IO SONO IL PRIMO E L'ULTIMO E IL VIVENTE
Dal 08 Ottobre 2022 al 29 Ottobre 2022
Caldogno | Vicenza
Luogo: Bunker Caldogno
Indirizzo: Via Zanella 3
Orari: dalle 9 alle 12 e dalle 15 alle 18
Curatori: Petra Cason Olivares e NUMA contemporary
Enti promotori:
- Con il patrocinio del Comune di Caldogno In collaborazione con Pro Loco Caldogno e Young Volcano RizzutoGallery. Sponsorship Falegnameria Grolla
Costo del biglietto: ingresso libero
Al via sabato 8 ottobre alle 18 presso gli spazi espositivi del Bunker di Villa Caldogno (Caldogno, Vicenza), IO SONO IL PRIMO E L'ULTIMO E IL VIVENTE, mostra personale dell'artista palermitana Noemi Priolo, a cura di Petra Cason Olivares e NUMA contemporary, patrocinata dal Comune di Caldogno, accompagnata dai testi critici di Andrea Dusio e promossa da Young Volcano, un progetto della Rizzuto Gallery.
La mostra, prima personale italiana dell'artista a seguito di un lungo soggiorno londinese, raccoglie una cospicua parte della sua recente produzione, compresa un'importante selezione di opere inedite.
Il titolo della mostra riporta senza fraintendimenti la citazione di un passo del Libro dell’Apocalisse. Tuttavia, i riferimenti nelle opere - seppure presenti e dichiarati - a iconografie e concetti derivanti espressamente dalla religione cattolica, non rappresentano il tema centrale dell’intervento dell’autrice siciliana. L’artista stessa indica gli interrogativi ai quali rivolge la propria ricerca: “Se fosse l’ideale stesso di umanità sbagliato? Magari abbiamo frainteso. Se quello che crediamo di essere, che ci sforziamo di essere, sia irrealizzabile proprio perché diverso da noi? Dovremmo cambiare, diventare noi stessi. Se, così come succede per gli animali in cattività, la nostra aggressività e la nostra cattiveria provenissero proprio da questo stato di oppressione, dalla non aderenza alla nostra stessa natura?”
Una tensione latente si percepisce all'interno dei lavori dell’artista, dai quali emerge l'attesa di un evento inevitabile: l'essere umano, vestiti i panni di un'entità onnipotente, è in grado di compiere insostenibili atrocità, capaci di mettere a repentaglio l’intero ecosistema, non ricordando che l'Uomo ne è parte integrante.
L’Umanità è, pur tuttavia, totalmente assente nelle opere di Priolo, che rifiuta un approccio mimetico, concedendo soltanto agli esseri creati dalla mente dell’artista di apparire vagamente antropomorfi: gli arti umani che si innestano sugli esoscheletri di un palco di insetti concedono loro di intrecciarsi in un abbraccio denso di inquietudine.
Nelle opere dell’artista, a comporre un quadro organico e complesso, la quasi totale assenza di colore (che lascia spazio ad un serrato dialogo tra il bianco e il nero) acuisce il senso di una dicotomia tra bene e male dove i confini, inevitabilmente, diventano labili.
Come scrive Andrea Dusio, che accompagna l’esposizione con un testo inedito: “ La mostra configura un ribaltamento narrativo, in cui è la natura a osservare con sguardo evoluzionista e anti-finalistico l'intervento dell'uomo nell'equilibrio del proprio sistema e nella propria storia. Mater Natura assume così le paure arcaiche che l'uomo ha di fronte all'incognito, e pare organizzarle, compenetrarle e comprimerle attraverso una propria tassonomia. (...) I segni di questa guerra endemica sono disseminati nello spazio espositivo, costituendo allo stesso tempo un reperto etno-antropologico e il segno dell'invasività di una specie che appare destinata a riscrivere la percezione stessa della Natura, svelandone la forza sterminatrice, operante in maniera meccanica, senza apparente esercizio dell'arbitrio, come un'incidente dell'evoluzione che determina la prevalenza di un'ottusa e bieca volontà di distruzione.”
A sottolineare come un preciso contrappunto le opere dell’artista, sono le celle e le sale cieche che le accolgono come in una cassa di risonanza, aprendosi come dei “sancta sanctorum” lungo i cunicoli del sito che ospita la mostra: un bunker antiaereo realizzato durante il Secondo Conflitto Mondiale, che nel 1943-44 ha ospitato il Comando tedesco della Militar Sanitat.
La mostra, prima personale italiana dell'artista a seguito di un lungo soggiorno londinese, raccoglie una cospicua parte della sua recente produzione, compresa un'importante selezione di opere inedite.
Il titolo della mostra riporta senza fraintendimenti la citazione di un passo del Libro dell’Apocalisse. Tuttavia, i riferimenti nelle opere - seppure presenti e dichiarati - a iconografie e concetti derivanti espressamente dalla religione cattolica, non rappresentano il tema centrale dell’intervento dell’autrice siciliana. L’artista stessa indica gli interrogativi ai quali rivolge la propria ricerca: “Se fosse l’ideale stesso di umanità sbagliato? Magari abbiamo frainteso. Se quello che crediamo di essere, che ci sforziamo di essere, sia irrealizzabile proprio perché diverso da noi? Dovremmo cambiare, diventare noi stessi. Se, così come succede per gli animali in cattività, la nostra aggressività e la nostra cattiveria provenissero proprio da questo stato di oppressione, dalla non aderenza alla nostra stessa natura?”
Una tensione latente si percepisce all'interno dei lavori dell’artista, dai quali emerge l'attesa di un evento inevitabile: l'essere umano, vestiti i panni di un'entità onnipotente, è in grado di compiere insostenibili atrocità, capaci di mettere a repentaglio l’intero ecosistema, non ricordando che l'Uomo ne è parte integrante.
L’Umanità è, pur tuttavia, totalmente assente nelle opere di Priolo, che rifiuta un approccio mimetico, concedendo soltanto agli esseri creati dalla mente dell’artista di apparire vagamente antropomorfi: gli arti umani che si innestano sugli esoscheletri di un palco di insetti concedono loro di intrecciarsi in un abbraccio denso di inquietudine.
Nelle opere dell’artista, a comporre un quadro organico e complesso, la quasi totale assenza di colore (che lascia spazio ad un serrato dialogo tra il bianco e il nero) acuisce il senso di una dicotomia tra bene e male dove i confini, inevitabilmente, diventano labili.
Come scrive Andrea Dusio, che accompagna l’esposizione con un testo inedito: “ La mostra configura un ribaltamento narrativo, in cui è la natura a osservare con sguardo evoluzionista e anti-finalistico l'intervento dell'uomo nell'equilibrio del proprio sistema e nella propria storia. Mater Natura assume così le paure arcaiche che l'uomo ha di fronte all'incognito, e pare organizzarle, compenetrarle e comprimerle attraverso una propria tassonomia. (...) I segni di questa guerra endemica sono disseminati nello spazio espositivo, costituendo allo stesso tempo un reperto etno-antropologico e il segno dell'invasività di una specie che appare destinata a riscrivere la percezione stessa della Natura, svelandone la forza sterminatrice, operante in maniera meccanica, senza apparente esercizio dell'arbitrio, come un'incidente dell'evoluzione che determina la prevalenza di un'ottusa e bieca volontà di distruzione.”
A sottolineare come un preciso contrappunto le opere dell’artista, sono le celle e le sale cieche che le accolgono come in una cassa di risonanza, aprendosi come dei “sancta sanctorum” lungo i cunicoli del sito che ospita la mostra: un bunker antiaereo realizzato durante il Secondo Conflitto Mondiale, che nel 1943-44 ha ospitato il Comando tedesco della Militar Sanitat.
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