Al cinema il 13 e 14 marzo

Quando l'arte finanziò il regime. "Hitler contro Picasso e gli altri" svela i dettagli di una triste vicenda

Jan Vermeer, L'astronomo, 1668, Olio su tela, 45 x 51 cm, Musée du Louvre | Una delle tele più desiderate da Hitler, razziata alla famiglia Rothschild, fu rinvenuta dagli americani nel 1945, all’interno della miniera di sale di Altaussee, in Austria, insieme ad altri 6500 pezzi tra quadri, statue, mobili, armi, monete, tra cui la Madonna con Bambino di Michelangelo, rubata a Bruges, l'imponente polittico dell'Agnello mistico dei fratelli Van Eyck
 

Samantha De Martin

12/02/2018

Mondo - Un business spietato più che un disinteressato culto dell’arte e della bellezza.
Fu anche questo il regime di Hitler, una macchina diabolica messa in piedi dai nazisti per la compravendita di opere d’arte, un rastrellamento sistematico dei più illustri capolavori, in parte utilizzati per alimentare le collezioni personali degli alti gerarchi nazisti, in parte adoperati per finanziare le casse del Reich.

Paul Rosenberg, Simon Goodman, Jacques Goudstikker sono solo alcuni dei grandi collezionisti e mercanti di origini ebraiche, ai quali il regime nazista strappò un incredibile numero di opere. Le loro storie, raccontate dalla voce di Toni Servillo, ma anche attraverso testimonianze di familiari, intellettuali e storici dell’arte, costituiscono il filo conduttore del docufilm Hitler contro Picasso e gli altri. L’ossessione nazista per l’arte, prodotto da 3D Produzioni e Nexo Digital, che sarà nelle sale il 13 e il 14 marzo nell’ambito del progetto della Grande Arte al Cinema.


Liberazione di Berchtesgaden e recupero della Collezione Goering ad opera della 101st Airborne Division | Courtesy of National Archives & Records Administration

L'OSSESSIONE NAZISTA PER L'ARTE
L’ossessione del regime per l’arte, oltre a essere dettata dalla volontà di cancellare l’intera cultura del popolo ebraico, scaturiva da una grande passione del Führer per tele d’autore, e da un irrefrenabile desiderio di propaganda. Ma anche dallo status sociale, da quell’alto rango che il possesso di capolavori consentiva di raggiungere in fretta.

«I nazisti avevano capito che la cosiddetta “arte degenerata” era, per loro, moneta di scambio e che poteva far guadagnare molto denaro - spiega la gallerista parigina Elizabeth Royer, una delle tante autorevoli voci che si susseguono nel docufilm -. Intuirono anche che potevano scambiare quadri moderni con quadri antichi».
Conseguenza di questa convinzione: ben 600mila opere d'arte sottratte a privati, musei, chiese e gallerie, finite nell’orbita del regime, centomila quelle da ritrovare, e tante altre scomparse nel nulla.

E poi c’era Hitler, che ha commesso razzia espressamente per sé, facendosi procurare una serie di opere d'arte scelte con l'obiettivo di creare “il museo dei musei”, il Louvre di Linz - la città dove era cresciuto, iniziando la sua parabola di pittore mediocre - e dove avrebbe dovuto dimostrare la superiorità dell'arte tedesca. Ma che rimase un ambizioso progetto su carta.
Anche Hermann Goering, il numero due del regime, ha lasciato traccia di questa ossessione all’interno del catalogo che contiene l’elenco di tutte le opere in suo possesso, nella pinacoteca personale, valutata, nel 1944, cinquanta milioni di marchi, corrispondenti agli attuali 18 milioni di euro e nella Carinhall, un’autentica “galleria delle meraviglie”, a 60 chilometri da Berlino.

I GRANDI CAPOLAVORI TRAFUGATI
Insomma, l’arte, anche quella che Hitler diceva di ripudiare - e che considerava il simbolo di deviazione e caos, in contrapposizione a quella ariana “del sublime e del bello, veicolo del naturale e del sano” - svolse da sempre un ruolo centrale nella politica di propaganda del Führer.
A partire dal 1937, quando il regime bandì la cosiddetta “arte degenerata”, organizzando nel Parco Hofgarten di Monaco di Baviera un’esposizione pubblica per condannarla e deriderla, ma anche per alimentare le casse dello stato mettendo all’asta centinaia di capolavori.
Una parte del tesoro che sarebbe dovuto essere destinato a Hitler fu rinvenuto dagli americani nel maggio del 1945, all’interno della miniera di sale di Altaussee, in Austria. Un bottino di 6500 pezzi tra quadri, statue, mobili, armi, monete e, tra i capolavori, la Madonna con Bambino di Michelangelo, rubata a Bruges, l'imponente polittico dell'Agnello mistico dipinto dai fratelli Van Eyck, sottratto alla cattedrale di Gand e smontato per entrare nei cunicoli, e ancora una delle tele più desiderate da Hitler, l'Astronomo di Jan Vermeer, razziata alla famiglia Rothschild. Insieme alle opere della collezione del Furher c’erano alcuni pezzi dalla raccolta di Goering, dalla Danae di Tiziano alla Parabola dei ciechi di Bruegel il Vecchio, dalla Flagellazione di Cristo di Caravaggio alla Madonna di Raffaello e ad Antea del Parmigianino. Queste opere, oggi tutte al Museo di Capodimonte, erano state messe in sicurezza nell'Abbazia di Montecassino e poi trafugate dalle truppe tedesche della divisione Goering e portate a Berlino per essere recapitate al maresciallo del Reich il giorno del suo 51esimo compleanno.
 FOTO: Hitler contro Picasso e gli altri. L'ossessione dei nazisti per l'arte
I COLLEZIONISTI EBREI VITTIME DELLE SPOLIAZIONI NAZISTE
Ma come riuscirono i nazisti a far crescere, nel tempo, e soprattutto a nascondere quel loro scrigno così ampio di opere d’arte realizzate dagli artisti più illustri? Il docufilm ci offre alcune risposte, soffermandosi su particolari interessanti.
A Merkers, a Nord di Francoforte i soldati americani avevano scoperto, in una miniera di potassio, il deposito d'oro e di valuta della Reichsbank, per un valore di oltre 520 milioni di dollari. Accatastati in un angolo furono rinvenuti ben 400 dipinti sottratti ad alcuni musei di Berlino e tra questi Nel conservatorio di Eduard Manet e L'avvoltoio carnivoro di Goya.
Una delle caverne custodiva 207 contenitori chiusi, una porzione ancora non riciclata dalla Reichsbank del bottino delle SS, oggetti di valore sequestrati ai deportati dei lager, dai gioielli all’argenteria e persino ai denti d’oro dei prigionieri. Questa immensa miniera d’arte si allungava a 500 chilometri più a Sud, a Berchtesgaden, nel Nido dell'Aquila, il rifugio di Hitler che ospitava il carico di statue e quadri trasportato dai treni di Goering, e nascosto in un'altra miniera di sale. Era quello il posto sicuro in cui il Maresciallo del Reich aveva fatto portare anche le tele appartenute a Jacques Goudstikker, uno stimato mercante d'arte di Amsterdam. Jacques era ebreo e quando i nazisti invasero l'Olanda, il 10 maggio del 1940, Goering e il suo mercante Hofer si erano già accaparrati 1240 delle sue opere.
Ed è grazie alle lunghe battaglie legali condotte per decenni dai nipoti, che in un appartamento di New York oggi splendono alle pareti alcuni dei capolavori della collezione Goudstikker.

Tra le vittime di questa gigantesca fabbrica di denaro alimentata dall’arte, dove ogni tela racchiude una storia di perdita o spoliazione, c’è anche Paul Rosenberg, uno dei più grandi collezionisti e mercanti d’arte di inizio Novecento, parte del cui patrimonio recuperato è al centro di una mostra a Parigi.
E poi c’è Simon Goodman, discendente di una dinastia di banchieri. Il capostipite, Eugene, ebreo convertito al cattolicesimo, aveva messo assieme la più straordinaria collezione di argenti e di ori rinascimentali esistente, che naturalmente si era attirata le gelosie e i desideri del Kaiser.
E così a Boosbeck iniziarono le visite dei mediatori inviati da Goering. Arrivano addirittura in tre per farsi cedere a prezzi stracciati gli ori e gli argenti dai degni proprietari. Nel marzo del 1941 sarà il mercante Karl Haberstock a presentarsi ai Goodman tornandosene a casa con un Memling, un Van Goyen e altri pezzi di altissimo pregio.


Simon Goodman | Courtesy of Nexo Digital

HILDEBRAND GURLITT: IL MERCANTE CHE OPERAVA PER CONTO DEL FÜHRER
A far girare senza intoppi questo meccanismo perverso volto ad accumulare denaro e opere d’arte - occorreva un abile venditore e Hildebrand Gurlitt, fidato mercante d'arte del Führer, era perfetto per ricoprire questo ruolo.
La sua corsa astuta e silenziosa si arrestò per puro caso, un giorno di settembre del 2010, quando fu fermato dalla polizia doganale sul treno Zurigo- Monaco. Rimasto a lungo un fantasma, Gurlitt era una persona che in Germania non esisteva, o almeno fino al momento in cui i doganieri gli trovano in una tasca 9mila euro. La sua casa di Monaco - dove viveva con il suo immenso patrimonio di quadri ufficialmente scomparsi nel bombardamento di Dresda del febbraio del 1945 - venne perquisita. Nonostante le autorità bavaresi avessero deciso di tenere nascosto il ritrovamento, la notizia fu scovata dal settimanale tedesco Focus che, dopo 18 mesi di verifiche e di ricerche, nel novembre del 2013 ruppe il silenzio costringendo lo Stato a confermare.
È solo nel 2012 che alcune di queste 1500 opere - tra lavori di Rodin, Matisse, Monet, Renoir, Kandinsky, Klee, Dix - di cui si erano perse completamente le tracce, ricomparvero nell'appartamento di Monaco di Cornelius Gurlitt, figlio di Hildebrand. Si tratta del più grande ritrovamento degli ultimi anni, esposto oggi per la prima volta in due mostre a Bonn e a Berna.
Fiore all’occhiello della collezione Gurlitt è l'acquerello Greco tra i barbari, realizzato da Paul Klee.


Paul Klee, Greco tra i barbari, 1920. Berna, Kunstmuseum. Courtesy of Nexo Digital

Ed è proprio Gurlitt, personaggio chiave nel docufilm di Claudio Poli, a descrivere non solo gli introiti, ma a spiegare il modus operandi di un tipico mercante d’arte del regime. Ed è sempre lui ad ammettere di avere acquisito opere soprattutto in Francia, in tutto circa 200 quadri, grazie ai quali il suo reddito nel 1943 ammontava a 200mila marchi, ovvero 720mila euro di oggi.
«Tutte le opere che un mercante prende in consegna - spiega nel documentario la storica dell’arte Meike Hoffmann - devono essere vendute all’estero. Un’ulteriore regolamentazione riguardava poi la cancellazione delle tracce: i timbri museali dovevano essere eliminati dal mercante in modo che dopo non fosse più ricostruibile la provenienza delle opere dall’operazione arte degenerata».
Quando, al termine della guerra, questa collezione fu ritrovata, gli alleati chiesero a Gurlitt se la sua raccolta si limitasse davvero a 138 pezzi. “No, ne avevo altri ma sono andati distrutti” fu la sua risposta. Quando in realtà ne aveva altri 1100 e, tra questi, la Femme assise, capolavoro di Matisse, ritrovato privo di protezione, disteso in un cassetto assieme ad altre opere di valore.

Tra i capolavori di Vincent Van Gogh, parte della mostra organizzata a New York da Paul Rosenberg nel 1942, c’era anche il Ritratto del Dottor Gachet che nel '38 Goering aveva fatto confiscare allo Staedl Museum di Francoforte, vendendolo a un banchiere tedesco. L'opera, rimessa in vendita, aveva raggiunto l’America all’inizio degli anni ‘40.
Un altro mercante, Gustav Rochlitz racconta che Goering volesse acquistare da lui per cifra irrisoria, un ritratto di Tiziano e una Natura morta di Jan Weenix. Bruno Lohse, il suo uomo, costrinse Rochlitz ad accettare uno scambio con opere di arte degenerata con parole non tenere: “Devi scambiare i quadri, GHitler lo vuole e quando lui dà un ordine, deve essere eseguito, o ne pagherai le conseguenze”.

E si potrebbe continuare ancora in questa storia di saccheggi e spoliazioni, dove l’arte è vittima e allo stesso tempo carnefice.
Ma dove fu a lungo un espediente utile ad arricchire le casse del Reich, ad accrescerne la potenza, ad accaparrarsi l’espressione artistica di una cultura, insieme alla vita di milioni di uomini.

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