Dal 19 al 21 febbraio nelle sale cinematografiche

Tra scoperte, curiosità e aneddoti: il Caravaggio di Sky al cinema

Michelangelo Merisi da Caravaggio, Bacchino malato, 1593-94, Olio su tela. Galleria Borghese, Roma
 

Gianni Pittiglio

02/01/2018

E’ senza alcun dubbio uno dei più noti pittori della storia, eppure fino a pochi decenni fa i dettagli della biografia di Michelangelo Merisi erano assai limitati, e la sua arte considerata decisamente secondaria rispetto a quella dei grandi artisti del Rinascimento.
 
A riabilitarne la figura ha contribuito Roberto Longhi, il grande storico dell'arte che definì Caravaggio «il primo pittore dell’epoca moderna». Longhi aveva dedicato a Merisi la sua tesi di laurea (1911), ne aveva curato una mostra epocale allestita nel 1951 a Palazzo Reale di Milano e all’artista aveva rivolto la grande monografia del 1952.
 
Dagli anni Cinquanta in poi la fama del pittore lombardo è in continua ascesa e coinvolge ogni aspetto del mondo dell'arte.
Oltre a libri, riproduzioni delle opere, anche il cinema e la televisione hanno contribuito ad accrescerne il mito.
Dopo il “Caravaggio” d’autore di Derek Jarman (1986) e uno sceneggiato tv diretto da Angelo Longoni con Alessio Boni nei panni del pittore (“Caravaggio”, 2007), è ora la volta di Caravaggio – L’Anima e il Sangue”, un film prodotto da SKY che sarà distribuito nelle sale dal 19 al 21 febbraio 2018.
Per la realizzazione del lungometraggio, che porta la firma del regista Jesus Garces Lambert ed è sceneggiato da Laura Allievi, la produzione si è avvalsa della consulenza dello storico dell'arte Claudio Strinati. La nuova opera cinematografica punta a evidenziare alcuni aspetti della vita e dell’arte del pittore. Vediamo insieme quali sono.


Marc'Antonio Dal Re, Veduta della chiesa di Santo Stefano Maggiore (o in Brolo) a Milano, 1745

1. Scoperto il certificato di Battesimo: le origini di Caravaggio sono a Milano
Le recenti biografie di Michelangelo Merisi iniziano con una storia diversa: Caravaggio non è nato a Caravaggio!
Da qualche anno tutti i cartellini museali del mondo sono stati corretti: nel febbraio 2007 Vittorio Pirami ha scoperto un documento conservato presso l’Archivio Diocesano di Milano che riportava il battesimo del pittore avvenuto il 30 settembre 1571 nella chiesa di Santo Stefano di Brolo alla presenza del padrino, tale Francesco Sessa, e dei genitori, dai nomi curiosamente “manzoniani”, Fermo Merisi e Lucia degli Oratori.
Nello stesso documento si precisa che il bambino era nato il giorno prima, 29 settembre, festa di San Michele Arcangelo, dettaglio che conferma, naturalmente, la scelta del nome Michelangelo.
Ma allora quel soprannome? Per quello non esistono problemi: resta un fatto che Caravaggio si ritenesse originario della cittadina lombarda. Lì, in effetti, i genitori si erano sposati pochi mesi prima della sua nascita, ma dal 1572 al 1577 risultano a Milano, presso la parrocchia di Santa Maria della Pansarella – purtroppo il registro delle anime che va dal giugno 1567 al 20 ottobre 1571 è andato perduto -, e lì diedero alla luce anche il secondogenito, Giovanni Battista.
Eppure il legame del pittore con Caravaggio era così forte che, quando divenne Cavaliere di Malta, si dichiarò «Michael Angelus... oppido vulgo de Caravaggio in Longobardis natus».


Caravaggio, La Vocazione di San Matteo, 1599-1600, 340 x 322 cm, Chiesa di San Luigi dei Francesi, Roma

2. L’ideazione del fondo scuro che contraddistingue la sua arte
Chiunque veda per la prima volta un dipinto di Caravaggio, non può non notare i caratteristici toni bruni, le zone d’ombra, che contrastano nettamente con gli squarci di luce che sorprendono l’osservatore, spettatore di una pittura che costituisce il perfetto parallelo del letterario «è del poeta il fin la meraviglia» che Giovan Battista Marino teorizzava negli stessi anni e perfetta summa di quel movimento barocco che nel corso del secolo investì tutte le arti.
Come otteneva, però, dal punto di vista tecnico questo effetto “scenico” il pittore lombardo?
Caravaggio, che nelle prime opere dipinge una preparazione chiara, tipica dell’epoca tardo manierista precedente, a partire dalle tele della cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi (1599-160) inizia a fare l’esatto contrario, a colorire di bruno la tela e a dipingere poi “a risparmio” aggiungendo via via le parti degli incarnati e delle luci (si pensi alla straordinaria e tanto celebrata diagonale luminosa che accompagna il gesto di Cristo nella Vocazione di san Matteo). Il procedimento, già in parte introdotto dai fiamminghi e da pittori italiani come Barocci, che però lo utilizzavano per zone limitate dei loro dipinti, con Caravaggio si estese alle intere superfici che, pertanto, rimanevano in gran parte scure, cupe, in una parola “caravaggesche”.


Michelangelo Merisi da CaravaggioMarta e Maria Maddalena, 1598 1599. Olio e tempera su tela, 100 x 134,5 cm. Detroit Institute of Arts © Detroit Institute of Arts Conservation Imaging Lab

3. L'invenzione della camera oscura
Tra i committenti e sostenitori di Caravaggio a Roma vi era il cardinale Francesco del Monte, amante delle arti e delle scienze, scienziato egli stesso, nonché protettore di Galileo Galilei. In questo entourage, secondo alcuni studiosi, su tutti Roberta Lapucci, direttrice del Dipartimento di Restauro dell'Università americana Saci di Firenze, e docente all'Università Statale della stessa città, il pittore avrebbe maturato l’interesse per gli studi ottici, proseguito fuori Roma anche a Napoli e a Siracusa, dove conobbe altri scienziati, tra cui Vincenzo Mirabella.
Caravaggio, quindi, sin dal periodo romano avrebbe fatto suoi i primi esperimenti di proiezione delle immagini, mettendoli al servizio della propria arte. Non va inoltre dimenticato che Giovanni Battista Della Porta, nel suo Magia Naturalis (1584), pochi anni prima aveva spiegato come realizzare ritratti trasferendo l’immagine dell’effigiato sulla tela grazie a lenti e a specchi.
Secondo questa teoria, Caravaggio avrebbe trasformato il suo studio in una grande camera ottica illuminata da un fascio di luce proveniente dall’esterno che, riflessa su specchi concavi e convessi e convogliata in un piccolo foro di una tenda o di un altro diaframma simile, ribaltava l’immagine dei modelli sulla tela, permettendogli di fissare gli elementi principali con pochi tocchi che costituivano la cosiddetta “bozza a biacca”, da cui partire per poi lavorare in maniera più tradizionale.
Chi sostiene l’ipotesi trova indizi in distorsioni e aberrazioni che fanno pensare all’uso degli specchi e, soprattutto, in un documento che riporta la denuncia della padrona di casa che nel 1605 lamentava che il pittore aveva forato il soffitto del suo appartamento.


Michelangelo Merisi Da Caravaggio, Decollazione di San Giovanni Battista, 1608, olio su tela, 361x320 cm, Concattedrale di San Giovanni, La Valletta, Malta
 
4. L'unica firma: La decollazione di san Giovanni Battista
Un anno dopo il suo arrivo a Malta, seconda tappa, dopo Napoli, della lunga fuga da Roma per evitare la condanna capitale dovuta all'omicidio di Ranuccio Tomassoni, Caravaggio dipinse la tela che narra la morte di Giovanni Battista nella concattedrale dedicata al santo a La Valletta.
Era il 1608 e il pittore firmò l'enorme opera (oltre cinque metri di larghezza) inserendo un semplice "F(rà) Michelangelo" nel fiotto di sangue che sgorga dalla testa di Giovanni. Lungo la sua carriera fu l'unico caso in cui appose il suo nome su un'opera, e la motivazione è facilmente spiegabile. Quel “frà”, infatti, è l'ostentata dimostrazione che il dipinto venne realizzato prima del 14 luglio dello stesso anno, quando Caravaggio aveva ottenuto la carica di cavaliere dell'obbedienza Magistrale, primo e unico grado a cui poteva aspirare un artista (gli altri, Grazia e Giustizia, erano appannaggio dei soli nobili), e probabile tentativo di riabilitare la propria immagine.
 
5. Gli autoritratti di Caravaggio
Eppure il pittore, in un certo senso, si firmò in molte altre tele inserendo il proprio volto tra gli astanti. Su questi autoritratti, però, non tutti gli studiosi concordano.
Accade in uno dei primi dipinti romani, il famoso Bacchino malato della Galleria Borghese (1596 ca.), secondo diversi studiosi realizzato usando se stesso come modello riflesso nello specchio, durante la degenza nell'ospedale della Consolazione dopo aver ricevuto un calcio da un cavallo.
Gli stessi lineamenti compaiono nella figura che in secondo piano guarda l'osservatore nel cosiddetto Concerto, dipinto per Francesco Maria del Monte e oggi al Metropolitan Museum di New York (1595), e nel più lontano degli uomini che assistono al terribile Martirio di san Matteo della Cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi (1599-1600).
Caravaggio è stato identificato anche nel generale assiro decapitato nell'altrettanto truculento Giuditta e Oloferne di Palazzo Barberini originariamente dipinto per il banchiere ligure Ottavio Costa (1602) e nell'uomo che regge la lanterna della Cattura di Cristo della National Gallery di Dublino (1602).
Indubbiamente, però, il caso più clamoroso e significativo tra i suoi autoritratti è quello che gli vede “interpretare” il gigante sconfitto nei dipinti raffiguranti David e Golia. Mentre restano forti dubbi sulle versioni del Prado di Madrid e del Kunsthistorisches di Vienna, è ormai acclarata la sua presenza nella tela della Galleria Borghese, inviata a Scipione Borghese nel 1610, come estremo tentativo per sollecitare la Grazia papale che avrebbe permesso al pittore il ritorno a Roma. Non sappiamo con certezza se quel documento sia in effetti stato scritto, ma purtroppo nel frattempo Caravaggio, il 18 luglio 1610, si spense a Porto Ercole nell'attesa che arrivasse.


Michelangelo Merisi da Caravaggio, San Matteo e l'Angelo, 1602, olio su tela, 295x195 cm, Cappella Contarelli, Chiesa di San Luigi dei Francesi, Roma

6. I due San Matteo e l'angelo
Per l'anno santo del 1600, il cardinale Mathieu Cointrel, italianizzato Contarelli, volle far decorare la sua cappella in San Luigi dei Francesi. Commissionò pertanto a Caravaggio tre dipinti con cui celebrare il proprio santo eponimo.
Il pittore realizzò la celeberrima Vocazione di Matteo per la parete sinistra, il Martirio di san Matteo per la destra e l'iconica immagine di San Matteo e l'angelo come pala d'altare. Quest'ultima, però, venne rifiutata dalla congregazione perché mostrava il santo come un popolano, privo di aureola e con le gambe scoperte, dando la sensazione che necessitasse dell'intervento materiale dell'angelo per scrivere il suo Vangelo. L'opera venne acquistata dal potente Vincenzo Giustiniani, che dimorava nel palazzo di fronte alla chiesa, ma poi finì nei Musei di Berlino, dove venne distrutta dai bombardamenti degli alleati alla fine della Seconda guerra mondiale.
La seconda versione, ancora oggi in loco, mostra caratteri molto più tradizionali: Matteo appare come un filosofo antico, che durante la scrittura viene sorpreso dal volo dell'angelo ispiratore, ritratto in alto avvolto in un panneggio ricco di pieghe, mentre compie il gesto dell'enumerazione, come ad elencare una serie di punti al suo interlocutore. L'unico elemento “dissonante” che si concede il pittore lombardo, è lo sgabello in bilico che invade idealmente lo spazio dell'osservatore.

7. Temperamento, processi e i contrasti
È forse questo l’aspetto più discusso di Caravaggio e, senza dubbio, quello su cui si è detto di più. La sua vita burrascosa, che a Roma lo vide frequentare luoghi del popolo come le osterie e utilizzare come modelle comuni prostitute, lo ha trasformato nel pittore maledetto per antonomasia. Tale etichetta anacronistica, che lo mostra un artista bohémien ante litteram, con un paio di secoli di anticipo, non considera più di tanto il contesto in cui tutto questo rappresentava la quotidianità della vita di molti. Basti ricordare come esempio che negli stessi anni anche un pittore meno noto come Agostino Tassi fosse persino mandante di diversi omicidi tanto da finire sotto processo per la violenza su Artemisia Gentileschi.
Di certo Michelangelo Merisi ebbe un temperamento sardonico, irascibile e bellicoso, caratteristiche che in almeno due occasioni deflagrarono...
 
Il primo caso è dell’agosto del 1603, quando Giovanni Baglione querela Caravaggio, Orazio Gentileschi e Onorio Longhi per averlo offeso con dei versi che arrivavano a definirlo «indegno sei et delle pittura vituperio». La contesa finì in tribunale con un processo i cui atti sono ancora conservati nell’Archivio di Stato di Roma. Lo scontro tra i due nasceva dalla sfida sostenuta realizzando ciascuno un dipinto sul tema virgiliano dell’Amor vincit omnia per i Giustiniani. Baglione vinse la collana messa in palio per l’occasione con un dipinto più tradizionale (Roma, Palazzo Barberini), e Caravaggio, che aveva dipinto il magnifico Amor vincitore di Berlino (Gemäldegalerie), che Vincenzo Giustiniani teneva dietro un telo che toglieva solo per i suoi ospiti (a proposito di “maraviglia” teatrale e barocca!), iniziò a schernirlo facendo circolare in città alcune poesie che lo deridevano.
 
Il secondo grande contrasto della vita di Michelangelo Merisi fu la celeberrima rissa scatenatasi durante una partita di pallacorda (antesignana dell'odierno tennis), che lo vide affrontare Ranuccio Tomassoni che ebbe la peggio e rimase ucciso. Era il 28 maggio 1606 e la zona della città teatro dell’avvenimento è quella che oggi prende il nome di Vicolo della Pallacorda, ad un passo da Piazza Firenze. Ancora una volta sul temperamento di Caravaggio interviene un contemporaneo, il pittore e biografo fiammingo Karel Van Mander che scrisse di lui «gira da un gioco di palla all’altro, molto incline a duellare e a far baruffe».
Secondo le fonti, fu Tomassoni a sfidare Caravaggio e a ferirlo per primo, ma poi inciampò e la risposta del pittore gli fu fatale. Con Ranuccio erano il fratello Gian Francesco, caporione di Campo Marzio, e i cognati Ignazio e Federico Iugoli, mentre con Caravaggio il collega Onorio Longhi, Petronio Troppa, capitano di Castello, che rimase ucciso subito dopo, e un quarto uomo non identificato. I contatti che i Tomassoni avevano con i potenti permisero loro di ottenere la condanna del pittore lombardo che da quel momento in poi, per i successivi quattro anni, iniziò la sua peregrinazione che si sarebbe interrotta solo a Porto Ercole con la morte sopraggiunta il 28 luglio del 1610.

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