Fino al 6 gennaio a San Gemini, nell’ex Convento di Santa Maddalena

Canova vs Napoleone: Il tesoro ritrovato

Antonio Canova, Busto dell'Italia Piangente per il Monumento Funerario di Vittorio Alfieri, 1810
 

Francesca Grego

06/12/2018

Terni - Nella primavera del 1798 dodici carri carichi di opere d’arte partivano dallo Stato Pontificio alla volta di Parigi: era il bottino di Napoleone, che andava a rimpolpare le collezioni del Louvre con i tesori sottratti ai palazzi e ai luoghi di culto dei vinti. Su quei carri si trovavano capolavori dell’antichità come l’Apollo del Belvedere, la Venere de’ Medicie il gruppo scultoreo del Laocoonte, che rovinò al suolo sul Passo del Moncenisio riportando gravi danni. Probabilmente oggi sarebbero ancora a Parigi, se non fosse per la campagna di rimpatrio intrapresa alcuni anni dopo dallo scultore Antonio Canova, stimatissimo anche alla corte dell’imperatore dei francesi.
 
A raccontare i particolari di una storia spesso trascurata arriva ora la mostra multimediale Canova e il tesoro ritrovato, in programma fino al prossimo 6 gennaio all’Auditorium dell’ex Convento di Santa Maddalena di San Gemini (Terni). L’evento ha origine negli speciali rapporti che legarono il maestro neoclassico alla cittadina dell’Umbria, dove possedeva dei terreni e uno spazioso palazzo “di villeggiatura” che tuttora domina la piazza principale.
 
Con l’aiuto delle nuove tecnologie e di modelli 3D creati a partire dalle opere del Museo e Gypsotheca Antonio Canova di Possagno, riprende vita una grande pagina di scultura: dalla storia dei capolavori trafugati – primo fra tutto il Laocoonte, che Canova restaurò dopo il ritorno a Roma – alle mirabili creazioni nate per sostituirli durante l’esilio francese. È questa l’origine di Perseo che uccide la Medusa (collocato nei palazzi papali al posto dell’Apollo del Belvedere) e della Venere Italica, nelle cui forme perfette lo scultore trasfuse la bellezza della Venere de’ Medici.
 
E soprattutto a San Gemini s’impone all’attenzione la figura imponente di un artista che non fu solo il massimo rappresentante della scultura ottocentesca, ma anche un abile negoziatore e il primo appassionato ambasciatore del patrimonio di un’Italia ancora politicamente frammentata, eppure già unita nel nome del genio dell’arte.
 
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