caravaggio aveva 23 anni quando creò la sua Canestra per il cardinale Federico Borromeo. Prima di allora, frutti e fiori comparivano nei quadri come elementi decorativi o simbolici, di solito a corredo di scene in cui la figura umana era protagonista. Come mai allora un cardinale colto e pio come Borromeo non chiese al Merisi di dipingere un episodio religioso, bensì una cesta di frutti, alcuni per giunta bacati? Che cosa era in grado di comunicare nel XVII secolo una gerbera gialla in primo piano, o una composizione di cipolle, limoni e cacciagione? Per un pittore, si trattava semplicemente di un esercizio di abilità, oppure ogni natura morta cela un enigma da decifrare?


Nicolas Régnier, Ragazzo con vassoio di susine. Olio su tela, 76x66 cm. Collezione privata, Modena 

Obiettivo della mostra astigiana è offrire ai visitatori un vero e proprio vocabolario, in cui ogni frutto, vegetale, animale o oggetto rivela il proprio segreto. Nel caso della Canestra di Caravaggio, il limone è simbolo di purezza per l’acidità del suo succo; la pesca, composta da polpa, nocciolo e seme, è simbolo della Trinità e la forma della sua foglia richiama quella della lingua, invito a pronunciare la verità. Ma gli oggetti più significativi della composizione sono la mela e l’uva. Sulla prima è visibile il foro prodotto da un verme, che destina il frutto a una fine precoce, mentre le foglie dell’uva compaiono fresche sulla sinistra e secche a destra. Si tratta di due Memento mori, che Caravaggio esalta con un sapiente uso della luce e delle pennellate (le foglie sulla sinistra sono fresche e costellate di rugiada, quelle a destra sono ormai secche, fino a diventare soltanto ombre). “In un’epoca fortemente condizionata dalle idee del Concilio di Trento”, scrive il curatore, “anche la Canestra si inserisce negli strumenti di conversione elaborati dagli artisti per la Chiesa Cattolica”.


La Canestra di Caravaggio. Segreti ed enigmi della Natura Morta, Palazzo Mazzetti, Asti I Courtesy Arthemisia 
 
Il quadro di Caravaggio è tutt’altro che un caso isolato, sebbene in quegli anni molti artisti si muovano ancora nel solco del passato, rielaborando soggetti caravaggeschi come il Ragazzo con canestra di frutta della Galleria Borghese. In mostra lo esemplificano bene il Ragazzo con vassoio di susine di Nicolas Régnier, un fiammingo che a Roma subisce l’influenza del Merisi, o la Coppia di popolani con natura morta di un anonimo artista di area lombarda, nella quale Caravaggio si è formato.
Nei dipinti del bergamasco Bartolomeo Bettera, invece, compaiono strumenti musicali impolverati, sotto tende sollevate alla maniera di un sipario: un’iconografia che riscuote di grande successo nel Seicento, come dimostra la Composizione con cesta di frutta e specchio su tappeto, di Francesco Noletti, detto il Maltese.


Francesco Noletti, detto il Maltese, Composizione con cesta di frutta e specchio su tappeto. Olio su tela, 91x110 cm. Collezione privata, Modena
 
Negli anni successivi la rivoluzione della natura morta si fa matura e alcuni pittori diventano veri e propri specialisti del genere, estremamente ricercato dai collezionisti: Jan Brueghel il Giovane, Orsola Maddalena Caccia, Octavianus Monfort si dedicheranno allo still life in modo quasi esclusivo, sperimentando variazioni cromatiche e luministiche su soggetti privi di movimento. C’è sempre un’atmosfera di attesa in queste opere, dove la natura morta rappresenta una sorta di soglia tra due momenti in cui la presenza dell’uomo è temporaneamente esclusa. Passo dopo passo, i dipinti della mostra astigiana ricostruiscono la storia di un genere di successo, schiudendo al pubblico contemporaneo i segreti di un linguaggio antico.


Bartolomeo Bettera, Natura morta con strumenti musicali e metronomo. Olio su tela, 72x95 cm. Fondazione Accademia Carrara, Bergamo

 
 
 
 
 

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