L'avanguardia secondo Walter Gropius e i suoi seguaci

Bauhaus 100: portolano modernista per orientarsi in Germania

Scuola del sindacato ADGB (1928–30), Architetti: Hannes Meyer, Hans Wittwer. Foto: © Tillmann Franzen, tillmannfranzen.com
 

Federico Geremei

05/12/2018

Prendiamo l’orbita del Bauhaus e dimezziamo il suo primo secolo 1919-2019, arriviamo così al 1969. Scegliamo l’estate – yes, quella del grande leap per l’umanità (con l’impronta sulla luna e tutto il resto) – e restiamo sulla East Coast da dove l’Apollo 11 è schizzato oltre la troposfera. Niente Cape Kennedy, però. Ma Boston: è qui che Walter Gropius è morto il 5 luglio, pochi giorni prima del conto alla rovescia scandito da Houston. Due anniversari “platinum”, ideale (e improbabile) passaggio di testimone cinquant’anni fa. Negli Stati Uniti l’architetto berlinese viveva ormai da tre decenni e forse avrebbe apprezzato quest’incipit-calembour.
L’epos del Bauhaus è del resto stato visionario, sfrontato, ostinato e innovativo
. Votato a razionalizzazione e standardizzazione.
 
Issato lo stendardo dell’analogia trionfante tra conquista (sic) dello spazio e ripensamento degli spazi terrestri, ripieghiamolo per srotolarlo sulla mappa tedesca. E tratteggiare così il portolano di un tour modernista nella penombra di quella rotta, con le tre capitali del Bauhaus: Weimar, Dessau, Berlino sullo sfondo. Non una carrellata compilativa come tante ma una selezione – arbitraria  e parziale per definizione – che ne esalta il coté più rigoroso e scientifico.
 
Nella Turingia di Weimar – in attesa che in primavera la Haus am Horn di Muche torni ad essere fruibile e che il nuovo Bauhaus Museum apra le porte – puntiamo su due luoghi (più uno) a mezz’ora di distanza l’uno dall’altro.
 
Jena, la città in cui la Carl Zeiss è stata fondata, serba tre manufatti ancora e le vestigia di una temperie culturale che lì, forse più che altrove in Germania, ha miscelato arti e industria, ingegno e accademia. Niente lenti per telescopi, però (non solo quelle, non qui) ma piedi saldi su questa porzione europea del geode che ci ospita. Il primo è l’omaggio che il baffuto fiammingo (e para/proto-bauhasler) van de Velde rese al Ernst Abbe – fisico, imprenditore e propulsore di innovazioni nel campo dell’ottica – ideando un memoriale in marmo e bronzo, poi completato coi contributi di Max Klinger e Constantin Meunier.
Gli altri due sono le dimore Haus Auerbach e Haus Zuckerkandl, iconiche e icastiche, disegnate da Gropius: la quintessenza dei nuovi modelli di progettazione, allo stesso tempo prototipo di base e ispirazione d’alto profilo irripetibile.
 
Gera, la città natale di Otto Dix, è forse quella del Land con la più alta densità di interventi realizzati durante gli anni del Bauhaus. La Haus Schulenburg ne custodisce slanci e contesto, azioni e lascito. E li mette in dialogo, concentrandosi su van de Velde (ja, sempre lui), sul suo epigono più prolifico Thilo Schoder e gli atri, meteore più o meno periferiche tra Art Nouveau e dintorni.
Un salto a Dornburg, infine, per i novantanove anni dal workshop di ceramica di Gropius e il progetto del Museo Bürgel.
 
Un po’ più a Nord, ancora più a Est: quattro tappe nel Brandeburgo lungo un filo speciale, intreccia gli azzardi meglio riusciti in architettura con l’astrofisica e la produzione manifatturiera.
L’Einstein Tower di Potsdam sulla Telegrafenberg è il rimando più alto (in tutti i sensi) che ci concediamo, la celebrazione di quanto il “moderno continuo” di Erich Mendelsohn abbia rivoluzionato il pensiero multidisciplinare. All’architetto ebreo si deve anche la fabbrica di cappelli di Luckenwalde, capolavoro di espressionismo industriale.


Einstein Tower di Potsdam è stata progettata dall'architetto Erich Mendelsohn.
 
La residenza estiva di Albert Einstein a Caputh, disegnata da Konrad Wachsmann, è un’opera che sancisce la complessità del talento tedesco (poi naturalizzato americano) alle prese con nuovi materiali e soluzioni geniali: un contenitore sui generis, coerente e dirompente come il contenuto di sinapsi et similia che negli anni sono passate di lì. Bernau, dunque. La locuzione completa “Bundesschule des Allgemeinen Deutschen Gewerkschaftsbundes” non intimorisca, il suo acronimo ADGB non confonda. Si tratta della scuola costruita da Hannes Meyer e Hans Wittwer alla fine degli anni Venti, amalgama di pedagogia innovativa e ridefinizione degli intrecci tra ruoli rivisti, specializzazioni distinte. Ma non distanti, anzi.


La casa estiva di Einstein (1929), Architetto: Konrad Wachsmann © Courtesy of Ray Wachsmann. Foto: Tillmann Franzen, tillmannfranzen.com
 
L’ultimo balzo è verso la parte opposta della Germania: destinazione Baden-Württemberg, dove il respiro internazionale del Bauhaus teutonico si fa più organico e maturo. Il complesso residenziale Weissenhof di Stoccarda, città di Oskar Schlemmer, è stato costruito per l’expo del 1927.
Organizzato dal Deutscher Werkbund, fucina e mentore collettivo, ha beneficiato di un densa interazione tra Mies van der Rohe e Le Corbusier, seminato enzimi di collaborazioni ed evoluzione: il nuovo che ispira il nuovissimo, per un’architettura ancora più varia (non però sconnessa) e meno eventuale. La Hochschule für Gestaltung (Scuola di Progettazione) di Ulm, è stata attiva per quindici anni, dal 1953 al 1968. Tre lustri di confronti - a volte aspri, spesso fisiologici (e quasi sempre necessari) – su come cardare i fili del patrimonio Bauhaus. Alcuni s’erano sfibrati, altri andavano dipanati prima di essere nuovamente intrecciati. L’eco di quei discorsi s’è sopita ma non spenta, gli edifici sono ancora lì a farne riverberare l’aura.
 
Siamo così rientrati nell’atmosfera di partenza, con un anno d’anticipo rispetto al 1969. Poco male, nel 1968 già si volteggiava fuori dalla navicella spaziale col pianeta terra in lontananza. La danza siderale diretta da Kubrick andrebbe bene – con o senza i valzer di Strauss– anche per un Triadische Ballett. Geometrico, geografico, agiografico.

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