Lorenzo Lotto, vagabondo per forza

Courtesy of Gallerie dell'Accademia Venezia | Gentiluomo nello studio
 

13/10/2001

Lorenzo Lotto nasce a Venezia intorno al 1480, un po' prima di Tiziano e qualche anno dopo Giorgione, quando la città lagunare vive un periodo di grande fervore economico e il principe di tutti i pittori, omaggiato dalle più alte cariche dello stato, è Giovanni Bellini. Le ricche famiglie aristocratiche elargiscono grassi compensi ai numerosi artisti ed artigiani, molti dei quali provengono dai territori circostanti. La rapida ascesa di Tiziano, originario di Cadore sulle Dolomiti, già a vent'anni pittore affermato, non è che l'esempio più eclatante della benevolenza con la quale l'oligarchia locale guarda al talento artistico. Il vivace clima culturale della città non entusiasma però il giovane Lotto che contro tendenza intorno al 1500 si trasferisce a Treviso sotto la protezione del colto vescovo Bernardo de'Rossi. Le prime opere dai contorni nitidi e dai colori smaltati, estranee alle fusioni cromatiche di ambito giorgionesco tanto di moda a Venezia, gli danno una celebrità insperata. I ritratti, ricchi di spunti iconografici e di un'espressività concentrata, gli rendono il meritato riconoscimento sociale. Dopo un duplice soggiorno marchigiano e una sfortunata sosta a Roma, che gli dà però modo di ammirare gli affreschi della Stanza della Segnatura in Vaticano appena terminati da Raffaello, il pittore stabilisce nel 1513 la sua dimora a Bergamo dove per tredici anni lavora instancabilmente, consegnando alle dame e ai gentiluomini della laboriosa città capolavori di straordinaria bellezza e innovazione. La Pala di San Bernardino, conservata nell'omonima chiesa cittadina, rompe con l'aulica fissità delle tradizionali Sacre Conversazioni per presentarci una situazione "in atto": il tendaggio verde, tenuto teso a fatica dagli angeli magistralmente scorciati, sta scivolando dai gradini del trono; la Madonna si sporge dall'ombra alla luce con un gesto insolito e veracemente popolare; l'angelo ai suoi piedi, in atto di scrivere, si interrompe bruscamente e si volta a fissare lo spettatore; i santi, vecchi scalzi e ingobbiti (che tanto piaceranno al giovane Caravaggio), conversano. I colori, squillanti e accostati a creare sorprendenti contrasti, emozionano ancora oggi. Nel 1526 Lorenzo ormai artista affermato decide di tornare a Venezia e di aprirvi bottega. Amareggiato subito dalla carenza di commissioni pubbliche, tutte affidate a Tiziano e alla sua cerchia, lavora con alacrità a numerosi ritratti (splendidi quelli di Andrea Odoni e dell'anonimo Gentiluomo nello studio) e alle pale monumentali destinate alla provincia veneta e marchigiana. Il suo isolamento viene acuito alla fine degli anni Trenta dall'arrivo in città di Francesco Salviati e Giorgio Vasari, artisti portatori del linguaggio intellettualistico e sofisticato delle corti di Roma e Firenze (al quale anche Tiziano si adegua). I poveri santi pellegrini, dai piedi callosi e polverosi, i personaggi umili e sinceramente fedeli del Lotto (si veda la Pala dell'Elemosina di Sant'Antonino dipinta per la chiesa dei Santi Giovanni e Paolo) vengono definitivamente oscurati dai nuovi protagonisti, figli degli "eroi" michelangioleschi della cappella Sistina. Deriso pubblicamente da Pietro Aretino e Ludovico Dolce, arbitri della scena letteraria veneziana, Lorenzo decide di allontanarsi dalla laguna. Approdato ad Ancona per assolvere ad un importante incarico vi rimane per circa due anni. Nel 1552 si trasferisce a Loreto dove, conquistato dalla tranquillità e dalla serenità del luogo, dopo essersi fatto "oblato" della Santa Casa, muore in solitudine nel 1556. Mentre Tiziano all'apice della gloria si occupa di soddisfare le richieste di Filippo II re di Spagna, il mancato rivale finisce dunque i suoi giorni dimenticato in un piccolo paese di provincia: emblematica fine di un inquieto errabondo.
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