Dal 14 dicembre al 10 febbraio una grande mostra a Palazzo Abatellis

Capolavori riuniti: la Sicilia celebra Antonello da Messina

Antonello da Messina, Vergine Annunciata, 1475-1476, Tempera e olio su tavola, 34.5 x 45 cm, Galleria Regionale della Sicilia di Palazzo Abatellis, Palermo
 

Francesca Grego

14/12/2018

Palermo - “Figlio di Antonello, pittore non umano”, si firmava Jacobello da Messina in una bella tavola conservata all’Accademia Carrara di Bergamo, e a suo padre Giorgio Vasari dedicò una delle pagine più lusinghiere delle Vite.
Terremoti, naufragi, smembramenti, incurie fatali hanno disperso buona parte dell’eredità di Antonello da Messina, mentre le sue stesse ossa scivolavano via dal cimitero della città sullo Stretto nella furia di un’alluvione. Quanto di lui sopravvisse viaggiò per l’Italia, attraversò la Manica, solcò l’Atlantico per approdare in grandi musei e collezioni private.
 
Ma da oggi fino al prossimo 10 febbraio il frutto del suo pennello è finalmente in bella mostra presso la Galleria Regionale della Sicilia di Palazzo Abatellis, nell’ultimo imperdibile appuntamento di Palermo Capitale Italiana della Cultura 2018. Antonello da Messina. Il ritorno in Sicilia riunisce eccezionalmente circa metà delle opere esistenti del maestro quattrocentesco con la cura di Giovanni Carlo Federico Villa, in una rassegna che dopo la tappa siciliana raggiungerà il Palazzo Reale di Milano con la collaborazione di MondoMostre Skira.
Introdotto dal celebre capolavoro dell’Annunciata, il percorso espositivo evidenzia tutta l’originalità creativa di Antonello, che a una sensibilità psicologica senza precedenti coniugò una mirabile sintesi delle novità del suo tempo: la luce e i dettagli della pittura fiamminga, le ricerche sui volumi e lo spazio di Piero della Francesca, gli ultimi ritrovati provenienti dal Veneto, dalla Provenza e dalla Spagna. Sullo sfondo, quel crogiolo di culture che fu la Sicilia aragonese, sostrato su cui il pittore innestò gli stimoli dei soggiorni a Napoli, in Toscana e nella Venezia di Giovanni Bellini.
 
Davanti agli occhi sfilano capolavori come la Madonna con Bambino e il San Giovanni Evangelista degli Uffizi e l’Annunciazione di Siracusa, sublime a dispetto dei segni del tempo, insieme a preziosi ritrovamenti come la Crocifissione del barone Samuel von Bruckenthal o una piccola tavoletta devozionale con l’Ecce Homo e San Girolamo nel deserto, consumata dai baci del fedele che la racchiuse in un astuccio di cuoio per portarla sempre con sé. Dietro immagini circonfuse di mistero, scorre come un fiume carsico il flusso delle ricerche che, da Giovan Battista Cavalcaselle a Bernard Berenson, Roberto Longhi e Federico Zeri, hanno portato alla ricostruzione del catalogo di Antonello da Messina.
 
E in questo viaggio non può mancare un’eccezionale coppia di ritratti, fiore all’occhiello della produzione del maestro: volti di tre quarti inquadrati dal davanzale di una finestra come nella tradizione fiamminga che, come scrive il curatore Giovanni Carlo Federico Villa, “consegnano allo spettatore un racconto, una storia, un intero trattato sull’umana natura. Fermano l’attimo del respiro, colgono il fremito di un labbro, la certezza di uno sguardo. Il nostro secolo ha adorato i ritratti di Antonello da Messina: la pittura italiana si è riconosciuta tutta in quegli sguardi, ci siamo tutti identificati nella concretezza di un pittore che ha dato forza e carattere (più di Leonardo? Ben più di Leonardo!) ai volti: e ha ritratto la femminilità virtuosa e intensa, la scontrosità e le forme di donne che hanno attraversato i secoli”.
Nel percorso di Palazzo Abatellis spiccano il Ritratto Malaspina dei Musei Civici di Pavia, in cui l’artista trentottenne ha già escogitato le sue personalissime soluzioni, e il celebre Ritratto di ignoto marinaio, che prima di essere riconosciuto dal barone Pirajno di Mandralisca fu lo sportello di un mobile della farmacia di Lipari: un giovane dal sorriso beffardo che dopo aver sconvolto la mente della figlia del farmacista continua a turbare chiunque ne incroci lo sguardo.
E non è un ritratto, sia pure immaginario, anche l’iconica Annunciata? Nei suoi occhi magnetici, nella mano sospesa quasi a fermare le parole dell’Angelo, nell’allusione a un momento quotidiano, eppure enigmatico e assoluto, la pittura del Rinascimento italiano raggiunge uno dei suoi traguardi più significativi.
 
Ma tutto questo non sarebbe stato possibile senza un’altra grande innovazione di Antonello: la pittura a olio, portatrice di luci e sfumature mai viste, che in un falso storico Vasari riconduce addirittura a un incontro con Jan Van Eyck nelle Fiandre. Una storia impossibile, perché il maestro di Bruges morì quando l’artista messinese aveva solo undici anni, e che tuttavia trova una sua verità nel clima multiculturale del Regno d’Aragona e nella posizione della città sullo Stretto al centro delle rotte artistiche e commerciali tra il Mediterraneo e il Nord Europa.
Diversi studiosi ritengono che sia stato proprio Antonello da Messina a introdurre a Venezia la tecnica a olio, di cui tuttavia era molto geloso. A questo proposito si racconta che il grande Giovanni Bellini si sia presentato da lui sotto le mentite spoglie di un ricco patrizio e, posando per un ritratto, gli abbia carpito i segreti della nuova arte.

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