Dal 2 marzo al 1° luglio al Complesso del Vittoriano
L’arte del camaleonte: a Roma con Liu Bolin, l'Uomo Invisibile

Liu Bolin, Paolina Borghese Bonaparte, Galleria Borghese, Roma. Courtesy Galleria Boxart Verona
Francesca Grego
01/03/2018
Roma - “Ogni persona sceglie la propria strada per venire a contatto con il mondo esterno. Io scelgo di fondermi con l’ambiente. Invece di dire che scompaio nello sfondo circostante, sarebbe meglio dire che è l’ambiente che mi ha inghiottito e io non posso scegliere di essere attivo o passivo”.
Parola di Liu Bolin, che ha elaborato questa strategia nel 2005, quando il suo studio di scultura nel quartiere Suojia Village di Pechino fu ridotto a un cumulo di rovine dalle ruspe dell’amministrazione cittadina, insieme agli atelier di altri artisti critici verso il governo. Liu si fa dipingere come se facesse parte delle macerie e attraverso le sue fotografie una protesta silenziosa e “trasparente” fa il giro del mondo, segnando l’esordio di un linguaggio inusitato.
Dal 2 marzo al 1° luglio “l’Uomo Invisibile” approda al Complesso del Vittoriano con una mostra che ne ripercorre la storia attraverso circa 70 opere, dalla prima performance agli scatti più recenti, realizzati nel 2017 alla Reggia di Caserta e al Colosseo ed esposti qui in anteprima mondiale.
In 13 anni si è fatto fotografare davanti ai più noti monumenti del globo, a scaffali di supermercati e a opere d’arte, tra i migranti del C.A.R.A. di Mineo o sullo sfondo di decrepite carrette del mare. Sempre protagonista di incredibili camouflage, in cui impara dal camaleonte “a uniformarsi ai colori dell’ambiente esterno come forma di autoprotezione”.
Sette sezioni raccontano un viaggio ideale. Dalla Cina di Piazza Tienanmen e della Città Proibita si passa alle aree recentemente urbanizzate, attraversando problematiche politiche e sociali, contraddizioni tra passato e presente, questioni culturali.
Per poi decollare verso il mondo, tra Londra, Parigi, Nuova Delhi, tra la New York di Ground Zero e l’enorme centrale di smaltimento dei rifiuti di Bangalore. O (s)comparire nelle campagne di comunicazione di marchi come Moncler, Jean Paul Gaultier, Valentino e Angela Missoni.
Nel Belpaese Bolin gioca con i miti del made in Italy – cibo, vino, design e Ferrari – ma soprattutto si mette in cammino in un personale Grand Tour. Da Venezia a Pompei, alterna luoghi icona e mete meno note; mette in scena un processo di conoscenza, problematizza i moti della globalizzazione culturale, confronta diversi approcci alle testimonianze della storia, riflette sul mito della civiltà umana e sulla sua vulnerabilità.
A cura di Raffaele Gavarro, Liu Bolin – The Invisible Man è prodotta e organizzata dal Gruppo Arthemisia in collaborazione con la Galleria Boxart di Verona, con il patrocinio della Regione Lazio – Assessorato alla Crescita Culturale e della Fondazione Italia Cina.
Parola di Liu Bolin, che ha elaborato questa strategia nel 2005, quando il suo studio di scultura nel quartiere Suojia Village di Pechino fu ridotto a un cumulo di rovine dalle ruspe dell’amministrazione cittadina, insieme agli atelier di altri artisti critici verso il governo. Liu si fa dipingere come se facesse parte delle macerie e attraverso le sue fotografie una protesta silenziosa e “trasparente” fa il giro del mondo, segnando l’esordio di un linguaggio inusitato.
Dal 2 marzo al 1° luglio “l’Uomo Invisibile” approda al Complesso del Vittoriano con una mostra che ne ripercorre la storia attraverso circa 70 opere, dalla prima performance agli scatti più recenti, realizzati nel 2017 alla Reggia di Caserta e al Colosseo ed esposti qui in anteprima mondiale.
In 13 anni si è fatto fotografare davanti ai più noti monumenti del globo, a scaffali di supermercati e a opere d’arte, tra i migranti del C.A.R.A. di Mineo o sullo sfondo di decrepite carrette del mare. Sempre protagonista di incredibili camouflage, in cui impara dal camaleonte “a uniformarsi ai colori dell’ambiente esterno come forma di autoprotezione”.
Sette sezioni raccontano un viaggio ideale. Dalla Cina di Piazza Tienanmen e della Città Proibita si passa alle aree recentemente urbanizzate, attraversando problematiche politiche e sociali, contraddizioni tra passato e presente, questioni culturali.
Per poi decollare verso il mondo, tra Londra, Parigi, Nuova Delhi, tra la New York di Ground Zero e l’enorme centrale di smaltimento dei rifiuti di Bangalore. O (s)comparire nelle campagne di comunicazione di marchi come Moncler, Jean Paul Gaultier, Valentino e Angela Missoni.
Nel Belpaese Bolin gioca con i miti del made in Italy – cibo, vino, design e Ferrari – ma soprattutto si mette in cammino in un personale Grand Tour. Da Venezia a Pompei, alterna luoghi icona e mete meno note; mette in scena un processo di conoscenza, problematizza i moti della globalizzazione culturale, confronta diversi approcci alle testimonianze della storia, riflette sul mito della civiltà umana e sulla sua vulnerabilità.
A cura di Raffaele Gavarro, Liu Bolin – The Invisible Man è prodotta e organizzata dal Gruppo Arthemisia in collaborazione con la Galleria Boxart di Verona, con il patrocinio della Regione Lazio – Assessorato alla Crescita Culturale e della Fondazione Italia Cina.
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