I vincitori

La Biennale
 

26/02/2004

La previsione di un premio per il francese Pierre Huyghe o per la canadese Janet Cardiff si è risolta alla pari. Ambedue gli artisti che hanno realizzato complesse installazioni tecnologiche raggiungendo un risultato di alta qualità e di grande forza poetica, hanno vinto il premio speciale della giuria. Pierre Huyghe , nel suo lavoro, sin dall’inizio, riflette sui meccanismi del fare e a questo scopo costruisce, già negli anni ‘94-95, alcuni pannelli pubblicitari con una immagine già utilizzata anni prima. Realizza nel 1995, un video dal titolo Remake, in cui riproduce una sequenza del famoso Rear Window di Hitchock, girata da attori sconosciuti, nel 1997 uno dal titolo Blanche-Neige Lucie, la storia di Lucie Dolène che nel 1962 doppiò la versione francese del cartone animato Biancaneve di Disney e che evidenzia le relazioni tra l’attrice francese, il carattere di un cartone animato e una corporazione multinazionale, sottolineando le relazioni tra l’identità personale e il business dell’intrattenimento. Nel 1998 in una installazione a tre proiezioni, l’Ellipse, riprende alcune sequenze del film di Wim Wenders, The American Friend (1977) fatte girare dallo stesso Bruno Ganz più vecchio di venti anni. Nella proiezione centrale l’attore attraversa un ponte collegando lo spazio alle altre due proiezioni situate in due diversi quartieri parigini. In The Third Memory, nel 2000, ricostruisce la scena della rapina alla cassa della Manhattan Bank, soggetto anche del film di Sidney Lumet Dog Day Afternoon (1975), fatta da parte dello stesso autore John Wojtowicz. L’intento dell’artista è quello di sviluppare il tema della memoria in relazione alla storia vera, a quanto ne ricorda anni dopo lo stesso protagonista e al condizionamento che il film determina nella sua ricostruzione del fatto. Si addentra nelle variazioni del montaggio apportate dal doppiaggio in diverse lingue di un film del ’29 (Atlantic, Rént multiple) Gli interessa dunque indagare le regole, i meccanismi, e il cinema gli serve per le possibili variazioni apportate nella reinterpretazione delle sequenze, al fine di conoscere la struttura del linguaggio. Arriva ad evidenziare quei piccoli scarti tra una versione e l’altra che provocano la diversità., che evocano la creatività. Per la Biennale di Venezia ha realizzato una grandiosa installazione multimediale che gli ha fatto guadagnare uno dei due premi speciali della giuria. L’indagine, in questo caso, è rivolta ai regolamenti della Biennale, ai condizionamenti dello spazio del padiglione, alla mancanza di libertà e di movimento. Lo spettatore, infatti, è obbligato ad un percorso ( realizzato dall’artista con i suoi collaboratori più stretti, artisti, assistenti e ingegneri, grafici) fissato in certe precise regole se pure minimamente modificabili. In una sala La grandes Ensembles, si assiste al variare, ad intermittenza, di alcune luci che arrivano ad illuminare le finestre di alcuni grattacieli e a far riflettere sulla ineluttabilità delle cose pur nella loro minima variazione. Nella seconda sala (Atuari light,2001) un gioco ambiguo di scambi di interruttori fa intravedere trasparenze e opacità di alcune porte che invitano ad avventurarsi per capire cosa c’è dietro. Nella terza sala un bellissimo video presenta la storia animata di Ann Lee la bambolina grafica, acquistata già alcuni anni fa dall’artista da una casa di produzione giapponese, che attraversa un sentiero montuoso. Il percorso montuoso è originato dalle note rendendo in questo modo “visibile” l’accompagnamento musicale. Alla fine del percorso, quando la bambolina ha terminato il suo cammino e il video si ferma, si accendono le luci di un complesso e affascinante lampadario simile ad un sistema venoso che porta linfa alle cellule o alle placente che contengono piccoli esseri pronti alla vita. Il riferimento all’ingegneria genetica, metafora della creatività, si conclude in una struttura a sedili, in una ironica e dissacrante volgarizzazione mondana del sistema. The Paradise Institute è l’installazione realizzata da Janet Cardiff e Georges Bures Miller che già dal titolo intervengono a destabilizzare la concezione che abbiamo del mondo: la parola Paradiso evocativa di sogni romantici viene infatti avvicinata ad una realtà burocratica e stretta nelle regole. Tutto il lavoro della Cardiff si rivolge a trasmettere elementi che destabilizzano la nostra percezione. Propone itinerari particolari a spettatori muniti di auricolari: ricordiamo quello all’interno del Museum of Modern Art in cui i visitatori seguivano un percorso guidato attraverso le opere del museo ma si accorgevano quasi subito di avere informazioni non conformi alle opere che si trovavano davanti. Andavano pertanto a protestare alla direzione per essere stati dotati di cuffie sbagliate. Nelle passeggiate suggerite dalla Cardiff a Villa Medici per la mostra La Ville, la Mémoire, le Jardin, le storie o le informazioni trasmesse dall’auricolare risultavano diverse dalla realtà provocando una ambiguità delle nostre percezioni. Alla Biennale il rapporto tra realtà e finzione ci porta a riflettere sulla nostra soggettività anche a causa della tecnologia sempre più invasiva nella vita quotidiana. Entriamo in una sala cinematografica in legno con 17 posti di galleria. Al di sotto c’è una platea in miniatura. Ai posti reali sono fissate le cuffie che lo spettatore deve mettersi per seguire la programmazione di un film che va sullo schermo. Vari frammenti di storie si intersecano gli uni con gli altri dando luogo ad un affollamento di immagini, di ricordi, di sogni che parlano di paura, di violenza, di sesso e che forse sono flash back della vita di un giovane costretto in un letto di ospedale. Contemporaneamente all’intrecciarsi di questi flash nell’auricolare sentiamo una persona che mastica, una voce che ci sussurra, un telefonino che squilla, una canzone degli anni quaranta. Il cinema ci parla attraverso la fiction di una storia che è avvenuta nella realtà, gli auricolari, programmati, ci fanno sentire disturbi reali. Il rapporto tra verità, sogno, memoria, finzione confonde ed eccita la nostra immaginazione.

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