Dal 20 maggio

Ellis Island: la storia completa dell'immigrazione verso gli USA

 

Ludovica Sanfelice

13/05/2015

Il 20 maggio, l’Ellis Island Immigration Museum che sorge nella baia di New York diventerà ufficialmente l’Ellis Island National Museum of Immigration. Il cambio di dati anagrafici corrisponde ad un ampliamento del memoriale che racconta le trafile d’ingresso che attendevano gli immigrati sull’isoletta dove si regolavano gli sbarchi.

La stazione, aperta nel 1892, chiuse nel 1954 dopo aver registrato circa 12 milioni di persone. La storia, tra valigie di cartone e sinistri strumenti per i controlli medici, si fermava a quell’anno, finchè, sette anni fa, la Statue of Liberty-Ellis Island Foundation ha avviato un progetto per aggiornare le informazioni relative all’Immigrazione in America riservando un padiglione all’era post chiusura della struttura.

Grazie alla nuova ala, quello di Ellis Island sarà perciò l’unico museo degli Stati Uniti a documentare l’intera storia dell’immigrazione dall’era coloniale ai giorni nostri. Un primo passo a ritroso era infatti stato compiuto nel 2011 con l’apertura della Sala pre-Ellis (poi danneggiata dall’uragano Sandy) che abbracciava il periodo compreso tra il 1550 e il 1890 esaminando l’immigrazione nelle ere Coloniale e Vittoriana ed esplorando i rapporti con i Nativi Americani e la schiavitù come forme di immigrazione forzata.

La nuova esposizione rifletterà soprattutto su come la tecnologia e i suoi effetti sui trasporti e le comunicazioni abbiano influenzato gli schemi migratori. Di riflesso, gli ambienti museali evocheranno il transito negli aeroporti e attraverso l’interattività e le numerose testimonianze video i visitatori saranno aiutati a vivere l’esperienza dell’immigrazione.

Qui il pubblico scoprirà che la nuova immigrazione proviene soprattutto dal centro e sud America, Africa e Cina e che gli italiani sono diminuti; saprà che a differenza del passato, quando la ragiore principale per sbarcare in America era di carattere economico, oggi più spesso sono le guerre o l'instabilità politica a motivare l'abbandono della propria patria. Ma soprattutto avrà l prova che gli Stati Uniti rappresentano ancora la terra delle possibilità e che l'American Dream gode di buona salute.

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