Alla Royal Academy of Arts fino al 16 ottobre 2025
L'ossessione di Anselm Kiefer per van Gogh
 
										
										 
										
										
																		
																									Anselm Kiefer, Nevermore, 2014 - Emulsion, oil, acrylic, shellac, gold leaf and sediment of electrolysis on canvas. 330 x 570 cm. Eschaton Kunststiftung. Photo: Charles Duprat. © Anselm Kiefer | courtesy Royal Academy of Arts, London
															
							Piero Muscarà
09/08/2025
							Mondo -  Sembra un gioco facile quello scelto da Anselm Kiefer e proposto in questi giorni a Londra. Per l'ottantenne pittore tedesco mettersi a confronto con il genio di Vincent van Gogh potrebbe sembrare una scelta ideale per "storicizzarsi", mettersi sullo stesso piano di uno dei più grandi artisti della storia dell'arte mondiale.
Ma a guardarla con occhi meno cininci questa esposizione messa in scena alla Royal Academy of Arts sembra la vera testimonianza di una autentica ossessione che ha accompagnato Kiefer per gran parte della sua vita da adulto.
Alla Royal Academy of Arts, fino al 26 ottobre, Kiefer / Van Gogh non è solo un accostamento di opere, ma la restituzione di un dialogo interiore che dura da quasi sessant’anni. Nel 1963, diciottenne, Kiefer ottiene una borsa di studio e parte per un viaggio sulle tracce di Van Gogh. Dalla natia Germania arriva nei Paesi Bassi, poi in Belgio, a Parigi, fino alla luce abbacinante di Arles. Disegna, osserva, assimila. L’impatto è definitivo: la struttura razionale dei paesaggi, la composizione limpida, il rapporto fisico con la materia pittorica diventano per lui un riferimento permanente, una matrice da cui sviluppare un linguaggio personale capace di intrecciare storia, letteratura, mito e scienza.
La mostra parte da questa esperienza fondativa e mette in relazione dipinti e disegni di Van Gogh, provenienti dal Van Gogh Museum di Amsterdam, con tele, sculture e opere su carta di Kiefer, alcune mai viste prima. Accanto a capolavori come Snow-Covered Field with a Harrow (after Millet) (1890) o Field of Irises near Arles (1888), che condensano la forza visionaria e la tensione cromatica del maestro olandese, compaiono lavori monumentali di Kiefer come The Crows (2019) e Nevermore (2014), in cui i campi di grano e i corvi diventano scenari di memoria storica, solcati da materia densa, paglia, argilla e foglia d’oro.
Il confronto evidenzia un’altra differenza decisiva: Van Gogh lavora su una scala che è quella della pittura da cavalletto, ma la potenza della sua visione ha reso le sue tele icone assolute della storia dell’arte, immagini che appartengono all’immaginario collettivo. Kiefer, misurandosi con un genio così ingombrante, sente la necessità di rispondere con un linguaggio di pari intensità: il formato ciclopico delle sue opere non è un vezzo, ma una scelta inevitabile. Le dimensioni monumentali diventano la sua maniera di occupare lo stesso spazio simbolico, di affrontare la memoria di Van Gogh senza esserne schiacciato.
Al tempo stesso la materia, la stratificazione con cui Kiefer sembra rievocare Van Gogh, offre una testimonianza di un tormento interiore percepito, e se non vissuto, almeno testimoniato nell'alternarsi di luci (oro, argento) e ombre nere che si stagliano profonde nella loro indeterminazione e nelle forme che di volta in volta assumono, facendosi corvi, facendosi oscure proiezioni di fiori che mai sono stati tali. Resta la luce a soverchiare un'oscurità che invece predomina marchianamente in Kiefer e dove è totalmente assente la dimensione cromatica - descrittiva - che invece emerge in van Gogh. Ombre e luci di un'Ade lontana, tormentata, dimenticata nella nebbia della mente, in un altrove temporale che non è più. Ciclopica appunto perché inevitabilmente monumentale.
Questa riflessione trova un ideale completamento poco distante dalla Royal Academy of Arts, alla White Cube Mason’s Yard, dove fino al 16 agosto un’altra personale di Kiefer prosegue il discorso in chiave ancora più evidente, pronta ad arredare (lo diciamo senza critica) i salotti della belle epoque dei nostri giorni. Opere quasi astratte che ben si sposeranno con le limpide e luminose architetture delle case dei super-ricchi a cui giustamente l'associazione con van Gogh farà comodo per altra ragione. Direi meramente rievocativa e facilmente comunicabile anche in assenza di molte altre informazioni. Chi non conosce del resto van Gogh ? Qui i motivi van goghiani riaffiorano filtrati da toni smorzati, superfici bruciate, foglie d’oro che si ossidano nel tempo. Due mostre che, viste insieme, raccontano come il confronto con un maestro assoluto possa essere non un’imitazione, ma un atto di trasformazione: l’assimilazione di un’eredità artistica per proiettarla, mutata, nel presente.
						
					Ma a guardarla con occhi meno cininci questa esposizione messa in scena alla Royal Academy of Arts sembra la vera testimonianza di una autentica ossessione che ha accompagnato Kiefer per gran parte della sua vita da adulto.
Alla Royal Academy of Arts, fino al 26 ottobre, Kiefer / Van Gogh non è solo un accostamento di opere, ma la restituzione di un dialogo interiore che dura da quasi sessant’anni. Nel 1963, diciottenne, Kiefer ottiene una borsa di studio e parte per un viaggio sulle tracce di Van Gogh. Dalla natia Germania arriva nei Paesi Bassi, poi in Belgio, a Parigi, fino alla luce abbacinante di Arles. Disegna, osserva, assimila. L’impatto è definitivo: la struttura razionale dei paesaggi, la composizione limpida, il rapporto fisico con la materia pittorica diventano per lui un riferimento permanente, una matrice da cui sviluppare un linguaggio personale capace di intrecciare storia, letteratura, mito e scienza.
La mostra parte da questa esperienza fondativa e mette in relazione dipinti e disegni di Van Gogh, provenienti dal Van Gogh Museum di Amsterdam, con tele, sculture e opere su carta di Kiefer, alcune mai viste prima. Accanto a capolavori come Snow-Covered Field with a Harrow (after Millet) (1890) o Field of Irises near Arles (1888), che condensano la forza visionaria e la tensione cromatica del maestro olandese, compaiono lavori monumentali di Kiefer come The Crows (2019) e Nevermore (2014), in cui i campi di grano e i corvi diventano scenari di memoria storica, solcati da materia densa, paglia, argilla e foglia d’oro.
Il confronto evidenzia un’altra differenza decisiva: Van Gogh lavora su una scala che è quella della pittura da cavalletto, ma la potenza della sua visione ha reso le sue tele icone assolute della storia dell’arte, immagini che appartengono all’immaginario collettivo. Kiefer, misurandosi con un genio così ingombrante, sente la necessità di rispondere con un linguaggio di pari intensità: il formato ciclopico delle sue opere non è un vezzo, ma una scelta inevitabile. Le dimensioni monumentali diventano la sua maniera di occupare lo stesso spazio simbolico, di affrontare la memoria di Van Gogh senza esserne schiacciato.
Al tempo stesso la materia, la stratificazione con cui Kiefer sembra rievocare Van Gogh, offre una testimonianza di un tormento interiore percepito, e se non vissuto, almeno testimoniato nell'alternarsi di luci (oro, argento) e ombre nere che si stagliano profonde nella loro indeterminazione e nelle forme che di volta in volta assumono, facendosi corvi, facendosi oscure proiezioni di fiori che mai sono stati tali. Resta la luce a soverchiare un'oscurità che invece predomina marchianamente in Kiefer e dove è totalmente assente la dimensione cromatica - descrittiva - che invece emerge in van Gogh. Ombre e luci di un'Ade lontana, tormentata, dimenticata nella nebbia della mente, in un altrove temporale che non è più. Ciclopica appunto perché inevitabilmente monumentale.
Questa riflessione trova un ideale completamento poco distante dalla Royal Academy of Arts, alla White Cube Mason’s Yard, dove fino al 16 agosto un’altra personale di Kiefer prosegue il discorso in chiave ancora più evidente, pronta ad arredare (lo diciamo senza critica) i salotti della belle epoque dei nostri giorni. Opere quasi astratte che ben si sposeranno con le limpide e luminose architetture delle case dei super-ricchi a cui giustamente l'associazione con van Gogh farà comodo per altra ragione. Direi meramente rievocativa e facilmente comunicabile anche in assenza di molte altre informazioni. Chi non conosce del resto van Gogh ? Qui i motivi van goghiani riaffiorano filtrati da toni smorzati, superfici bruciate, foglie d’oro che si ossidano nel tempo. Due mostre che, viste insieme, raccontano come il confronto con un maestro assoluto possa essere non un’imitazione, ma un atto di trasformazione: l’assimilazione di un’eredità artistica per proiettarla, mutata, nel presente.
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