"Gauguin a Tahiti. Il paradiso perduto" nelle sale il 25, 26 e 27 marzo

Dall’amicizia con Van Gogh al distacco dagli Impressionisti: Marco Goldin racconta il suo Gauguin

Paul Gauguin, Il girotondo delle piccole bretoni, 1888, Washington, National Gallery of Art
 

Samantha De Martin

21/03/2019

Lontano dallo spirito impressionista per quel suo distacco dalla “religione dell’occhio e dell’attimo”, che lo induceva a realizzare un’arte più meditata, intrisa di sogni e memorie, vicino a Van Gogh per la comune insofferenza verso l’ambiente parigino, nella loro turbolenta amicizia, Gauguin restò sempre un outsider alla costante ricerca di un’arte da coltivare e fare attecchire nel più remoto e incontaminato paradiso.
Il viaggio umano e artistico ai confini del mondo, in quella Tahiti dove trascorrerà quasi ininterrottamente dodici anni di spasmodica ricerca di autenticità, sfogliando colori e visioni ogni volta più puri ed accesi, è al centro del docufilm diretto da Claudio Poli, prodotto da 3D Produzioni e Nexo Digital con il sostegno di Intesa Sanpaolo, nelle sale il 25, 26 e 27 marzo come nuovo appuntamento della Grande Arte al Cinema.

In attesa della prossima mostra dedicata al Novecento che anticipa l’ambizioso progetto in programma per il biennio 2020-2022 dedicato alla meraviglia del colore, da Van Gogh a Canaletto, Marco Goldin, storico dell'arte, oltre che autore del soggetto assieme al regista Matteo Moneta, ci accompagna nello spartito artistico del racconto cinematografico incentrato sulla vita di Gauguin, ma soprattutto sulla ricerca delle forme ancestrali di una nuova pittura.

Che cos’è che accomuna Gauguin e Van Gogh? Cosa li divide?
“Van Gogh ha una dissintonia nei confronti della città, come d’altronde anche Gauguin nella sua continua ricerca dell’esotico. Dal punto di vista pittorico li accomuna soprattutto la volontà di modificare le regole dell’impressionismo, la ricerca di un colore a tratti naturalistico, l’interpretazione piuttosto che la visione.
Van Gogh sente il bisogno di fare le cose con grande velocità, come se gli potesse sfuggire di mano qualcosa di ciò che sta guardando, ascoltando, respirando nel paesaggio, in una persona, al contrario di Gauguin che ha bisogno di tempi più lunghi, meditati. I suoi quadri nascono dalla sovrapposizione della memoria, quasi come una presa di coscienza nei confronti della realtà.
Dalla presa di coscienza di Van Gogh nei confronti della realtà nasce la pittura espressionista, mentre Gauguin darà impulso a quella simbolista, due strade inizialmente parallele, ma che a un certo momento divergono".

Il film è anche un’occasione per lo spettatore per scoprire l’origine della pittura di Gauguin, seguendone l’evoluzione nei suoi diversi periodi: gli esordi, la Bretagna, il primo periodo polinesiano, il secondo e finale soggiorno tahitiano. Un’avventura del colore che inizia con il distacco dalle pennellate frammentarie degli Impressionisti, passa per i contrasti violenti con l’amico e collega Vincent Van Gogh per approdare a un cromatismo nuovo, legato ai movimenti dell’anima. Che cos’è che allontana maggiormente Gauguin dagli Impressionisti?
"Ad allontanarlo è soprattutto il distacco dalla religione dell’occhio e dell’attimo, che sono le due basi sulle quali Monet fonda l’Impressionismo. Quello di Gauguin è un viaggio sempre più dentro se stesso. Il luogo fisico diventa un pretesto. Sceglie Tahiti, ma avrebbe potuto scegliere qualsiasi luogo che avesse avuto il lontano come destinazione. È il fastidio nei confronti della società, della civiltà, delle regole a condurlo verso l’esotico. Il suo viaggio inizia dalla Bretagna che in quel periodo era uno dei luoghi più selvaggi di Francia nel quale si parlava una lingua antica di derivazione celtica".

Che cos’è il paradiso perduto di Gauguin?
"È quel luogo lontano che da sempre esiste tanto nel pittore quanto nell’uomo, in senso generale, che si è venuto smarrendo man mano che ci si è dovuti assoggettare alle regole. Il film racconta una parte della situazione di quest’uomo in fuga continua, alla ricerca di un’armonia, di una perfezione apparentemente inarrivabile. Anche quando arriva a Tahiti Gauguin rimarrà deluso, e questa delusione lo spingerà sempre alla ricerca della foresta più profonda, della spiaggia più lontana, del mare più silenzioso".

Perché, di ritorno da Tahiti, ebbe in Europa un’accoglienza piuttosto fredda?
"La sua pittura non era ben vista dall’establishment parigino perché fondamentalmente Gauguin non era assimilabile a nessuna categoria. Non era un impresionista e nemmeno un pittore d’accademia o di salon. Era un artista che rappresentava la bellezza che non era quella dei canoni europei. Si trattava di una sorta di “pittore maledetto” che incarnava la rottura di un equilibrio".

Che cos’è che rende Gauguin un pittore apprezzato ancora oggi?
"Sicuramente quella nostalgia ancestrale che lo accomuna all’uomo di ieri quanto a quello di oggi. Per questo motivo amiamo quei paesaggi che rappresentano qualcosa di lontano che qualcuno è riuscito a far diventare immagine".

Gauguin a Tahiti. Il paradiso perduto è prodotto da 3D Produzioni e da Nexo Digital con il sostegno di Intesa Sanpaolo e sarà nelle sale solo il 25, 26 e 27 marzo. La Grande Arte al Cinema è un progetto originale ed esclusivo di Nexo Digital. Nel 2019 la Grande Arte al Cinema è distribuita in esclusiva per l’Italia da Nexo Digital con i media partner Radio Capital, Sky Arte e Mymovies.it.

Leggi anche:

• FOTO: Il paradiso perduto di Gauguin
• Gauguin a Tahiti. Il paradiso perduto. La nostra recensione
• Adriano Giannini: come vi racconto Gauguin
• Come un romanzo: in viaggio sulle orme gi Gauguin
• Matteo Moneta e Claudio Poli raccontano il loro Paul Gauguin, tra sogno e disincanto

COMMENTI