Biennale: femminile plurale

opere alla 51 biennale di venezia
14/06/2005
Una Biennale non solo vetrina, ma luogo di produzione e scambio, “capace di ridisegnare le topografie contemporanee dell’alterità”. Ecco la sfida di questa edizione, che vede per la prima volta alla direzione due donne a presentare due diverse mostre internazionali. “Benvenuti alla Biennale femminista”, recita il manifesto delle Guerrilla Girls che ci accoglie negli spazi dell’Arsenale, insieme al grande candelabro di Joana Vasconcelos. Questo mentre l’americana Barbara Kruger riveste interamente l’ingresso del Padiglione Italia con un Tatuaggio murale, ideato per l’occasione per spiazzare lo spettatore con un immediato incontro con la sua coscienza. Ma l’intenzione comune e profonda delle due curatrici è dimostrare la possibilità di raccontare l’arte come un percorso che si svincola da ogni categoria razionalistica.
Così nei Giardini, dove Maria de Corral presenta L’esperienza dell’arte, non è una linearità cronologica o gerarchica a guidarci tra i lavori dei 43 artisti selezionati (dagli anni ‘70 ad oggi), piuttosto assonanze e contrasti, tra i quadri di Antoni Tapies (tra cui lo splendido Terra Negra), di Francis Bacon e Marlene Dumas, i lavori concettuali di Bruce Nauman (Shit in your hat-head on a chair 1990), Dan Graham, le poesie luminose di Jenny Holzer (Purple Cross, 2004), e le proposte di Candice Breitz (Father e Mother, 2005) e William Kentridge (Day for Night and 7 fragments for Georges Melies, 2003) dal Sudafrica, di Tania Bruguera da Cuba con la videoinstallazione Poetic Justice, 2003, composta da pareti di bustine da the, o dell’inglese Tacita Dean (Palast, 2004). L’esperienza dell’arte non può ridursi alla consolazione di una rappresentazione, ma è un processo in atto, alla ricerca di contatti, rimandi, suggestioni, sempre nuovi.
Un invito al viaggio ed all'esplorazione, ispirato al romanticismo di Corto Maltese ed al rigore di Samuel Beckett, in Sempre un po’ più lontano, a cura di Rosa Martinez: una ricerca nella contemporaneità per ridiscutere i confini dello spazio e del tempo, “.. non limitare l’orizzonte a quanto di sensibilmente percepito, non temere l’ignoto ed anzi alimentare il desiderio di guardare oltre”. Così, addentrandosi nell’Arsenale ci si avventura nella galassia dell’indeterminatezza (Mona Hatoum, “ +and-“, 1994-2004), dell’oscuro, e della luce che avvicina terra e cielo (Carlos Garaicoa, 2005), fino all’astronave della giapponese Mariko Mori, per un viaggio all’interno dei propri pensieri.
Tra i presenti, l’italiana Micol Assael, il duo Jennifer Allora & Guillermo Calzadilla, Ghada Amer, John Bock, Adrian Paci, Emily Jacir, Olaf Nicolai, Sergio Vega, e Rem Koolhas. Nessuna direzione certa quindi, nessun centro, ma la possibilità di addentrarsi nei territori instabili della creatività dell’immaginazione, per riconoscere ancora nell’arte l’emozione, la critica partecipazione. Conviene dunque spostarsi dal centro. Anche perché è difficile difendere dalle critiche le scelte espositive dei padiglioni nazionali, dove i grandi nomi - nei padiglioni centrali dei Giardini - sostanzialmente non hanno nulla di nuovo da dire.
Così, Gilbert & George (Gran Bretagna), vere star dell’inaugurazione, pronti a esporsi in affabile doppiopetto per presentare le Ginkgo Pictures, mentre Ed Ruscha (USA) in Course of Empire rielabora un ciclo di paesaggi urbani in b/n (Blue Collar, del1992) in una versione a colori accelerata ed invecchiata fino al punto di deterioramento. Molto interessanti le proposte “periferiche”: da Tino Sehgal nel Padiglione Tedesco al progetto Una libreria ai tropici, nel Padiglione Brasile, Virgin Garden: Emersion della Repubblica Popolare Cinese, Another Speedy Day di Vadim Fiskin nel Padiglione Sloveno, e via via fino a perdersi in un arcipelago di eventi e proposte da scoprire in tutta la città.
Così nei Giardini, dove Maria de Corral presenta L’esperienza dell’arte, non è una linearità cronologica o gerarchica a guidarci tra i lavori dei 43 artisti selezionati (dagli anni ‘70 ad oggi), piuttosto assonanze e contrasti, tra i quadri di Antoni Tapies (tra cui lo splendido Terra Negra), di Francis Bacon e Marlene Dumas, i lavori concettuali di Bruce Nauman (Shit in your hat-head on a chair 1990), Dan Graham, le poesie luminose di Jenny Holzer (Purple Cross, 2004), e le proposte di Candice Breitz (Father e Mother, 2005) e William Kentridge (Day for Night and 7 fragments for Georges Melies, 2003) dal Sudafrica, di Tania Bruguera da Cuba con la videoinstallazione Poetic Justice, 2003, composta da pareti di bustine da the, o dell’inglese Tacita Dean (Palast, 2004). L’esperienza dell’arte non può ridursi alla consolazione di una rappresentazione, ma è un processo in atto, alla ricerca di contatti, rimandi, suggestioni, sempre nuovi.
Un invito al viaggio ed all'esplorazione, ispirato al romanticismo di Corto Maltese ed al rigore di Samuel Beckett, in Sempre un po’ più lontano, a cura di Rosa Martinez: una ricerca nella contemporaneità per ridiscutere i confini dello spazio e del tempo, “.. non limitare l’orizzonte a quanto di sensibilmente percepito, non temere l’ignoto ed anzi alimentare il desiderio di guardare oltre”. Così, addentrandosi nell’Arsenale ci si avventura nella galassia dell’indeterminatezza (Mona Hatoum, “ +and-“, 1994-2004), dell’oscuro, e della luce che avvicina terra e cielo (Carlos Garaicoa, 2005), fino all’astronave della giapponese Mariko Mori, per un viaggio all’interno dei propri pensieri.
Tra i presenti, l’italiana Micol Assael, il duo Jennifer Allora & Guillermo Calzadilla, Ghada Amer, John Bock, Adrian Paci, Emily Jacir, Olaf Nicolai, Sergio Vega, e Rem Koolhas. Nessuna direzione certa quindi, nessun centro, ma la possibilità di addentrarsi nei territori instabili della creatività dell’immaginazione, per riconoscere ancora nell’arte l’emozione, la critica partecipazione. Conviene dunque spostarsi dal centro. Anche perché è difficile difendere dalle critiche le scelte espositive dei padiglioni nazionali, dove i grandi nomi - nei padiglioni centrali dei Giardini - sostanzialmente non hanno nulla di nuovo da dire.
Così, Gilbert & George (Gran Bretagna), vere star dell’inaugurazione, pronti a esporsi in affabile doppiopetto per presentare le Ginkgo Pictures, mentre Ed Ruscha (USA) in Course of Empire rielabora un ciclo di paesaggi urbani in b/n (Blue Collar, del1992) in una versione a colori accelerata ed invecchiata fino al punto di deterioramento. Molto interessanti le proposte “periferiche”: da Tino Sehgal nel Padiglione Tedesco al progetto Una libreria ai tropici, nel Padiglione Brasile, Virgin Garden: Emersion della Repubblica Popolare Cinese, Another Speedy Day di Vadim Fiskin nel Padiglione Sloveno, e via via fino a perdersi in un arcipelago di eventi e proposte da scoprire in tutta la città.
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