Il 15 giugno nasceva il maestro del Barocco

Nicolas Poussin, il "Raffaello francese" che amava l'Italia

Nicolas Poussin, Trionfo di Ovidio, 1624-1630 circa, Olio su tela, 176 x 143 cm, Roma, Palazzo Corsini
 

Samantha De Martin

15/06/2020

All’interno della Basilica di San Lorenzo in Lucina, alla destra della navata centrale, si scorge un cenotafio: “A Nicolas Poussin per la gloria della sua arte e l’onore della Francia”. Fu François-René de Chateaubriand, nel 1831, a farlo costruire a ricordo del pittore, accanto all’enigmatica frase “Et in Arcadia Ego” che richiama il celebre quadro del Louvre I Pastori in Arcadia, di cui Poussin fu autore.

Francese di nascita, italiano per scelta, Maestro del barocco per definizione, autodidatta formatosi frequentando studi e botteghe di altri artisti, Nicolas Poussin amava Roma. E sotto la protezione concessa dal cardinale Barberini, il pittore fu nella città eterna a partire dal 1624. All’ombra del Cupolone assunse sempre maggiore autorevolezza, completando le proprie conoscenze nel campo dell’ottica e della geometria, studiando e riportando su tela complesse soluzioni prospettiche per ritornare in patria, alla corte di Luigi XIII, tronfio di gloria, dopo aver firmato per la Basilica di San Pietro Il martirio di Sant’Erasmo, capolavoro oggi custodito alla Pinacoteca Vaticana.


Nicolas Poussin, Martirio di Sant’Erasmo, 1628-1629, Olio su tela, 186 x 320 cm, Pinacoteca Vaticana

Nato il 15 giugno di 426 anni fa
nel comune francese di Les Andelys, lasciata a diciotto anni la dimora familiare per seguire la carriera di pittore, lo schivo e morigerato Poussin arrivò per la prima volta a Roma nel 1624 per incontrare il poeta Giambattista Marino che divenne presto suo mentore e che lo mise in contatto con i salotti delle ricche famiglie romane.

Dopo aver sposato la figlia di un pasticcere francese trasferito in Italia, Poussin si fermò nella città dei Papi. Inizialmente fino al 1640, quando, dopo ripetuti inviti a far ritorno in patria, l’amico fraterno Paul Fréart de Chantelou venne a cercarlo convincendolo a raggiungere la Francia. In patria Poussin fu accolto con grandi onori dopo i successi di Roma. Luigi XIII e Richelieu gli affidarono addirittura la supervisione dei lavori del Louvre, nominandolo primo pittore del re e direttore generale degli abbellimenti dei palazzi reali. Tuttavia la vita di corte non si addiceva a un carattere schivo e morigerato come quello di Poussin, una sorta di “asceta” della pittura che soffriva non poco le maldicenze e i pettegolezzi parigini, specie le gelosie di Vouet (già primo pittore del re) che limitarono molto la sua attività.

Così consegnò a Richelieu solamente qualche tavola - come il Trionfo della Verità - prima di far ritorno definitivamente a Roma, nel 1642, ma promettendo di tornare in patria. Nonostante non abbia più fatto ritorno in Francia, Poussin non smise di lavorare per il proprio Paese, dando con i suoi consigli un nuovo impulso alla sua scuola.
Ma sarà Roma a tributargli la fama europea grazie ad opere come le tavole mitologiche di Orfeo e Euridice, Orione cieco, I Pastori dell'Arcadia e bibliche (Le quattro stagioni). E a Roma, il pittore protagonista de Il capolavoro sconosciuto di Honoré de Balzac, volle essere salutato con esequie modestissime.


Nicolas Poussin, Venere con fauno e putti, 1630 circa, Olio su tela, 72 x 56 cm, San Pietroburgo, Museo Statale Ermitage | "Da Poussin agli Impressionisti. Tre secoli di pittura francese dall'Ermitage" | Courtesy of Palazzo Madama, Fondazione Torino Musei

Il primo incarico a Roma: Il Martirio di Sant’Erasmo dei Musei Vaticani
Il Martirio di Sant' Erasmo, oggi custodito nella Pinacoteca Vaticana, rappresenta il primo incarico pubblico di Nicolas Poussin a Roma, oltre a costituire un vero e proprio prototipo per le successive rappresentazioni di episodi di martirio. L’olio su tela era stato eseguito nel 1628 per l'altare del transetto destro della Basilica di San Pietro, dove rimase fino al Settecento per essere portato a Parigi nel 1797 ed essere restituito nel 1820 alla Pinacoteca Vaticana di Pio VII.

Il pittore rappresenta il martire Erasmo in primo piano, mentre subisce la terribile condanna durante le persecuzioni di Diocleziano, nel 303 d.C. L’intera scena è presentata in maniera cruda e diretta, con il soldato romano, incaricato dell'esecuzione, che estrae l'intestino del Santo, facendolo arrotolare, da alcuni marinai, intorno a un argano.

“Le Raphaël de la France”
Poussin aderì perfettamente al modello formativo della sua epoca, che lo portò al confronto con i grandi modelli del secolo precedente, come Tiziano o Raffaello. Fu soprattutto il Maestro di Urbino, con la compostezza classicheggiante del suo stile, a fornire al francese i principali parametri artistici, al punto che già otto anni dopo la sua morte Poussin era considerato "le Raphaël de la France".

L’intera produzione del pittore - noto anche per La battaglia di Giosuè contro gli Amorriti, oggi al Museo Puškin di Mosca, per l'Apparizione della Vergine a san Giacomo il Maggiore del Museo del Louvre o per L'Adorazione del Vitello d'oro custodito alla National Gallery di Londra - è stata definita un "commento senza parole" all'opera di Raffaello.


Nicolas Poussin, L'Adorazione del vitello d'oro, 1634 circa, Olio su tela, 214 x 154 cm, Londra, National Gallery

D’altra parte tutta la cultura francese della seconda metà XVII secolo condivideva l’esaltazione dell’artista di Urbino, considerato un rappresentante del passato e, al tempo stesso, la norma per l'avvenire della Scuola pittorica d'oltralpe. E Nicolas Poussin cercò di riappropriarsi di quegli stilemi di grazia e di bellezza che avevano reso universale il pittore di Urbino. Lo studio dell'opera artistica del Sanzio avrebbe aiutato la pittura francese a svincolarsi dalla pesantezza del manierismo fiammingo, conducendola al punto più alto del classicismo.

I capolavori di Poussin alle Gallerie Nazionali Barberini Corsini
Le Gallerie Nazionali Barberini Corsini custodiscono alcuni capolavori realizzati da Poussin.
Palazzo Barberini ospita due tempere su tela, dal titolo Baccanale di Putti realizzate quasi sicuramente nel 1626. Non si conosce il committente dei due dipinti che vengono citati negli inventari Chigi a partire dal 1666. Riferisce il Bellori nelle Vite che le due opere, prive di data, sarebbero da ascriversi ai primi anni del soggiorno italiano di Poussin. Ma lo storico dell’arte ci dice di più sul periodo romano del pittore francese.

“Viveva egli in compagnia in una medesima casa con Francesco Fiammingo scultore (François Duquesnoy ndr); fecero studio sopra il Giuoco degli amori di Tiziano nel giardino Ludovisi, che ora si trova in Ispagna. Nicolò non soli copiavali in pittura ma insieme col compagno li modellava in creta in bassi rilievi, onde si acquistò una bella maniera di formare i putti teneri, de quali si sono veduti alcuni scherzi e baccanali a guazzo e ad olio di sua mano, fatti in quel tempo”.

Anche il pittore tedesco Joachim von Sandrart ricorda come uno dei “Baccanali" di Tiziano (il Baccanale degli Andrii, oggi al Museo del Prado) gli fosse mostrato in Palazzo Aldobrandini mentre si trovava in compagnia proprio di Poussin. L’opera, assieme alla Festa degli amorini e al Bacco e Arianna, fu molto ammirata e copiata tanto in Italia quanto in Spagna, da artisti come Rubens, Reni e dallo stesso Poussin. Anche se, secondo Gaspard Dughet, Poussin non avrebbe mai copiato “i putti di Tiziano”. Secondo il pittore, infatti, a differenza di altri artisti che eseguirono copie dei Baccanali, Poussin non può essere considerato un copista di Tiziano, bensì un interprete originale che, dal modello, sceglie altre figure evocandone l'archetipo mitologico.

Palazzo Corsini ospita invece il Trionfo di Ovidio. L'opera, considerata quasi all'unanimità autografa, esalta Ovidio quale cantore dell'amore, ma serebbe anche un pretesto per ricordare l’amico poeta Giambattista Marino, morto nel 1625.
La tela, incompiuta e nella quale sono visibili alcuni pentimenti, va datata con ogni probabilità ai primi anni del lungo soggiorno romano del pittore, tra il 1624 e prima del 1630. In questo dipinto Poussin celebra un poeta. Sebbene la figura centrale alluda all'autore latino dell’Ars Amatoria, nei tratti del volto del personaggio si è voluto riconoscere l’amico e mentore di Poussin, Giambattista Marino.


Nicolas Poussin, Trionfo di Ovidio, 1624-1630 circa, Olio su tela, 176 x 143 cm, Roma, Palazzo Corsini

Come in una sinfonia di citazioni iconografiche classiche ed erudite, la tela, come ha sottolineato qualcuno “rappresenta il tema amoroso attraverso l’interpretazione di Ovidio, che ne esalta l’aspetto ludico e al tempo stesso aleatorio".
Venere, riconoscibile attraverso le due colombe, riposa, addormentata, ai piedi del poeta, mentre dieci eroti giocano in un bosco non lontano dal mare. Alcuni prendono come bersaglio un cuore che pende da un ramo, mentre accendono fiaccole attraverso saette piovute dal cielo. Un altro amorino, sullo sfondo, cavalca un delfino. Mentre la visione di Ovidio è totalmemte idilliaca, celebrativa dell’amore, quella di Poussin se ne discosta. Il pittore inserisce sullo sfondo un satiro dal profilo diabolico, intento ad osservare la scena dietro un albero. Un monito, evidentemente, che non dovrebbe passare inosservato a coloro che nell’amore troppo ingenuamente confidano.
La tela trova menzione per la prima volta nella collezione romana dei principi Corsini in un inventario del 1770 dove si parla di “un Ovidio con Putti ed una Venere che dorme, del Pussino, del valore di 40 scudi”.

Al 1660 risale invece Paesaggio con l’Agar e l’Angelo, un olio su tela, conservato a Palazzo Barberini. A caratterizzate questo quadro della maturità è una fredda e grandiosa natura, protagonista del mondo. La figura biblica di Agar è appena visibile, mentre l’Angelo si confonde con una nuvola.


Nicolas Poussin (1594 - 1665), Paesaggio con l’Agar e l’Angelo, 1660 circa, Olio su tela, 100 x 75 cm, Roma, Galleria Nazionale d'Arte Antica

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