San Francesco in meditazione: Caravaggio o no?

Courtesy of Chiesa S.Pietro Carpineto Romano | Caravaggio in Sicilia
 

30/03/2001

La presenza in mostra del quadro raffigurante San Francesco in meditazione, proveniente dalla Chiesa di San Pietro a Carpineto Romano, ci offre l’interessante possibilità di analizzare un esempio dei dibattiti attributivi che spesso accompagnano la ricomparsa improvvisa di opere d’arte dimenticate. Inutile dire che quando l’autore del dipinto in questione si suppone sia Caravaggio, la questione si fa scottante e le voci che partecipano al dibattito tra le più autorevoli. Il bello dell’arte antica è anche questo: a distanza di tanti secoli si rinnova lo stupore e le sorpresa della inaspettata scoperta, dell’incontro con un capolavoro rimasto per anni celato sotto strati di vernici alterate. Un’opera che probabilmente fino a qualche tempo fa era appena sfiorata dallo sguardo dei visitatori ora converge a sè l’attezione e l’attento studio di alcuni tra i più grandi studiosi d’arte di tutto il mondo e viene esposta in mostre attribuita a tutti gli effetti alla mano del pittore più innovativo di primo Seicento. Ma veniamo ai fatti: nel 1968 la storica dell’arte Maria Teresa Brugnoli osservando il dipinto con San Francesco a Carpineto Romano, in seguito ad una prima pulitura si insospettisce per la presenza di un significativo pentimento nel cappuccio del saio del santo. Inizia quindi ad analizzare minuziosamente il dipinto e a fare ricerche per risalire alle vicende della committenza della tela. I risultati appaiono rilevanti: dai documenti emerge la figura del cardinal Pietro Aldobrandini come committente del dipinto e fondatore della Chiesa di San Pietro. Dai restauri sotto al cappuccio del saio dalla forma arrotondata, caratteristica della veste dei padri riformati, risulta una versione precedente dalla forma “a punta”, tipica dell’ordine dei cappuccini. Bisogna sapere che il convento di Carpineto in un primo momento doveva essere affidato ai cappuccini mentre in seguito venne consegnato ai frati minori riformati; questo cambiamento coincide a tutti gli effetti con il ripensamento operato dal pittore sul cappuccio del santo e aiuta a datare il dipinto negli anni appena precedenti l’erezione del convento (1609). Inutile dire che la presenza di correzioni nel dipinto in corso d’opera autorizza a pensare ad un’opera originale piuttosto che ad una copia. Caravaggio in fuga da Roma si era rifugiato nei feudi Colonna, confinanti con quelli degli Aldobrandini: ipotizzare che Pietro Aldobrandini abbia commissionato il quadro con San Francesco a Caravaggio non risulta quindi così improbabile. Riportata così, la ricostruzione appare lineare e priva di dubbi. In realtà nella ricerca dei passaggi, delle commissioni e dei ripensamenti le cose raramente offrono agli studiosi una lettura univoca. Entra in gioco ora un secondo quadro, di uguale soggetto, di uguale formato, anch’esso attribuito da alcuni a Caravaggio; questa tela si trova nella chiesa cappuccina di Santa Maria della Concezione a Roma ed è stata da decenni al centro di discussioni attributive tra chi la riteneva una copia e chi un originale. Il confronto tra l’opera di Carpineto e quella di Roma ha rimescolato le carte in tavola e dato il via ad una nuova partita. Ad un confronto stilistico tra i due dipinti emerge in modo inoppugnabile l’inesistenza di uno scarto qualitativo tale da far pensare ad un originale e alla sua copia. Le due tele sembrerebbero realizzate autonomamente tanto più che le sagome delle figure di San Francesco rilevate dai due dipinti, se sovrapposte, non coincidono in alcun punto. La diversità più rilevante compare nell’uso della luce; nel quadro di Roma, a differenza che in quello di Carpineto, la volumetria dei corpi emerge potentemente, esaltata dai forti contrasti chiaroscurali. Stilisticamente è quindi possibile avvicinare l’opera agli anni romani di Caravaggio mentre, come si è già detto, la tela di Carpineto andrebbe riferita al periodo del Merisi successivo la fuga da Roma. L’ultima parola spetta ora ai risultati dei restauri da poco conclusi affidati dalla Soprintendenza per i Beni artistici a Carlo Giantomassi e Donatella Zari.

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