Adorazione dei pastori

Lorenzo Lotto

 
DESCRIZIONE:
E’ il crepuscolo, nella capanna una luce tiepida riscalda i volti, e con loro le emozioni che traspirano dai personaggi dell’Adorazione dei pastori, il celebre dipinto di Lorenzo Lotto dai particolari sfuggenti e misteriosi.
Qual era la data di esecuzione? C’era forse una firma autografa del Lotto, nascosta nella tela? La soluzione è in Pinacoteca Tosio Martinengo, cui il dipinto appartiene, ed è visibile nella mostra Da Raffaello a Ceruti Capolavori della Pinacoteca (in esposizione fino al 4 settembre).
A rendere ancora più stringenti gli interrogativi, infatti, era la bellezza del dipinto, che raffigura la Vergine e San Giuseppe, insieme a due pastori e ad angeli nell’atto di adorare il Bambino.
Poesia del vero, in cui gli sguardi convergenti e la fluidità dei gesti trasformano la classica immagine di genere devozionale in una scena avvolgente e domestica, con la Madonna inginocchiata morbidamente nella stessa culla di Gesù Bambino, in un silenzioso dialogo degli affetti che scorre intenso fra i personaggi in raccoglimento. Tanto che il celebre critico Roberto Longhi, negli anni ’20, ebbe a inserire la tela fra i precedenti caravaggeschi più emblematici.
Anche i pastori, in cui sono personificati i committenti dell’opera, forse i veneziani fratelli Gussoni, sono coinvolti in prima persona nell’episodio sacro, pur non rinunciando, sotto i panni ruvidi, al gusto dell’epoca, che fa capolino fra farsetti di velluto e candide camicie.
Molte le ipotesi sull’origine del dipinto, e le indicazioni secondo cui l’Adorazione doveva essere sicuramente firmata. Sull’onda di tale suggestione, non restava altro che verificare: di recente a Brescia, grazie ad una ricerca dei Musei Civici, la tela è stata spogliata della cornice, sottoposta a misurazioni e battuta palmo a palmo, per scoprire quella sigla, “L. Lotus” e soprattutto la data, “1530” che per secoli, non vista, si era offerta agli spettatori in ammirazione, e che oggi apre nuove prospettive di indagine sull’origine del dipinto.
La soluzione era nascosta nel luogo più semplice ma anche più arduo da decifrare, le pieghe chiaroscure della cesta di vimini che accoglie il Bambino, su cui sono affiorate a uno sguardo attento la data e la firma del pittore. Un risultato tanto più importante perché in grado di rigirare il discorso critico sulla produzione del Lotto, spostando l’origine della tela non più al periodo marchigiano, come si pensava in precedenza, ma posticipandola al secondo soggiorno veneziano dell’artista, come rivela lo stesso linguaggio compositivo del dipinto, che ha già raggiunto il pieno della maturità espressiva.
Considerando, inoltre, che del Lotto non sono molte le tele firmate e datate, l’opera della Pinacoteca rappresenta un esemplare raro, che la dice lunga sulla perizia di Paolo Tosio collezionista, affezionato proprietario di una raccolta da cui nascerà, nel 1851, la prima galleria civica, che darà poi origine all’attuale Pinacoteca.
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