Un gioiello di Raffaello a Villa Farnesina

Gli echi del mito in un affresco di Raffaello simile ad una danza: il Trionfo di Galatea

Raffaello Sanzio, Trionfo di Galatea, 1512 circa, Affresco, Roma, Villa Farnesina
 

Samantha De Martin

30/04/2020

Roma - La veste rossa gonfiata dal vento, simile a una vela, il corpo statuario, le braccia tese a guidare i delfini che trainano sull’acqua il cocchio a forma di conchiglia, mentre un festoso corteo di tritoni, nereidi, amorini ne celebra il trionfo.
Eccola Galatea, ninfa del mare, in fuga dall’amore del Ciclope, invidioso di Aci, il giovane bellissimo amato dalla Nereide, ucciso da un macigno scagliato dal Polifemo e trasformato in un fiume che ne conserva il nome.
Il mito raccontato nelle Metamorfosi di Ovidio, ma anche nell’Idillio XI di Teocrito e nel ditirambo Il Ciclope di Filosseno di Citera giunse ai pennelli di Raffaello che tradusse in un affresco carico di suggestioni, in un ritmo vorticoso che sa di danza, il trionfo della fanciulla “dalla pelle bianco-latte”.

Dove si trova l’affresco?
Nel 1512 Raffaello rappresentò il Trionfo di Galatea in un affresco oggi conservato presso la Sala di Galatea, a Villa Farnesina, a Roma, la sontuosa villa "di delizie" che il ricco banchiere Agostino Chigi si era fatto costruire tra il 1509 e il 1512 da Baldassarre Peruzzi, su un terreno circondato da giardini tra via della Lungara e il Tevere.
Quando gli fu affidato l’incarico di realizzare l’affresco al pianterreno della villa, il Sanzio era impegnato a decorare la Stanza della Segnatura e la Stanza di Eliodoro in Vaticano per Giulio II.


Sala di Galatea, Roma, Villa Farnesina

L'opera fu realizzata sotto una lunetta di Sebastiano del Piombo, a fianco del Polifemo dello stesso artista. La Loggia - che prende il nome proprio dall’opera di Raffaello - fu affrescata da diversi pittori.
Il primo fu Baldassarre Peruzzi che, nel 1511, aveva riprodotto sulla volta l’oroscopo di Agostino Chigi. Tra il 1511 e il 1512 Sebastiano del Piombo abbellì otto delle undici lunette con scene tratte delle Metamorfosi di Ovidio.

Cosa sta facendo Galatea?
Il capolavoro dell’Urbinate mostra l'apoteosi della ninfa Galatea che cavalca un cocchio a forma di conchiglia trainata da due delfini e guidata dal fanciullo Palemone. Ad avvolgere la fanciulla, come in un abbraccio, un festoso corteo di tritoni e nereidi. Baldassarre Castiglione era rimasto a tal punto estasiato dalla perfezione della Galatea da chiedere a Raffaello quale fosse stata la sua modella. Tuttavia l’Urbinate rispose che la fanciulla era semplicemente frutto di una sua idea.

Cosa ricorda la posa della ninfa?
Galatea, nella sua posa statuaria, in lieve torsione verso sinistra, avvolta da una veste di un rosso “pompeiano”, ricorda Santa Caterina di Alessandria, l’olio su tavola di Raffaello, oggi alla National Gallery.


Raffaello, Santa Caterina d’Alessandria, 1507 circa, 55,7 x 72,2 cm © The National Gallery, London

La protagonista dell'affresco si innalza imponente dalla superficie marmorea del mare evocando una classicità mitica, enfatizzata dai toni cristallini, quasi irreali, che tradiscono un’approfondita conoscenza, da parte di Raffaello, della pittura romana antica, che trova un esempio nel bassorilievo con un Coro di Afrodite oggi ai Musei Capitolini.

Quali gesti compiono le altre figure?
Il movimento sinuoso del manto, gonfiato dal vento, accompagnato dal lieve ondeggiare dei capelli di Galatea, è ripreso dal gesto della vicina nereide, che solleva un braccio mentre, rapita da un tritone, cerca di divincolarsi.



I corpi possenti, nerboruti, delle figure risentono di influssi michelangioleschi, addolciti tuttavia dalla delicatezza e dal senso della misura del Sanzio che permea i suoi personaggi di un’aggraziata naturalezza.
Il giovane Palemone guida la conchiglia trainata dai delfini, mentre tre amorini, in procinto di scagliare dardi amorosi contro Galatea, sorvegliano la ninfa dal cielo.



Un quarto putto, a cui è rivolto lo sguardo casto della nereide, nascosto dietro una nuvola, sorregge un fascio di frecce, a simboleggiare la castità dell'amore platonico.

Michelangelo e la leggenda del disegno con un pezzo di carbone
Una leggenda - ambientata nella Roma del Cinquecento illuminata dagli astri di Raffaello e Michelangelo - narra che il Buonarroti, curioso di esaminare come procedessero gli affreschi dell’Urbinate, dal momento che questi non consentiva a nessuno di vedere in anticipo il suo lavoro, riuscì ad eludere la sorveglianza dei custodi travestendosi da venditore. Una volta entrato a Villa Farnesina, in assenza di Raffaello, ebbe finalmente modo di ammirare, seppur per pochi istanti, il lavoro del rivale. Sedotto da un moto di cipiglio, prese un pezzo di carbone e, prima di sgattaiolare via, disegnò un’enorme testa. Quando Raffaello scorse il disegno, ne intravide la mano di Michelangelo e, sebbene adirato per quella intrusione, non ebbe la forza di cancellarlo, anzi, ordinò che nessuno lo toccasse. Sebastiano del Piombo affrescò quindi su una parete una grande figura di Polifemo, dapprima originariamente nudo e poi rivestito da una vestina azzurra. Raffaello avrebbe perciò decorato uno dei campi parietali con la leggiadra figura di Galatea, la bella ninfa colta tra le creature marine del mare mentre fugge dal suo corteggiatore a bordo del fantastico cocchio trainato da delfini.




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