La bellezza resta.

Nadia Galbiati, Dialogo, 2015

 

Dal 08 Agosto 2020 al 30 Agosto 2020

Santo Stefano d'Aveto | Genova

Luogo: Castello Fieschi Doria Malaspina

Indirizzo: piazza del Popolo

Orari: sabato e domenica ore 17.30-19.30 e su appuntamento

Curatori: Simona Bartolena e Armando Fettolini

Enti promotori:

  • Con il patrocinio e il contributo del Comune di Santo Stefano D'Aveto

Telefono per informazioni: +39 338 4041475



"La bellezza resta." – il progetto multidisciplinare, nato nel 2016 su iniziativa dell’Associazione heart-pulsazioni culturali di Vimercate e del Teatro Binario7 di Monza, che ha coinvolto in questi anni numerose realtà culturali e sociali in tutta Italia – arriva dall'8 al 30 agosto 2020 a Santo Stefano d’Aveto (Ge), negli spazi espositivi del Castello.

Dopo Monza, Vimercate (Mb), L’Aquila, Brescia, Piacenza, Chiusa (Bz), Torino, Carnago (Va) e Merate (Lc), il lungo viaggio della bellezza, iniziato ormai quattro anni fa, trova approdo a Santo Stefano d’Aveto con una nuova tappa dell’esposizione collettiva.

Per l’occasione sono state selezionate diciannove opere tra le più significative del progetto. Firmate da artisti tra loro molto differenti, esse raccontano, con linguaggi e punti di vista diversi il tema del progetto: la gioia di vivere. Nel 2015, infatti, gli organizzatori hanno lanciato un appello agli artisti, chiedendo loro di interpretare questo concetto con un’opera. I lavori scelti costituiscono oggi il corpus, in continua crescita, di una mostra che dal 2016 sta girando l’Italia portando un messaggio di felicità.

In mostra le opere di Luigi Belicchi, Piera Biffi, Ermenegildo Brambilla, Eligio Casati, Federico Casati, Elisa Cella, Federica Ferzoco, Francesca Della Toffola, Nadia Galbiati, Carlo Mangolini, Camilla Molteni, Ettore Moschetti, Giacomo Nuzzo, Leonardo Prencipe, Dolores Previtali, Ida Rosa Scotti, Silvia Serenari, Giovanni Sesia.

Scrivono Simona Bartolena e Armando Fettolini, curatori della sezione arti visive de "La bellezza resta.": «È fuor di discussione: l’arte ha spesso preferito la sofferenza al sorriso, il pessimismo all’ottimismo. Forse dovremmo ripensare alle parole che Pierre Auguste Renoir ha lasciato in eredità a Henri Matisse: “Ricordati sempre: la sofferenza passa, la bellezza resta!”. A quei tempi Renoir risiede a Cagnes, nella splendida cornice della campagna nizzarda, costretto all’immobilità su una sedia a rotelle, per via di una forma gravissima di artrosi che lo sta progressivamente paralizzando. La condizione di estrema sofferenza fisica dell’artista rende ancor più eclatante la dimensione effimera e leggera della pittura di Renoir che, pur avendo da tempo abbandonato la via dell’impressionismo, continuerà fino all’ultimo dei suoi giorni a raccontare la gioia di vivere... il medesimo sentimento che darà poi il titolo a una delle opere giovanili più importanti di Matisse, che saprà far tesoro delle parole del maestro per elevarne il significato, donando a un concetto che rischia di essere superficiale una dimensione profonda e complessa, ricca di spunti di riflessione importanti sull’esistenza umana. E proprio da Renoir e Matisse siamo partiti per questo nostro viaggio nel pensiero positivo, inteso non come attitudine al chiudere gli occhi davanti ai problemi, ma come capacità di superare il dolore, la rabbia e la paura riconducendole al loro valore di passaggio verso qualcosa di migliore. La bellezza – e mi pare chiaro che non si sta parlando di bello esteriore – può cambiare il mondo: un concetto che, con epoche eccezioni, mette tutti d’accordo. Eppure l’arte ben raramente ha raccontato la felicità e quando lo ha fatto è spesso stata mal giudicata, guardata con sospetto, quasi che il tentativo di esprimere un sentimento positivo fosse inutile, complicato, imbarazzante, perfino risibile. Da dove arriva l’idea che l’artista o il letterato debbano comunque essere “eroi tragici” e descrivere scenari distruttivi? Un retaggio del concetto romantico di Sturm und drang? Un bisogno profondo dell’uomo che preferisce denunciare i propri sbagli e svelare i propri tormenti piuttosto che aprire il proprio cuore agli altri? E se provassimo a cambiare questa attitudine? Se parlassimo del bello della vita – magari un bello riconosciuto e reso ancor più prezioso proprio dal passaggio nella sofferenza – senza paura di apparire superficiali? Declamare La gioia di vivere, Matisse lo sapeva bene, non significa affatto chiudere gli occhi verso le brutture del mondo. Alzare gli occhi a un cielo stellato, come fece Joan Miró negli anni più tragici del conflitto mondiale e delle persecuzioni naziste, non significa assumere un atteggiamento passivo o incosciente. Significa provare a non aver paura del bello dell’esistenza e ricordarsi che sarà proprio quello a restare. Perché nonostante tutto, si può sempre provare a sorridere». 

Inaugurazione sabato 8 agosto alle ore 18.30

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