Assarabas. Il caso come tecnica dell'arte
Assarabas. Il caso come tecnica dell'arte, Museo Immaginario, Domodossola
Dal 18 March 2014 al 31 May 2014
Domodossola | Verbano-Cusio-Ossola
Luogo: Museo Immaginario
Indirizzo: via Mellerio 2
Orari: 11-13
Curatori: Alicia Sander
Telefono per informazioni: +39 339 3294909
E-Mail info: museoimmaginario@hotmail.it
Sito ufficiale: http://museoimmaginario.blogspot.it/
Non ci speravamo più. Quando l’arte contemporanea sembra avere esaurito la sua energia – i cocktail party sono le più avanzate teorie estetiche e lo scandalo di cartapesta la prassi quotidiana per riconoscere il valore, vacuo, di un’opera – giunge una nuova rivoluzione. Anzi, una evoluzione. Tellurica, silenziosamente deflagrante.
Per la prima volta in Italia arriva il gruppo dei “Nazirei”, singoli artisti – da Alex Barlof a Yvonne Emert, da Rebecca a Magdalena Tanneg – che in austera, australe autonomia e solitudine hanno deciso di incidere un’opera comune. Un incendio. Un incedere nell’arte consci dell’“ora o mai più”, orientati verso una radicalità da assedio, da fine dei tempi. Gli artisti, provenienti da diverse parti d’Europa e del pianeta, portano questo lavoro «in ogni spazio» che dia loro ricovero. Alla parola “mostra” o “rassegna” preferiscono quella meno rassicurante di “rifugio”.
A tutti gli effetti, vivono in esilio dai meccanismi dell’arte odierna e si rifiutano di “fare gruppo”, costituendo un sistema alternativo di relazioni, realizzando in proprio la stessa società che criticano con furia artistica incomparabile. Non è esatta dunque la metafora del monastero: questi artisti sono degli eremiti, piuttosto. Che anelano, tuttavia, a un medesimo monastero. L’assenza di approdo, di tetto, autentica in qualche modo la loro opera»: con queste parole Alicia Sander ha descritto il progetto di Assarabas.
La storica dell’arte, tra l’altro, tenta di dare ragionevolezza critica all’opera dei “Nazirei” con un primo studio analitico, Il caso come tecnica dell’arte, da cui si diparte il catalogo che assembla i lavori. Di fronte ai quali, spiazzanti e commoventi, afferma la critica, è come se intuissimo «brandelli di ego che scompaiono in un baluginio. Come se partecipassimo di una spogliazione, di un sacrificio». Così, ogni oggetto della nostra esistenza – sedie e tazze, chiodi, tavoli, armadi – destituito della propria “oggettualità”, diventa atto sacro, versetto cosmico, altare muto di olocausti. Nel contesto attuale dell’arte, quella dei “Nazirei” non si configura come «una via nuova» bensì come «la sola via praticabile».
Artisti:
Mary Warburg, Aby Becker, Magdalena Tanneg, Ly Oller, Sid Conil, Marta Evangheli, Beatrix Gabet, Bailie, Emy Emert, Barlof, Jen Tsugounaru, Rebecca, Blanca Ferrater
Per la prima volta in Italia arriva il gruppo dei “Nazirei”, singoli artisti – da Alex Barlof a Yvonne Emert, da Rebecca a Magdalena Tanneg – che in austera, australe autonomia e solitudine hanno deciso di incidere un’opera comune. Un incendio. Un incedere nell’arte consci dell’“ora o mai più”, orientati verso una radicalità da assedio, da fine dei tempi. Gli artisti, provenienti da diverse parti d’Europa e del pianeta, portano questo lavoro «in ogni spazio» che dia loro ricovero. Alla parola “mostra” o “rassegna” preferiscono quella meno rassicurante di “rifugio”.
A tutti gli effetti, vivono in esilio dai meccanismi dell’arte odierna e si rifiutano di “fare gruppo”, costituendo un sistema alternativo di relazioni, realizzando in proprio la stessa società che criticano con furia artistica incomparabile. Non è esatta dunque la metafora del monastero: questi artisti sono degli eremiti, piuttosto. Che anelano, tuttavia, a un medesimo monastero. L’assenza di approdo, di tetto, autentica in qualche modo la loro opera»: con queste parole Alicia Sander ha descritto il progetto di Assarabas.
La storica dell’arte, tra l’altro, tenta di dare ragionevolezza critica all’opera dei “Nazirei” con un primo studio analitico, Il caso come tecnica dell’arte, da cui si diparte il catalogo che assembla i lavori. Di fronte ai quali, spiazzanti e commoventi, afferma la critica, è come se intuissimo «brandelli di ego che scompaiono in un baluginio. Come se partecipassimo di una spogliazione, di un sacrificio». Così, ogni oggetto della nostra esistenza – sedie e tazze, chiodi, tavoli, armadi – destituito della propria “oggettualità”, diventa atto sacro, versetto cosmico, altare muto di olocausti. Nel contesto attuale dell’arte, quella dei “Nazirei” non si configura come «una via nuova» bensì come «la sola via praticabile».
Artisti:
Mary Warburg, Aby Becker, Magdalena Tanneg, Ly Oller, Sid Conil, Marta Evangheli, Beatrix Gabet, Bailie, Emy Emert, Barlof, Jen Tsugounaru, Rebecca, Blanca Ferrater
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museo immaginario
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mary warburg
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aby becker
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magdalena tanneg
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sid conil
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