Splendori del Rinascimento Veneziano. Andrea Schiavone tra Tiziano, Tintoretto e Parmigianino

© Crown copyright UK Government Art Collection | Andrea Meldolla, detto Schiavone “Vergine e Bambino, San Giovannino e Santi Zaccaria, Elisabetta, Giuseppe, Caterina e una santa” Olio su tela, cm 155 x 129, Lent from the Government Art Collection

 

Dal 28 Novembre 2015 al 10 Aprile 2016

Venezia

Luogo: Museo Correr

Indirizzo: piazza San Marco

Orari: tutti i giorni 10-17

Curatori: Enrico Dal Pozzolo, Lionello Puppi

Costo del biglietto: intero € 12, ridotto € 10, scuole € 5. Gratuito portatori di handicap con accompagnatore; guide autorizzate dalla Provincia di Venezia; interpreti turistici che accompagnino gruppi; accompagnatori (max.2) di gruppi di ragazzi o studenti; accompagnatori (max. 1) di gruppi di adulti; Partner ordinari MUVE; possessori di The Cultivist Card (più tre accompagnatori)

Telefono per informazioni: +39 041 2405211

E-Mail info: info@fmcvenezia.it

Sito ufficiale: http://www.correr.visitmuve.it


Nello straordinario scenario della pittura rinascimentale veneziana, in quel concerto polifonico che vedeva eccezionali personalità primeggiare in laguna, e da qui in Europa, la figura e il “suono” di Andrea Meldola detto Schiavone (Zara, 1510 c. – Venezia, 1563) s’imposero fin da subito come novità dirompenti, scardinanti e in certo modo enigmatiche.
Un linguaggio pittorico il suo assolutamente nuovo e spregiudicato, tanto che Schiavone, già pochi anni dopo l’arrivo a Venezia (avvenuto forse intorno al 1535), spaccò l’opinione pubblica e divise la critica: chi come l‘Aretino lo stimava e gli era amico, chi come il Pino non nascondeva il suo disprezzo.
Un artista dunque “fuori dal coro”, affascinante e moderno, sul quale si fa finalmente il punto dopo decenni di studi e ricerche, con la mostra in programma al Museo Correr a Venezia, dal 28 novembre 2015 al 10 aprile 2016, promossa dalla Fondazione Musei Civici di Venezia in collaborazione con 24 ORE Cultura e curata da Enrico Maria Dal Pozzolo e Lionello Puppi: la prima grande monografica dedicata all’artista dalmata e la prima reale occasione per il pubblico di scoprire il ruolo centrale che Schiavone ebbe nella pittura del secolo d’oro della Serenissima.
Sarà sì una mostra di ricerca, accompagnata da un catalogo (24 ORE Cultura) che diventerà un punto di riferimento imprescindibile negli studi sul Cinquecento italiano, ma soprattutto un’esposizione spettacolare, per numero e qualità delle opere esposte (oltre 140 tra dipinti, disegni e stampe, più un ricco nucleo di libri e documenti storici) spesso dalle prestigiosissime provenienze.
Per la prima volta sono riuniti oltre 80 lavori di Andrea Meldola – dipinti, disegni, incisioni – la maggior parte dei quali mai esposti in una mostra e prestati, tra l’altro, dalla Royal Collection di Elisabetta II, dal Kunsthistoriches Museum e dall’Albertina di Vienna, dal Metropolitan Museum of Art di New York, dall’Accademia Croata di Scienze e Arti di Zagabria, dalla Gemälde Galerie di Dresda, dal Musée du Louvre di Parigi e dal British Museum di Londra; per la prima volta, oltre ad alcuni inediti, si potranno vedere insieme i capisaldi dell’opera pittorica di Schiavone e con essi importanti dipinti di confronto dei maggiori artisti del tempo, punto di riferimento per il dalmata e con cui egli ebbe contatti o rapporti di “dare” e “avere”.
Capolavori del suo maestro ideale Parmigianino – la grande “Madonna di San Zaccaria” degli Uffizi – del suo compagno di scorribande giovanili, Jacopo Tintoretto, di Tiziano – con la “Madonna Aldobrandini” dalla National Gallery di Londra – e ancora Vasari, Salviati, Bordon, Bassano, Polidoro da Lanciano, Lambert Sustris: tutte presenze importanti per Schiavone e per lo straordinario concerto dell’arte veneziana nell’età del Manierismo. 
A ritardare il pieno riconoscimento di Schiavone, inventore di uno stile sintetico nuovo, di tocco e a tratti quasi ‘informale’, hanno contribuito sicuramente le nebbie che ancora avvolgono la sua biografia: in particolare la formazione tra la nativa Zara (in Croazia), l’Italia Centrale (Bologna? Firenze? Roma?) e la meta finale, Venezia.
Eppure, le sue opere raggiungono vertici di straordinario livello; i suoi dipinti, disegni e incisioni impreziosiscono le dimore dei maggiori patrizi veneziani e finiscono poi nelle grandi collezioni reali europee; i suoi servigi vengono richiesti per la decorazione di numerose Chiese e tante repliche antiche di sue ideazioni attestano la fortuna delle sue invenzioni.
Fu Vasari a condizionare le biografie successive, definendo Schiavone esponente di “una certa pratica che s’usa a Vinezia, di macchie o vero bozze, senza esser finita punto”: un precursore dell’informale, verrebbe oggi da dire. Vasari lo criticò, eppure, ancor prima di recarsi a Venezia nel ’41, gli commissionò la rappresentazione di una “Battaglia di Tunisi” per Ottaviano de’ Medici.
Considerata la sua opinione sulla pittura lagunare, la cosa ha dell’eccezionale, spiegabile forse con la mediazione dell’Aretino, amico comune, se non con l’intento di dimostrare la superiorità sua o della scuola fiorentina. Certo è - come sottolinea Enrico Maria Dal Pozzolo in catalogo - che il “San Girolamo” che Vasari dipinse per Ottaviano l’anno successivo, ora a Palazzo Pitti ed esposto a Venezia in questa occasione, pare “l’esatto contrario della proposta linguistica che Schiavone andava diffondendo” in quegli anni.
Contro i commenti vasariani e in difesa di Schiavone – che addirittura viene posto da Giulio Cesare Gigli in apertura del corteo “De’ Veneziani” che seguono il carro della “Pittura Trionfante” (1615) – furono in molti a scagliarsi: grandi pittori come Annibale Carracci ed El Greco, e critici in testa ai quali Marco Boschini – rispondendo a Vasari –scrisse: “O machie senza machia, anzi spendori/che luse più de qual se sia lumiera”!
Era la “furia Dalmatina”, dal pennello veloce come una freccia. Una forza della natura. E se già Ridolfi, nelle “Meraviglie dell’Arte” (1648), ricordava che Jacopo Tintoretto era solito ripetere “ch’era degno di riprensione quel Pittore. Che non tenesse in casa sua un quadro d’Andrea”, qualche anno più tardi Boschini precisa – su fonte diretta del figlio Domenico - che Tintoretto addirittura “teneva avanti di sé, come esemplare, un quadro di questo Auttore per impressionarsi di quel gran Carattere di Colorito, così forzuto e punto”.
Certamente l’influenza di Schiavone su Jacopo Robusti e gli indizi di una loro frequentazione non episodica sono ormai accertati (non per nulla in passato furono parecchie le confusioni attributive tra i due), così com’è condiviso dalla critica che il pittore dalmata sia stato il principale diffusore del Parmigianino in area Veneta.    Dal grande artista emiliano Schiavone trae modelli figurativi che rende propri e soprattutto una forma di disegno pittorico che “è un aspetto fondamentale del suo contributo alla storia della pittura veneziana”. I disegni pittorici del Meldola impressionano per qualità e freschezza, ma anche nelle incisioni Andrea raggiunge vertici assoluti, dimostrando una vera passione che manterrà per tutta la vita (quasi maniacale per le numerose varianti, i ritocchi, la ricerca della precisione), sviluppando la sua ricerca di pari passo a quella pittorica, utilizzando in modo straordinario la puntasecca insieme al bulino e realizzando circa 150 soggetti declinati in più varianti di stato. 

La grafica di Schiavone - per la quale, oltre a Parmigianino, egli trae spunti da molti artisti veneti e del Centro Italia - costituisce senza dubbio un momento capitale nella storia del disegno veneziano e del Rinascimento lagunare e il corpus di disegni, incisioni e stampe presentato in questa eccezionale occasione al Museo Correr svelerà la magia di un tocco unico, senza paragoni.
Tra tutte segnaliamo il “Ratto di Elena”: incisione prestata dal British Museum insieme ad altri 13 importanti lavori dell’artista, unica opera di Schiavone firmata e datata, 1547 (la sola data certa nella biografia del pittore insieme a quella della morte), e in certo senso “manifesto” della consapevolezza dell’artista di attingere e “copiare” dai grandi ma di saper rileggere e trasformare. 

Per quanto riguarda l’interesse e la fama di Schiavone in Laguna era stato lo stesso Vasari a scrivere, nel medaglione dedicato all’artista nella seconda edizione delle Vite, che “La maggior parte delle sue opere sono stati quadri, che sono per le case de’ gentiluomini”, sottolineando così l’apprezzamento delle prove di Schiavone – che si adoperava anche nei formati minori da fregio e da cassone - tra le mura dei palazzi veneziani. Nel Sei e Settecento la fortuna collezionistica del Meldola si spinge anche oltre i confini veneziani. Leopoldo de’ Medici nel 1654 acquista un quadro “grande” di Schiavone identificato con il “Caino e Abele” della Galleria palatina - esposto al Museo Correr - ammirato per il “terribile colorito che fa stupire” e Leopoldo Guglielmo d’Asburgo vanta nelle sue collezioni numerose sue opere, oggi in gran parte confluite al Kunsthistorishes Museum di Vienna che a questo eccezionale evento ha prestato ben sei dipinti dell’artista.
Tra i principali collezionisti di Schiavone in quegli anni ci sono anche due mercanti: Bartolomeo Dalla Nave, amico di artisti e a capo di una fiorente bottega di colori - che pare avesse comprato opere di Schiavone anche dallo scultore Alessandro Vittoria, collega, amico e collezionista del dalmata - e Jan Rynes, ricco olandese stabilitosi a Venezia nel 1652.
Si può continuare. Schiavone, insieme a Tintoretto, risulta l’artista del Cinquecento veneto più rappresentato anche nella collezione personale di Francesco Algarotti che, come consulente di Augusto III di Sassonia, chiamato a completare il museo di Dresda, procura un imponente “Giove fanciullo in mezzo alle Grazie” riconosciuto solo recentemente nell’ “Infanzia di Giove” nelle collezioni dell’Earl of Wemyss.
Esposto per la prima volta in Scozia nel 2004, il dipinto sarà un’altra presenza eccezionale in mostra, ove non mancheranno neppure le due telette della National Gallery di Londra, “Arcade” e “Giove che seduce Callisto”, provenienti dalla raccolta privata di Algarotti, esposte insieme alla parte centrale del cassone al quale probabilmente appartenevano - raffigurante “Diana e Callisto” - prestata dal Musée de Picardie di Amiens.
Il mito del Rinascimento veneziano trova dunque un altro grande protagonista, che in Laguna porta una pittura nuova e audace, fatta di colore, luce e movimento; una pittura a tratti “informale”, che sorprenderà Tiziano, anticiperà Rembrandt e intuirà alcune scoperte della più alta pittura del Novecento.

Vedi anche:
Bittente e i Titani
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