Da Canova a Raffaello, i capolavori che non piacciono ai social

Se Facebook censura Gesù Bambino. Quattro opere proibite dall'algoritmo nemico dell'arte

Immagine non conforme, fb 2020, Oggetto: Madonna d'Alba, Raffaello Sanzio, 1510 circa, Dipinto a olio su tavola trasportata su tela, National Gallery of Art, Washington D.C.
 

Francesca Grego

30/10/2020

Era il 1564 quando papa Pio IV chiese a Daniele da Volterra di coprire le nudità michelangiolesche del Giudizio Universale. Suo malgrado, l’allievo prediletto del Buonarroti passò alla storia con il soprannome di Braghettone. Roba da Controriforma? Così pensavamo, poi sono arrivati i social network. Sotto la falce della censura di Facebook sono caduti gli affreschi di Pompei e la Venere preistorica di Willendorf, le Donne alla toilette di Picasso e la Sirenetta di Copenaghen. Perché mai?

Come abbiamo imparato in questi anni, a decidere il destino di un’immagine sui social non è un essere umano, ma un algoritmo di intelligenza artificiale addestrato attraverso l’esposizione a milioni di esempi. Chi si occupa di educare le reti neurali? Con quali criteri e competenze? Dov’è il confine tra il bello, il vero e l’osceno? In un capezzolo? In un pene? L’esperienza ci dice che tutto dipende dal contesto e che le regole variano in base alle epoche e alle culture. Ma, almeno al momento, è difficile pensare a un algoritmo esperto in storia delle immagini, capace di distinguere la pornografia da un’opera d’arte o da una tavola anatomica. Capita così che l’Angelo incarnato di Leonardo da Vinci e la piccola Kim Phuc che corre, icona della guerra in Vietnam, subiscano la stessa sorte dei seni di Valentina Nappi. 
Nell’ultimo decennio sono stati in molti a sollevare la questione e Facebook ha annunciato più volte di voler cambiare le regole del gioco. Ma su una cosa il colosso di Mark Zuckerberg si mostra irremovibile: niente immagini “osé” nelle campagne promozionali. A fare le spese di un meccanismo di riconoscimento per certi versi rudimentale sono quindi gli operatori culturali, musei in primis, e il loro pubblico. Eccone alcuni esempi. Il primo risale a pochi giorni fa. 


Raffaello Sanzio, Madonna d'Alba, 1510 circa, Dipinto a olio su tavola trasportata su tela, National Gallery of Art, Washington D.C.

La Madonna d’Alba di Raffaello Sanzio
Se c’è un nudo al di sopra di ogni sospetto è quello di Gesù Bambino, icona di innocenza immortalata da generazioni di artisti. Ma il 21 ottobre del 2020 la notizia non era ancora giunta a Menlo Park. Il delicatissimo dipinto della Madonna d’Alba conservato alla National Gallery of Art di Washington e scelto per rappresentare il docufilm Raffaello alle Scuderie del Quirinale è stato bollato come “Immagine non conforme” dalla normativa Contenuti per adulti di Facebook, in quanto “raffigurante nudità o porzioni di pelle eccessive”. Per diffonderla in rete è stato necessario tagliarla nella parte inferiore. 
 

Antonio Canova, Le Tre Grazie, 1812-1816, Marmo, 103 x 64 x 182 cm | Foto: © Leonard Kheifets, San Pietroburgo, Museo Statale Ermitage, 2019

Le Tre Grazie di Antonio Canova
Pochi come Canova hanno saputo trasformare il marmo in carne e la carne in un ideale di pura bellezza. Amore e Psiche, le Tre Grazie, Paolina Borghese come Venere vincitrice hanno infiammato l’anima e il corpo di chi ha avuto la fortuna di osservarle da vicino, ma c’è anche chi trova fredda la loro perfezione. Questioni di lana caprina per i sistemi di riconoscimento di Facebook e Instagram, che nel settembre 2019 hanno preso di mira le opere lanciate sul web dalla Gypsotheca di Possagno. “Algoritmo capra, non distingue l’arte dal porno”, ha tuonato il presidente della Fondazione Canova Vittorio Sgarbi annunciando di adire le vie legali. 


Pieter Paul Rubens, Innalzamento della Croce, 1610, Olio su tela, 642 x 341 cm, Anversa, Cattedrale di Nostra Signora

Il Trittico dell’Innalzamento della Croce di Pieter Paul Rubens
La sensualità, lo sappiamo, è tra le virtù del divino Rubens. Ma qui non ci sono bellezze ammiccanti. La scena è quella drammatica della Crocifissione, con il Cristo issato sul legno da nerboruti aguzzini, il volto cereo della Vergine, una vecchia sgomenta e un bimbo paffuto che per consolarsi stringe il seno della madre. Sarà stato questo il peccato del Maestro barocco? Forse sì. Nel 2018 il capolavoro della Cattedrale di Anversa è stato oscurato dal famigerato algoritmo insieme ad altre opere postate su Facebook da VisitFlanders, l’ente del turismo fiammingo. La risposta è una lezione di ironia: in un video diventato virale, il servizio d’ordine della Rubenshuis di Anversa invita i visitatori iscritti al social network a lasciare immediatamente le sale per proteggersi da glutei abbondanti e scollature pericolose.  


Auguste Rodin, Il Bacio, 1888-1889, Marmo, Parigi, Musée Rodin | Public Domain via Wikimedia Commons

Il Bacio di Auguste Rodin
“Mostra eccessivamente il corpo e contiene allusioni di natura sessuale”, questa la spiegazione fornita dalla società di Zuckerberg al curatore Marco Goldin nel 2017, quando la scure della censura si è abbattuta sul capolavoro scelto per rappresentare l’esposizione allestita a Treviso per i 100 anni di Rodin. Tra le sculture più amate e conosciute di sempre, il Bacio è ispirato alla storia di Paolo e Francesca, gli sfortunati amanti dell’Inferno dantesco. A lieto fine, invece, il contenzioso con Facebook: dopo la denuncia di Goldin, l’opera è stata riabilitata grazie alla procedura nota come double check, ovvero la verifica manuale da parte di una persona incaricata dal social network.   

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