Dentro il capolavoro dei Musei Vaticani

La svolta di Raffaello. I gioielli della Stanza di Eliodoro

Raffaello Sanzio e allievi, Stanza di Eliodoro, 1511-1514, Affresco, Città del Vaticano, Musei Vaticani
 

Francesca Grego

23/04/2020

Roma - È lo zenit, un autentico prodigio, la “suprema perfezione” esaltata da Vasari: così lo storico dell’arte ed ex direttore dei Musei Vaticani Antonio Paolucci, ha descritto il Raffaello della Stanza di Eliodoro nel 2014, all’indomani di un restauro epocale. Quattro magnifiche pareti affrescate compongono il progetto che il genio urbinate elabora con Giulio II per la prestigiosa Sala dell’Audienza, che avrebbe accolto gli ospiti privati del pontefice.

Straordinario compendio di storia, teologia e antropologia cristiana, la Stanza di Eliodoro è la realizzazione di un programma iconografico complesso, che rappresenta una reazione al difficile momento attraversato dallo Stato Pontificio a partire dal 1511. Dalla Bibbia al Medioevo, quattro episodi della storia della Chiesa documentano la protezione miracolosa accordata da Dio al potere temporale del papa. Si tratta - in ordine di esecuzione - della Cacciata di Eliodoro dal Tempio, della Messa di Bolsena, della Liberazione di San Pietro e dell’Incontro di Leone Magno con Attila, cui si aggiungono le storie dall’Antico Testamento dipinte sulla volta.
In stato di grazia, Raffaello si impregna dell’aria della Città Eterna. Della natura e dell’arte che lo circonda tutto assorbe, rigenera, trasfigura, inventando soluzioni nuove e sorprendenti. Anche le parti dipinte dai suoi aiutanti - da Francesco Penni a Giulio Romano - si inseriranno senza cesure in un insieme di superba armonia. 


Giulio II, Dettaglio da La Messa di Bolsena

Raffaello e Giulio II, amici nella tempesta
Già nel 1511 l’ombra degli eserciti francesi di Luigi XII si stende sullo Stato Pontificio. Giulio II perde Bologna in una disastrosa campagna militare ed è costretto a mettersi sulla difensiva. Il papa guerriero e mecenate fa un voto: si taglierà la barba solo quando la penisola sarà libera dalla minaccia straniera. Apparirà per ben due volte con la barba lunga negli affreschi della Stanza di Eliodoro. Con un salto temporale, Raffaello lo inserisce nelle scene della Cacciata di Eliodoro dal Tempio e della Messa di Bolsena, sottolineando il suo ruolo di testimone della protezione divina sulla Chiesa.

Il Divin Pittore è giunto in Vaticano appena venticinquenne grazie alla presentazione di Donato Bramante. Con il papa della Rovere il feeling è immediato. Entusiasta della Stanza della Segnatura, Giulio II affida all’Urbinate la decorazione di altri tre ambienti dei suoi appartamenti nel Palazzo Apostolico. Il rapporto tra i due non ha equivalenti nella storia dell’arte, secondo Christoph Luitpold Frommel, esperto del Sanzio e autore del volume Raffaello. Le Stanze (Jaca Book). Con il giovane Maestro, racconta l’ex direttore della Biblioteca Hertziana, “il papa aveva empatia, erano legati da antenne finissime. Giulio II è stato uno dei motori di Raffaello. Dal 1513, dopo la morte del pontefice, il suo lavoro diventa meno potente”.
Quando l’artista fa il suo ingresso nel palazzo, la futura Sala dell’Audienza è ornata da affreschi quattrocenteschi di Maestri come Piero della Francesca. Con rispetto e interesse, prima di rimuoverli Raffaello li fa copiare per conservarne la memoria. Poi sforna un incredibile poker di capolavori.


Raffaello Sanzio, Stanza di Eliodoro, Cacciata di Eliodoro, Musei Vaticani, Nuova Illuminazione delle Stanze di Raffaello realizzata da Osram | © Governatorato dello Stato della Città del Vaticano

La Cacciata di Eliodoro dal Tempio
Nel Vecchio Testamento Eliodoro è inviato dal re di Siria Seleuco a impossessarsi del tesoro del Tempio di Gerusalemme. Su preghiera del gran sacerdote Onia, Dio invia un cavaliere e due armigeri a scacciare il profanatore. Raffaello incornicia il racconto biblico all’interno di un’architettura bramantesca che fa riferimento alla nuova Basilica di San Pietro. Giulio II osserva la scena dalla lettiga, come davanti ad una rappresentazione teatrale. Tra i portantini riconosciamo Antonio Raimondi, l’incisore amico di Raffaello, e lo stesso Sanzio, attorniato da donne e bambini spaventati. Il pontefice lo indica. Come ha osservato il professor Frommel, sembra dire: “è lui l’interprete della mia anima”. Alla staticità della parte sinistra del dipinto, fa da contrappunto sul lato destro il dinamismo plastico e drammatico del cavaliere e degli armigeri lanciati contro Eliodoro, che rovina al suolo. Qui è evidente l’influenza Michelangelo, il rivale che Raffaello non può più ignorare dopo aver visto la Cappella Sistina.  


La Messa di Bolsena, 1512, Affresco, 620 cm alla base, Città del Vaticano, Palazzo Apostolico, Stanza di Eliodoro

La Messa di Bolsena
Bolsena, 1263. Un sacerdote boemo ha messo in dubbio che durante l’Eucarestia il pane e il vino si trasformino nel corpo e nel sangue di Cristo. Durante la consacrazione, gocce di sangue stillano dall’ostia macchiando i paramenti sacri e fugando le incertezze del celebrante. Secondo la tradizione, il miracolo è all’origine alla Festa del Corpus Domini e della costruzione del vicino Duomo di Orvieto, che custodisce ancora il corporale macchiato di sangue. 
Nella rappresentazione di Raffaello, Giulio II prende il posto di Urbano IV, il papa che convalidò il prodigio. Ai suoi piedi, una scena che è considerata un vertice della storia dell’arte: biondi ed eleganti, i sediari del pontefice sono fieri delle loro armi preziose, degli abiti policromi in raso e velluto. Dietro di loro sono ben riconoscibili i cardinali Leonardo Grosso della Rovere, Agostino Spinola, Raffaello e Tommaso Riario. “Neanche Dürer”, commenta Paolucci, “ha saputo dare una rappresentazione del ritratto virile di così grande intensità”. E a proposito di ritratti, impossibile non pensare all’abilità di Lorenzo Lotto - attivo in Vaticano e per un breve periodo nella stessa bottega di Raffaello - nel rendere i lineamenti e la psicologia dei personaggi, a una “verità della pelle” che prende forma attraverso i colori dei pittori veneti. L’influenza di Lotto si fa sentire nelle larghe pennellate e nella mirabile tavolozza che, sostiene ancora Paolucci, sembra quella di un Tiziano ante litteram e perfino di un Velàsquez. 


Raffaello Sanzio, La Liberazione di San Pietro, 1513-14, affresco 500 x 660, Stanza di Eliodoro, Musei Vaticani

La Liberazione di San Pietro
Il principe degli apostoli e primo papa è prigioniero nel carcere di Erode. Al culmine delle tribolazioni, un angelo lo trae in salvo mentre le guardie sono immerse in un sonno profondo. L’episodio contiene un riferimento diretto a Giulio II, che era stato cardinale titolare della Chiesa di San Pietro in Vincoli. Raffaello dipinge una scena in tre tempi in cui la luce è assoluta protagonista: la luce divina dell’angelo e quella candida della luna, il chiarore livido dell’alba e il rosseggiare delle fiaccole che si riflettono sulle armature, e perfino la luce naturale che entra dalla finestra sottostante. Nasce così quello che Paolucci definisce “il primo notturno dell’arte italiana”. “Il cielo pigro, sciroccoso” e una luna velata “che non si era mai vista prima” sono il racconto di un “viaggio al termine della notte” che anticipa Caravaggio, la Ronda di Rembrandt, il Trés de Mayo di Goya. Invece che Gerusalemme, dove si svolge l’episodio degli Atti degli Apostoli, il set è la campagna romana che intravediamo sullo sfondo in un tipico paesaggio raffaellesco.  

L’Incontro di Leone Magno con Attila
Nel 452 papa Leone I andò incontro ad Attila sulle rive del Mincio per dissuaderlo dall’avanzare verso Roma. Secondo una leggenda, a fermare il re degli Unni fu l’apparizione dei Santi Pietro e Paolo armati di spada. L’Urbinate sposta la scena del miracolo dai dintorni di Mantova all’Urbe, che  fa capolino in una veduta inconfondibile. “Un Colosseo spettrale, grigio-viola sullo sfondo, e il profilo degli archi dell’Agro Romano, e Monte Mario che brucia d’incendi che sembrano bombe al napalm, sullo sfondo. Qui c’è la mimesi del vero visibile, ed è di Raffaello”, spiega l’ex direttore dei Musei Vaticani. Degli allievi Francesco Penni e Giulio Romano è invece il vorticoso assembramento dei barbari che si contrappone all’ordinato corteo del papa. Quest'ultimo ha le fattezze di Leone X, che nel frattempo è subentrato a Giulio II ed è rappresentato anche nelle vesti di cardinale.

Incontro di Leone Magno con Attila, 1514, Affresco, 500 x 750 cm, Città del Vaticano, Palazzo Apostolico, Stanza di Eliodoro

Una pittura mai vista
È il 1511 quando Raffaello inizia a lavorare alla Stanza di Eliodoro. La Stanza della Segnatura, con i capolavori della Scuola di Atene e della Disputa del Sacramento, è ancora in via di completamento. Tuttavia qualcosa è cambiato. Le drammatiche vicende militari attraversate dallo Stato Pontificio spingono verso un’opera di carattere politico più che filosofico. Ma c’è di più. Rispetto alle decorazioni dello studio privato del papa, i nuovi lavori sono sempre meno legati “alla prescrizione del disegno, dell’incisione, dello spolvero”, ha spiegato il restauratore Paolo Violini dopo l’intervento sugli affreschi: “Una pittura sempre più fluida che, in alcuni dettagli, sembra quasi impressionista”.  Le composizioni si caricano di dinamismo: pur conservando grande equilibrio, i colori si fanno più densi, la luce rimbalza sulle superfici, i corpi assumono pose più drammatiche ed espressive. E, dice Violini, nelle scene dipinte fa il suo ingresso “qualcosa di intangibile, l’atmosfera”. Nella Liberazione di San Pietro , per esempio, l’Urbinate riesce rendere il senso dell’aria umida attraverso una “incredibile velatura a fresco stesa con acqua di calce sull’intonaco già dipinto. La velatura è trasparente e l’effetto si vede solo quando si asciuga, quindi è necessaria una grande capacità di immaginare il risultato, ma anche un’immensa padronanza tecnica”.  

Le cause di un cambiamento epocale
Raffaello ha ammirato la Cappella Sistina di Michelangelo, inaugurata da Giulio II il 31 ottobre del 1512, e la scuola del colore fiorita in Veneto ha iniziato a dispiegare i suoi influssi a Roma con artisti come Lotto e Sebastiano del Piombo. Dal Buonarroti il giovane Urbinate imparerà come dare pathos e plasticità alle figure, dai veneti la capacità di legare corpo e paesaggio in finissimi cromatismi luminosi. Basta questo a spiegare la sua incredibile evoluzione? No, secondo Paolucci: il genio del Sanzio subisce un processo di accelerazione imprevedibile e fulmineo che resta un mistero. Nella Stanza di Eliodoro la sua pittura delicata si carica del tepore della vita, del calore delle cose. D’ora in poi chiunque voglia “guardare il mondo visibile con gli occhi dello stupore e dell’emozione” non potrà fare a meno di Raffaello.  

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