Il nutrimento universale dell'arte. La collezione Doria Pamphilj e il cibo

Il nutrimento universale dell’arte. La collezione Doria Pamphilj e il cibo

 

Dal 25 Settembre 2015 al 08 Dicembre 2015

Roma

Luogo: Galleria Doria Pamphilj

Indirizzo: via del Corso 305

Orari: tutti i giorni dalle 9.00 alle 19.00

Curatori: Alessandra Mercantini

Enti promotori:

  • Con il patrocinio di EXPO Milano 2015

Costo del biglietto: Intero: € 12,00 Ridotto: € 8,00 giovani dai 6 ai 26 anni, membri della Comunità Europea oltre 65 anni, portatori di handicap non deambulanti, ricercatori Beni Culturali tesserati, titolari di apposite convenzioni

Telefono per informazioni: +39 06 / 6797323

E-Mail info: info@dopart.it

Sito ufficiale: http://www.doriapamphilj.it/roma/it



Delicate allegorie dei sensi, buie dispense e indaffarate cucine, animate taverne, tavole riccamente imbandite per banchetti sacri e profani, pane croccante, frutta e verdura dai vividi colori, pesci e crostacei lucenti di mare, selvaggina piumata, carni sanguinolente, salumi e odorosi formaggi, dolci preziosi come gioielli, vini e liquori vellutati colmano le sale della Galleria Doria Pamphilj loro dedicate e saturano di sensazioni i visitatori.
L’esposizione Il nutrimento universale dell’arte. La collezione Doria Pamphilj e il cibo, curata da Alessandra Mercantini, si inserisce nel piano delle mostre temporanee che la Galleria Doria Pamphilj da alcuni anni organizza ed ha ricevuto il patrocinio dell’Esposizione Universale 2015 in corso a Milano e dedicata alla nutrizione.
Le opere in mostra, realizzate nell’arco temporale compreso tra la fine del XVI e la prima metà del XVIII secolo, fanno tutte parte della quadreria Doria Pamphilj, una delle collezioni più importanti del mondo, e includono capolavori dei Bassano e dei Lavagna, di Pasquale Chiesa, Ippolito Scarsella, il “Cigoli” e Niccolò Stanchi, nonché notevoli prove dei fiamminghi Jan van Kessel, Johannes Hermans, David Ryckaert e David Teniers.
Alcune tra le tele proposte, abitualmente collocate negli appartamenti privati dei principi Donna Gesine e Don Jonathan Doria Pamphilj e concesse eccezionalmente in questa occasione, vengono offerte alla visione del pubblico per la prima volta.  Iniziamo il nostro viaggio con le delicate allegorie dei sensi del Gusto e dell’Olfatto, i due raffinati ovali en pendant (Fc223 e Fc224) del viterbese “Raffaellino”, e proseguiamo con le illustrazioni dei cibi nelle nature morte in voga nel XVII secolo e che furono particolarmente amate dai principi Pamphilj, abili mecenati e sagaci collezionisti, dal gusto spesso precursore di mode artistiche, che si circondarono letteralmente di tali soggetti. Tra questi, basti citare i due incantevoli oli su rame di Jan van Kessel il Vecchio (Fc243 e Fc253) e la tela Natura morta con trionfo di fiori e vasellame con un giovane in atto di rubare canditi (Fc622) di Monsù Aurora, pittore fiammingo che lavorò a lungo per il principe Camillo Pamphilj e per il figlio cardinale Benedetto e che a Roma fu il precursore della moda del lusso nella natura morta.    La raffigurazione realistica degli alimenti nella pittura dell’epoca romana si perderà nel Medioevo, periodo nel quale la verisimiglianza dei soggetti sarà sacrificata a favore del significato allegorico del cibo e le sontuose portate di un banchetto, simbolo di convivialità e socializzazione, si contrapporranno alla vita spirituale. Nel XVI secolo i quadri di genere, nei quali l’alimento diventerà metafora sociale, renderanno espliciti i rapporti tra le diverse classi sociali, mentre nel secolo successivo si diffonderà con straordinaria velocità dal Nord Europa lo Stilleben, la natura morta, nel quale gli artisti, rappresentando elementi statici come libri, strumenti musicali, fiori e cibo, spesso accompagnati da gustosi dettagli di vita quotidiana, celebrano il loro pubblico di ricchi mercanti e professionisti borghesi e attestano il processo di secolarizzazione dell’arte. Gli alimenti, disposti in maniera più o meno casuale su una tovaglia o distribuiti in modo strategico sulla scena, assumono sempre più il ruolo di protagonisti dell’opera. Frutta, verdura, carni e pesci vengono rappresentati nei minimi particolari, nella loro naturalezza e nella loro imperfezione, ad indicare il ciclo della natura e l’andamento della storia dell’uomo, illustrando periodi di abbondanza e carestia in una sorta di documentazione fotografica. 
Alle scene di gusto popolare, in voga nel XVII secolo, riportano i convitti campestri dei contemporanei David Teniers (Fc350) e David Ryckaert (Fc242), i venditori di diversi alimenti ritratti nell’atto di esibire la propria merce - ortaggi, meloni, pesci e ciambelle - ai possibili acquirenti e la raffigurazione delle taverne, luogo di socializzazione e di circolazione delle idee che venne elevato, durante il Cinquecento e soprattutto ad opera di pittori fiamminghi, a tema degno di illustrazione pittorica. 
Chiudono l’esposizione le diverse scene conviviali sacre tratte dalle parabole del Vangelo di Luca, il più prolifico di suggestioni per gli artisti di tutti i tempi. L’episodio della cena pasquale di Cristo con gli apostoli è uno dei palinsesti sui quali i pittori si sono da sempre messi alla prova: l’illustrazione de L’Ultima cena (Fc249) del ferrarese Ippolito Scarsella, fedele all’iconografia biblica, inquadra la scena in una architettura classica con traguardo paesaggistico e inserisce il particolare giocoso della lotta tra cane e gatto per aggiudicarsi il piccolo pezzo di pane caduto dalla tavola. Un secolo dopo Sebastiano Conca (Fc486), che illustra la confusione degli apostoli dopo la rivelazione dell’imminente tradimento, aggiunge stravaganti particolarità, quali la presenza della Maddalena seduta sul pavimento in primo piano, le due caraffe e il gatto che sembra in caccia. La bella tela di Ludovico Cardi, datata 1596 e dedicata alla Cena in casa di Simone il fariseo (Fc246), mostra il momento della lavanda dei piedi di Gesù da parte di una nota ‘peccatrice’ e rimarca l’attenzione del Cristo verso gli ultimi e il suo silenzioso rimprovero verso l’ipocrisia della superbia incarnata dal fariseo. Molto amato dagli artisti per i suoi chiari riferimenti alla vita dopo la morte ed al giudizio divino è poi il Banchetto del ricco Epulone, che pasteggia ogni giorno circondato dai propri servitori, mentre il mendicante Lazzaro chiede invano l’elemosina accanto alla sua tavola. Lazzaro è vicino, ma il ricco non lo vede, preso com’è da se stesso e dalla propria vita, come se dovesse durare in eterno. Entrambe le tele presentate, una di Leandro da Ponte (Fc490) e l’altra di Giacomo Legi o Liegi (Fc193), sono notevoli esempi di quelle ‘nature morte invertite’, nelle quali il tema sacro, cui è riservato un angolo dell’opera, si contrappone al soggetto profano e si fa quasi semplice pretesto per l’illustrazione dell’abbondanza dei cibi, delle ricche dispense e delle affaccendate e buie cucine tipiche del Cinque-Seicento.  L’episodio della Cena in Emmaus, nel quale Gesù si manifesta ai due sconfitti e delusi viandanti, dopo i tragici avvenimenti della Pasqua, nel gesto inconfondibile dello spezzare e condividere il pane, permettendo alla vita di passare in un tratto dalla sofferenza alla speranza, dalla incomprensione alla comprensione, e dimostrando che l’amore lenisce anche gli strazi più terribili, divenne presto uno dei temi preferiti dai pittori. L’olandese Stomer, fortemente influenzato dallo stile pittorico di Caravaggio, rappresentò il soggetto (Fc86) con aderenza alla narrazione evangelica, mentre la fortunata bottega dei Bassano replicò più volte l’opera per la propria committenza, che, come detto, molto apprezzava l’illustrazione del soggetto sacro e della scena di genere elevati a pari dignità. Infine, il tema della Parabola del figlio prodigo, nella quale la preoccupazione di Dio si manifesta verso il peccatore pentito a preferenza di chi è rigorosamente giusto, viene sviluppato nella nostra bella tela (Fc103) da Jacopo e Francesco Bassano, che ancora una volta affiancano scene domestiche, qui rappresentate dalla minuziosa preparazione di un sontuoso banchetto - paradigmatico della clientela di mercanti e ricchi borghesi che si affacciava al prolifico mercato artistico nordeuropeo - alla raffigurazione religiosa. 

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